Per un podista ci sono delle tappe della sua “carriera” di corridore che restano per sempre nel cassetto dei ricordi più cari. Tra questi non può mancare la “mezza maratona d’Italia”, quella che da Roma lungo il tracciato che da millenni collega Roma al suo porto, il Lido di Ostia.
La Roma – Ostia è una classica gara che ammette anche tante “repliche” perché, al di là del fascino della storia che la caratterizza, può essere vissuta in molti modi.
Per me, dopo l’esperienza del 2018 nella quale l’impegno fu rivolto soprattutto all’andare senza sapere cosa ci fosse oltre allo scorrere dei chilometri, eccomi a correre l’edizione 2019, la 45^, con la consapevolezza di ripercorrere lo stesso tracciato in piena rilassatezza in quanto sono molto più allenato ed anche perché accompagno un’amica, Antonietta Mandetta alla sua prima esperienza.
Infatti, se dal punto di vista “agonistico” questa gara sarà ricordata da me come una lunga e ininterrotta corsa verso il mare ad un ritmo piacevole e rilassante che riconcilia il corpo con l’anima, dall’altro lato ho avuto modo di godermi l’aspetto più gradevole dell’andare badando più a quello che mi scorre intorno che a puntare alla meta e, soprattutto, stando attento all’evolversi della gara di chi mi corre a fianco.
Con me ed Antonietta c’è anche Monica Di Giovanni che ha fatto il viaggio con me e Gina da Paestum a Roma e si è aggregata all’allegra brigata della Sporting Calore che alloggia all’hotel Cristoforo Colombo all’EUR.
Al nostro arrivo, alle 8:00 del mattino, sulla grande spianata che si estende intorno al PalaEur non si può fare a meno di essere orgogliosi di essere parte dell’innumerevole mondo colorato costituito dagli oltre 10.000 atleti impegnati nella consegna delle borse che quasi 20 camion porteranno fino ad Ostia Lido dove gli atleti potranno recuperarle al loro arrivo.
L’appuntamento con Antonietta e Monica è sotto l’obelisco moderno che è una scultura di Arnaldo Pomodoro; in bronzo, alta 21 metri con un diametro di 7 datata 2003, vuole narrare il secolo a cui è intitolata, il “Novecento”.
Faccio fatica a individuarle nella marea di magliette che si muove in ogni direzione proprio intorno alla scultura. Infine, trovo le mie due compagne di viaggio impegnate a fare riscaldamento seguendo al ritmo di musica le indicazioni di danzatori posizionati in alto sulla piattaforma circolare che fa da base proprio dell’obelisco di Pomodoro.
Accenno anch’io a qualche movimento al ritmo di musica e poi ci avviciniamo alla “gabbia” di partenza destinata alle terze linee.
Le partenze scaglionate per categoria in base ai tempi storici, noi siamo, ovviamente, nel terzo scaglione, rispettano in pieno la tempistica annunciata. Ci si mette in moto in modo lento e rilassato lungo la discesa che conduce verso il laghetto dell’Eur e si ha tutto il tempo di scattare foto, guardarsi intorno, inquadrare volti ignoti ma tutti pieni di voglia di vivere in pieno l’evento che li vede protagonisti in prima persona: il podismo è lo sport dove sono di gran lunga di più gli atleti che scendono in campo che i “tifosi” che assistono dalle tribune della partenza, dell’arrivo e lungo il percorso!
Il cielo è coperto da nubi, l’aria è elettrizzata da migliaia di donne ed uomini vogliosi di correre, la temperatura è di 15°, ideale per correre una gara podistica …
Anche il trio di cui faccio parte si avvia con una certa titubanza all’inseguimento della meta che dopo ogni passo è sempre più vicina.
La carreggiata della strada che attraversa l’EUR si trasforma nel letto del “fiume” che stenta a contenere la “piena” umana che è costretta ad allungarsi per evitare di tracimare anche sui marciapiedi.
Antonietta e Monica hanno ancora il peso del dubbio sulla riuscita dell’impresa, io cerco in tutti i modi di rassicurarle che, in ogni caso sarà un successo!
Mi preoccupa solo il fatto che Antonietta denuncia una contrattura alla schiena.
Intanto che le mie due accompagnatrici dissertano sul tipo di negozi che scorrono ai lati della strada e ricordano i loro ultimi acquisti, superiamo il 3° chilometro. Senza dare troppo peso alla cosa allungo un po’ il passo per portare il gruppetto ad un ritmo di corsa un po’ più sostenuto.
Al primo rifornimento posto al 5° chilometro, mi rendo conto che Monica fa fatica a trattenersi al nostro ritmo e le consiglio di andare senza problemi, ma lei pur correndo davanti a noi, resta ancorata alla voglia di restare in contatto … all’8° Km, dopo essere stata sollecitata più volte da noialtri, aumenta il ritmo e ci lascia alla nostra andatura resiliente accompagnata dalla fitte di dolore che, con una certa regolarità, Antonietta dissemina sull’andare .
Intanto, noi ci guardiamo intorno cercando individuare tra il mondo che ci passa a fianco e la cornice di verde che scorre ai lati nel nastro di asfalto che, una volta tanto, per la carreggiata che va verso il mare è occupato da pedoni mentre sull’altra sfrecciano le automobili rendendo plastico il contrasto tra i due modi di spostarsi da un posto all’altro.
A metà gara faccio il punto della situazione con la mia compagna di viaggio: il ritmo del passo è regolare, quello cardiaco è basso, il segmento di atleti con il quale ci accompagniamo è omogeneo, per cui l’unica preoccupazione è il mal di schiena di Antonietta.
Reintegriamo i liquidi al secondorifornimento, provo a spostare l’attenzione su chi ci corre a fianco osservando il tratto dei concorrenti, del loro abbigliamento, ascoltando la “parlata”, sottolineando l’andatura …
Antonietta stessa non si fa pregare a mettere sul piatto della conversazioni argomenti di lavoro e ricordi di famiglia e così lasciamo sul sottofondo il dolore alla schiena. Intanto, ci raggiunge Anna Rita, sua compagna di squadra della Cilento Run che alloggia nel mio stesso albergo. Ci accompagna per un breve tratto, e poi prosegue verso il traguardo mantenendo un’andatura un po’ più sostenuta della nostra.
Correre ad un ritmo tranquillo è un piacere che si deve assaporare fino all’ultima goccia perché chi si mette sulla strada per correre è, per natura, tentato di guadagnare qualche “secondo” al cronometro che l’accompagna inesorabilmente. Ma quando si riesce a correre senza badare al tempo che passa e ci si ritrova con se stessi a riesumare ogni sorta di pensiero, allora si entra in un’altra dimensione: quella del benessere psicofisico.
Infatti, nei pochi momenti in cui lascio la “presa” sulla mia compagna di viaggio mi ritrovo a considerare che correndo da soli ci si riesce da ritagliare tempo per sé: fare attenzione al mondo in cui vivi, quello che ti contiene e tanto altro che non hai la tranquillità di goderti.
In cima alla salita dove è situato l’ingresso della tenuta presidenziale di Castel Porziano, tiro un sospiro di sollievo: so bene che manca ancora un quarto di strada alla fine, ma ho la concreta convinzione che Antonietta è entrata nella dimensione psicologica giusta che le impedirà di mollare prima della fine della sua prima Roma – Ostia.
La “tento” più volte aumentando un po’ il ritmo ma è un diversivo per metterla alla prova, infatti, quando mi faccio affiancare sento il suo ritmo respiratorio che si tranquillizza e mi sento sollevato per lei che stringe i denti e, soffrendo, punta con gli occhi la linea dell’orizzonte nella direzione di Ostia Lido.
A 2 Km dall’arrivo, conoscendola, provoco ancora il suo orgoglio chiedendogli di andare a prendere un gruppetto che avanza incerto ad una ventina di metri davanti a noi, ed eccola che stringe i denti mentre tenta di allungare il passo. Assecondo la sua voglia di giungere al traguardo con il sorriso a favore di telecamera e non con il volto tirato di chi vuole graffiare un paio di secondi al cronometro.
L’ultimo tratto sul lungo mare lo corriamo consapevoli di aver compiuto un’impresa che, per quanto a tanti potrà sembrare ordinaria, per noi che l’abbiamo vissuta insieme sarà ricordata come la Roma – Ostia che abbiamo corso all’unisono e con lo stesso passo.
Alla fine dell’avventura romana ho scritto ad Antonietta queste poche ma sentite parole: “È stato un grande piacere correre al fianco di una persona che non ti fa pesare le difficoltà che incontra, anzi ti aiuta ad aiutarla.”
Lei mi ha risposto: “Grazie Bartolo per la compagnia e per l’aiuto. Non amo chiedere ma tu hai saputo aiutare senza farmi sentire un peso. Grazie, davvero ti sono riconoscente, oggi da sola non sarei riuscita ad arrivare al traguardo.”