di Bartolo Scandizzo Il benessere dell’Italia ha la mia età: circa 60 anni. Tante difficoltà ma poche sofferenze calmierate dalla prospettiva di essere destinato ad una vita migliore di quella che si aspettavano i miei genitori alla loro nascita negli anni ’30. Oggi anche i miei nipoti possono sperare in un’esistenza in linea con il benessere attuale a patto che i miei figli, cioè i loro genitori, siano in grado di fare scelte dettate dall’insegnamento tratto dalla storia del ‘900 senza farsi ubriacare dai nuovi demagoghi che promettono il meglio a patto che si stracci il bene in cui sono cresciuti. Ma cos’è il bene da non dare per acquisito per sempre? Bene supremo è la democrazia, che non è un modo scontato della comune convivenza in uno stato. Bene è la pace tra i popoli e tra gli stati in cui sono organizzati. Bene sono i diritti di cittadinanza: la ore, salute e istruzione. Bene è poter far viaggiare liberamente senza l’assillo delle frontiere e delle dogane uomini, donne, bambini e merci. Insomma, c’è la nostra vita in gioco quando ci si prospettano scorciatoie per la soluzione dei tanti problemi che assillano il vivere quotidiano. Problemi che, ovviamente, non sono mai mancati ma molto meno mezzi per risolverli di cui si dispone oggi giorno. Basti pensare al problema dei migranti! Nel secondo dopoguerra il migrare in cerca di fortuna (lavoro e migliori condizioni di vita) è stata una prerogativa di centinaia di migliaia di nostri connazionali di regioni del sud e del nordest. Per oltre un trentennio giovani e meno giovani hanno preso la via delle Americhe, dell’Australia e dell’Europa continentale. Forte è stato anche il flusso di forza lavoro dal Sud verso Nord dell’Italia. Le rimesse degli emigranti hanno sostenuto famiglie ed intere economie locali. Ma i nostri connazionali hanno anche contribuito a risollevare e ad arricchire i paesi che li hanno accolti. Il tempo ha fatto giustizia di tanti luoghi comuni riferiti ai nostri connazionali all’estero (mafiosi, truffatori, scansafatiche…) Anche l’Italia oggi è diventato un paese di immigrazione. Con necessità di manodopera per lavori usuranti che molti Italiani non accettano di svolgere. Nonostante la storia ci ricorda chi siamo stati, sta crescendo prepotente un atteggiamento di insofferenza generalizzato nei confronti di ogni uomo, donna, bambino che per sfuggire a guerra, carestia, discriminazioni religiose riesce ad approdare sulle nostre spiagge. Chi dovrebbe assumere su di sé l’onore di attutire l’impatto negativo del fenomeno ne esalta la drammaticità per raccogliere le briciole di consenso elettorale che dà il potere ma non la consapevolezza del divario tra i proclami e il metterli in pratica in uno stato di diritto. In fondo, basti pensare che i “migranti esogeni” un grande successo lo hanno già portato ai “migranti endogeni”. Hanno unito in un unico fronte interno i razzisti storici della destra italiana e quelli d’accatto che vivono del momento come i leghisti come Salvino e Maroni che hanno alzato il tiro dei loro cannoni spostandolo dai migranti ammassati sulla “freccia del Sud” che risaliva la penisola a quello ammassati sui “barconi” che bordeggiano ne Mediterraneo. Grazie a loro Giorgia Meloni e Matteo Salvini possono issare la bandiera dell’italianità sul pennone più alto delle loro contraddizioni.
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