La Logica matematica è una disciplina sorta dalla basilare esigenza di riuscire ad esplicitare idee sensate e precise da intendere quali linee di pensiero assolutamente corrette dunque rigorosamente incontestabili, in maniera da evitare qualunque ambiguità o possibilità d’erronea interpretazione. Il grande filosofo greco Aristotele (384-322 a.C.) con numerose opere schiuse l’iniziale varco onde riuscire a penetrare il mondo della Logica e percorrerne confini ed interno; mondo che risultò maggiormente di caratterizzazione filosofica e di impronta teorica, con contenuti matematici e scientifici di minore entità, questa caratteristica perdurò sino al Cinquecento. A partire dal Seicento vi furono tentativi di connessione tra Logica e Matematica difatti nacque la Logica matematica, i rapidi progressi della quale guidarono e condussero, nel secolo XVII, il filosofo e matematico tedesco Gottfried Leibniz (1646-1716) a valicare perentoriamente l’ostacolo costituito dalla ambiguità del linguaggio parlato; in qual modo? Occorreva inventare un nuovo alfabeto dal quale sarebbe poi scaturito un neo linguaggio combinante le lettere, con il quale poter esaminare qualunque problema e poter affrontare ogni generico ragionamento. Si giunse alle “Leggi del pensiero”, monumentale opera del matematico inglese George Boole (1815-1864), che pose le fondamenta della moderna “Logica formale”: ogni ragionamento deve contenere delle premesse, da tradurre in simboli dai quali dedurre scientificamente le conclusioni. ‘Logica’ (dal greco ‘Logos’, equivalente a discorso) nasce dunque quale effettiva scienza, scienza del discorso e dunque scienza di idonei ragionamenti in virtù dei quali costruire frasi “logiche e corrette”. Ovviamente, un tale obiettivo implicava la necessità di stabilire regole conducenti alla “verità” in termini assoluti, indiscutibili, tralasciando qualunque carattere di ambiguità e discorsività. Teniamo presente che l’Informatica è nata da discipline molto severe: la sunnominata Logica, la Cibernetica (studia macchinari in grado di simulare le funzioni del cervello umano, e di autoregolarsi grazie all’utilizzo di segnali di comando e di controllo in circuiti elettrici ed elettronici oppure in sistemi meccanici), la Teoria della Informazione (oggetti d’essa sono analisi ed elaborazioni, su base matematica, di fenomeni concernenti misurazione e trasmissione di informazioni viaggianti lungo canali fisici di comunicazione; la si può inquadrare in posizione intermedia tra la Matematica applicata, la Fisica applicata, le Telecomunicazioni e l’Informatica). Immenso Matematico, Logico e Crittografo inglese, uno dei padri dell’Informatica, morto suicida a soli 42 anni, nel giugno del 1954: Alan Turing; indotto al suicidio dalla Stupidità umana (su questo vi è assoluta certezza) a causa di continue vessazioni legate alla sua condizione di omosessualità; tale orribile non accettare, da parte di tutti (dunque anche di persone intelligenti: altro che intelligenza artificiale delle macchine pensanti, questa è stupidità naturale dell’uomo non pensante!) lo indusse a togliersi la vita, ad appena 42 anni. Eppure, se oggi respiriamo l’aria della libertà e siamo cittadini non appartenenti all’Impero nazista, lo dobbiamo, oltre agli ordigni atomici sganciati sulle due città giapponesi, Hiroshima e Nagasaki, ad un metodo decifrativo di messaggi: il ‘metodo Turingery’, parto della creatività scientifica di Turing. Uno dei suoi ‘guizzi scientifici’: un particolare criterio con cui stabilire se una macchina artificiale, o un calcolatore, possano essere considerate ‘entità pensanti’; come era costituita “la sua” macchina? La descrisse in un lavoro, On Computable Numbers: un modello ideale, teorico, dunque non una macchina osservabile e tangibile, esplicitante calcolo logico; il progetto evidenziava un nastro, l’area del quale era riempita da sequenze di caselle, ciascuna di esse poteva: esser vuota, oppure recare impresso un simbolo, l’insieme di tutti i simboli costituiva l’alfabeto della macchina. La macchina di Turing era in grado di computare (ovvero di calcolare) qualunque funzione computabile dal più potente degli elaboratori elettronici. Ma la macchina è davvero in grado di dialogare con l’essere umano? Se lo fosse, ipotetici spettatori non riuscirebbero a distinguere il macchinario dall’umano; chissà quali e quante implicazioni deriverebbero: di carattere filosofico, tecnologico, tecnico, a livello psicologico, emotivo… Ove mai il robot umanizzasse, diverrebbe realmente un essere tale e quale a noi, con tutti i (foscoliani) vizi e virtù, la creatività, gli eroismi, i sentimenti, le atrocità?
Modalità atte a fornire meccanismi cognitivi e strutture logiche ad una macchina: programmi realizzati, simulanti conversazioni che non avrebbero dovuto far pensare ai dialoghi presenti nelle opere di Ionesco e Beckett, maggiori esponenti del Teatro dell’Assurdo; insomma, dialoghi sensati tra uomo e macchina. Il progenitore di tale estesa famiglia è stato il programma Eliza scritto intorno al 1966 da Joseph Weizenbaum, con l’unica finalità di sostenere una conversazione “non illogica” con un interlocutore umano su un prestabilito tema; assai efficace si dimostrò Eliza: divenne istantaneamente famosa quale “psichiatra elettronico”, spalancando le porte verso (improbabili) applicazioni psicoterapeute dei calcolatori! Ma in realtà Eliza, pur attuando in maniera rigorosa le istruzioni e i comandi impartiti, e pur svolgendoli con una metodica e più o meno estesa “furbizia”, non inquadrava alcunché di quello che gli si prospettava; eppure tale programma riusciva, con una sequenza di accorgimenti sintattici, a creare, negli “umani”, l’efficace illusione d’aver perfettamente compreso il contenuto. Cavalcando la scia di Eliza, parecchi autori scrissero programmi di colloquio; uno dei quali, PARRY, venne elaborato da Kenneth Colby, docente di Psichiatria all’Università di Los Angeles, che intendeva installarlo nelle cliniche per malattie mentali al fine di curare i pazienti. Il programma simulava conversazioni di un paziente affetto da schizofrenia paranoica, la sequenza di istruzioni contenute nel programma avrebbe dovuto esser impiegata per l’addestramento di tirocinanti psichiatri. Colby fornì a suoi colleghi due resoconti dattiloscritti di dialoghi esplicati, rispettivamente, con PARRY e con una persona schizoide; invitò questi suoi colleghi a tentare di identificare le risposte, individuando quali fossero state le reazioni di PARRY e quali le risposte dell’umano; il risultato che emerse dalla indagine Colbyana? Il 51 per cento di intervistati fornì la risposta corretta, dunque PARRY poteva ben fregiarsi del titolo di primario modello di “Schizofrenico artificiale”! Sicuramente si perverrà ad un analogo modello iniziale di tutt’altro che genialità, costituito da furbi adulatori, servili leccatori del potere, un PARRY portabandiera d’essi. Nella associata elaborazione della quale sono autore, l’immagine di Turing è tratta da pagina wikipedia.
Giuffrida Farina