“Tommaso, abbiamo visto Gesù”. Grida Pietro, con gli occhi scintillanti di gioia, appena lo vede entrare. Gli altri gli fanno eco: “Era appena calata la sera quando abbiamo fatto esperienza del Risorto. E’ stato non solo un vedere, ma soprattutto come un incedere di Gesù. Il Maestro ha sconfitto la nostra paura, motivata non dal suo arrivo e dalla sensazione di scambiarlo per un fantasma, ma dal persistente timore dei Giudei, portatori di morte. Ci ha colti totalmente di sorpresa; infatti, in quel momento nessuno di noi provava sentimenti di fiduciosa attesa”.
“A fare irruzione nell’edificio non sono stati gli sgherri, come temevamo, ma il Crocefisso”. Prosegue Giovanni. “Per tranquillizzarci, Egli ci ha augurato la pace mostrando i segni del supplizio sulle mani e sui piedi. La vista delle piaghe avrebbe potuto determinare una reazione di orrore; invece, la loro consapevole constatazione ha suscitato in noi grande serenità. I segni della passione più che identificare Lui, sono serviti a mostrare che il ricordo di quella sofferenza non è più in grado di annullare la gioia di cui siamo partecipi, sentimenti rafforzati dal gesto del Maestro. Egli ha alitato su di noi quasi a dimostrare, con quel segno, che non si è semplicemente risvegliato, ma è diventato il creatore e il portatore di una nuova vita. Ci ha fatti partecipi di un dono che, come tutti i regali, deve essere accettato. Ora Gesù non solo è con noi tutti i giorni, ma è in noi e, se lo corrispondiamo incondizionatamente, nel nostro essere è possibile far sviluppare il suo modo di vivere”.
Didimo non risponde; è pensieroso, si accuccia sulla stuoia alla ricerca di un po’ di tranquillità per poter finalmente riposare. Il coacervo di emozioni sperimentate negli ultimi giorni non lo aiuta a fare chiarezza. Un misto di dolore e di delusione lo attanaglia. Non ha voglia di parlare con nessuno.
“Tommaso, che hai?”, riprende Pietro preoccupato.
Al silenzio dell’amico, Simone, incalzante, gli comunica di nuovo la notizia. Anche questa volta non riceve risposta. Allora si accosta e comincia a descrivere quello che è avvenuto: “Didimo, eravamo riuniti insieme e, per paura dei Giudei, avevamo sbarrato le porte. Improvvisamente, augurandoci la pace, è apparso Gesù e, compresa la nostra titubanza, ha mostrato le mani e il costato ancora segnato dal colpo della lancia. Puoi immaginare la nostra gioia nel riconoscerlo.
Per l’intelligenza di Tommaso queste parole sono un assurdo; alzando la voce invita Pietro e gli altri a smetterla, a non farsi suggestionare come donnicciole. Egli è rimasto già profondamente disgustato dalla reazione della mattina, quando aveva dovuto ascoltare la storia di Maria e delle altre, agitate e sconvolte nel comunicare di aver visto quanto, invece, era presente soltanto nella loro mente di femminucce deboli e addolorate.
“Ma Tommaso….” Accenna Pietro, senza poter concludere la frase per l’irata reazione.
“Basta, non parlare più. E’ il tuo senso di colpa per quanto hai combinato nella notte tra giovedì e venerdì. Gran bel gradasso! A Gesù, che ti metteva in guardia circa la tua debolezza, tu hai risposto
La tensione é alle stelle. Pietro cerca di trattenerlo. Tommaso si divincola ed esce sbattendo la porta senza voltarsi. Non ha la possibilità di vedere il volto di Pietro rigato di lacrime. E’ la seconda volta in pochi giorni che il pescatore piange. La pelle rugosa, abituata alla pioggia e al vento sulla barca nel lago, è solcata da calde e copiose lacrime, un pianto diverso da quello del venerdì precedente. Ora a causarlo è il dolore per la durezza dell’amico, la preoccupazione per la tenuta di un discepolo, la partecipata sollecitudine per una situazione che sta degenerando. A distoglierlo da questi pensieri è il tocco alla porta d’ingresso. La prima reazione nel gruppo è di paura, tutti temono di essere inseguiti dalle guardie del Tempio consapevoli del desiderio dei sommi sacerdoti di farla finita anche con i seguaci del Nazareno.
Il primo a riprendersi è Natanaele, che fin dal suo primo sentir parlare di Gesù non aveva esitato a manifestare quello che pensava. Tra i seguaci di Gesù nessuno dubitava della sua sincera concretezza; perciò, nessuno si mostra particolarmente preoccupato quando egli decide di aprire l’uscio.
Natanaele riconosce Cleopa, accompagnato da un amico; li fa entrare. In coro, prima che i due possano aprire bocca, gli apostoli riuniti e quelli che erano con loro li informano di aver visto il Maestro. Cleopa e il compagno, che ritengono di portare una grande notizia e per questo hanno appena rifatto le sette miglia che separano Emmaus da Gerusalemme, possono solo confermare ciò di cui gli altri sono statipartecipi, un’esperienza sconvolgente, alla quale prime i testimoni oculari non avevano prestato una facile fede.
Nel sicuro rifugio messo a disposizione da Giuseppe d’Arimatea si nota un crescendo di voci. I discepoli confrontano racconti che non si giustappongono, ma tendono a completarsi nel descrivere ciò che appare incredibile. Più che lo stupore, nei discepoli, sempre timorosi di cosa potessero decidere i sommi sacerdoti, prevale la convinzione che il Maestro è veramente il Messia. Pietro, rammaricato per l’assenza di Tommaso, invita Giovanni, il più giovane del gruppo col quale nella mattinata ha condiviso l’esperienza della tomba vuota, a rintracciare l’amico e, se possibile, fargli compagnia fin quando non avrà trovato una ragione per vincere la sua delusione e consentire al calore della fede di riscaldargli finalmente il cuore intorpidito dal dolore.
Dopo qualche concitato passo e senza meta fissa, girovagando per la città nella notte illuminata dalla luna, Tommaso ha deciso di ripercorrere i luoghi di Gerusalemme che hanno visto l’epilogo del dramma. Egli ha appena ascoltato i discepoli riferirgli, con le stesse parole della Maddalena, l’esperienza del risorto; ma nella concitazione costoro sono stati poco convincenti. Già in precedenza Tommaso aveva dimostrato una particolare predisposizione nell’analizzare tutto e considerare l’esperienza quotidiana con pragmatica concretezza. Egli vuole vedere, non è disposto a credere ciecamente. Ha condiviso l’esperienza in Galilea e in Giudea; tuttavia, per fare una scelta definitiva, ha bisogno di mettere nella vita di Gesù non solo dito e mano, ma tutto se stesso; soltanto allora può diventare il gemello. Perciò, non crederà finché non l’avrà seguito fino a questo punto. Didimo percepisce nel profondo del suo animo la strada giusta, ma non è ancora pronto a percorrerla.
[1] Giovanni 13,36
[2] A proposito del rinnegamento e del pentimento di Pietro Marco 14,29-31.54-72.