I problemi in agenda sono molteplici e rilevanti, motivo di prevedibili divisioni e spaccature sia lungo confini sociali ed economici, che etnico-nazionali per l’emergere di un neonazionalismo critico nei confronti del globalismo di Francesco. Emergono i contrasti per la questione del gender e sul ruolo della donna nella Chiesa, oltre alla mai risolta e sempre più confusa azione di una minoranza fedele a riti liturgici preconciliari. Affiliazioni ideologiche rinvengono la loro bandiera nella battaglia per i valori non rinegoziabili determinando un effetto polarizzatore che genera persistente confusione. La situazione è complicata dal progressivo ridimensionamento delle chiese locali europee e lo spostamento verso il Sud del mondo. Si determina una fase ancora più accelerata della de-europeizzazione e de-occidentalizzazione, mentre si sollecita un’attenta riflessione per cogliere le conseguenze sulle caratteristiche dei blocchi sociali, economici e politici.
Papa Francesco non vuole rafforzare i muri di protezione del giardino cattolico in una società globale multi-culturale e multi-religiosa. Il suo modello è una Chiesa in uscita, non un fortino, rifugio ideologico del cattolicesimo timoroso della secolarizzazione e del liberalismo teologico e politico. Costante critica, a volte con toni taglienti, egli rivolge al clericalismo e alla polemica sulla modernità per superare ossessivi pessimismi e restituire al laicato una nuova missione. Una considerazione particolare va fatta per quanto riguarda l’impegno delle donne nella Chiesa, risorsa per la quale è prevedibile un proficuo utilizzo se si superano convenzioni e stereotipi. Ovviamente il papa è consapevole della posizione assunta in passato dal magistero, condizionato dalla tradizionale esegesi biblica e dal contesto socio-culturale dal quale ha tratto spunto la prassi imponendo vincoli uniformi a un contesto che ha sperimentato una marcata evoluzione. Se si pensa che la Theotokos, pienezza della perfezione, è tale perché donna, allora non bisogna aver paura della propensione a una radicale revisione teologico-canonica. Ulteriore campo d’impegno per i laici è la politica. Francesco, prendendo spunto dal discorso all’Azione cattolica del 30 aprile 2017, invita i cattolici organizzati a dedicarvisi con passione educativa e convinta partecipazione. Il papa non sollecita la costituzione di un partito cattolico, ma l’impegno a rendere concreta l’ispirazione cristiana. Essa può trovare pratica realizzazione a carattere trasversale grazie alla propria radice popolare per esaltare una vera partecipazione democratica e sollecitare un fecondo processo di cambiamento rinnovando la pratica economia, l’amministrazione della giustizia, la ricerca della pace salvaguardando l’ambiente.
Il papa è diventato un punto di riferimento grazie alla sua capacità d’ispirare fiducia. Guida per ricercare senso e conferire sicurezza, egli fonda il suo operato su una immediatezza di relazione che esalta la concretezza del vangelo, al quale rimanda per raggiungere il cuore dei problemi. Pronto a praticare la cultura dell’incontro, il Francesco non teme di gettare ponti per conferire speranza soprattutto ai più deboli e fragili. Così egli ha cambiato la prospettiva della chiesa nel modo di operare nella sfera civile intessendo rapporti con i poteri politici senza badare a collocazioni nel mondo; si è impegnato a superare i fondamentalismi per costruire una società tollerante nell’accettare un sano pluralismo, rispettoso della vera giustizia. Il suo è un linguaggio con pochi riferimenti all’ufficialità del politichese; parla di misericordia e la sollecita oltre i confini di una superata geopolitica e consolidate differenze culturali e religiose. La sua prospettiva è orientata dall’attenzione ai poveri, al Sud del mondo, ovunque i popoli patiscono oppressioni; attento ai segni dei tempi che caratterizzano le periferie, egli richiama l’attenzione di tutti per la cultura dello scarto, come ha fatto nel discorso alle Nazioni Unite. Il suo impegno di animazione socio-politica ricorda quello svolto da Paolo VI, per il quale Bergoglio nutre un particolare legame teologico; non meraviglia, quindi, se l’Evangelii nuntiandi dell’8 dicembre 1975 ispira la visione pastorale di Evangelii gaudium. Nei rispettivi documenti, i due pontefici cercano d’incidere nello scenario internazionale con la stessa determinazione, praticano l’arte della politica senza pregiudizio per la dimensione spirituale, impegnati a superare una moralistica prassi sociologica o istituzionale.
Per imitare Cristo la Chiesa deve superare il fascino della ricchezza e recuperare il senso teologico della povertà per raggiungere tutti i cristiani. Bergoglio ha fatto di questa scelta la missione principale anche quando tratta questioni internazionali. Non teme di prendere iniziative; moltiplica i rapporti personali trasformandosi di fatto nel primo nunzio della Santa Sede. In più occasioni è intervenuto senza chiedersi in via preliminare se il suo gesto sarebbe stato efficace. Nel 2013, ha scongiurato un intervento statunitense in Siria; a giugno 2014 ha sollecitato il dialogo tra Shimon Peres e Abu Mazen in Vaticano. In America Latina ha aiutato a superare la crisi facilitando l’accordo di pace in Colombia, ha mediato in Venezuela, s’è impegnato perché finalmente tra Stati Uniti e Cuba terminasse la guerra fredda. L’inaugurazione dell’anno santo straordinario nella Repubblica Centrafricana è stato un invito alla riconciliazione tra cristiani e islamici, mentre a Lampedusa non ha esitato a denunciare lo scandalo di migranti, profughi di guerra, minoranze etniche perseguitate richiamando la responsabilità di chi è demandato a mantenere giusti equilibri internazionali. Non ha fatto ricorso a felpate note diplomatiche quando ha dovuto denunciare genocidi commessi nel passato, come nel caso degli Armeni, o quelli ancora perpetrati in Medio Oriente, in Africa e in Asia. Di fronte al dolore dell’uomo Francesco mette da parte prudenze e assume posizioni chiare, pronto a deplorare, se necessario, anche a costo d’incomprensioni da parte di chiese locali attente a preservare spazi clericali o specifiche concezioni etnico-politiche.
Questo modo di procedere ha posto la Santa Sede al centro delle relazioni internazionali sia in Iraq che in Siria quando Francesco ha prospettato soluzioni politiche e non militari osteggiando operazioni statunitensi o russe. Significativo è il contrasto con Trump. Bergoglio sembra collocarsi agli antipodi innanzitutto psicologicamente rispetto all’attuale inquilino della Casa Bianca, mentre è sollecito nel prestare attenzione ad ogni segno di apertura proveniente da Pechino. Consapevole del potenziale ruolo di un cattolicesimo mondialmente diffuso, il papa moltiplica l’impegno per il dialogo allo scopo d’implementare una pace giusta in grado di garantire sviluppo e consolidare il rispetto dei diritti umani. Segue in ciò gli orientamenti di Montini nei cui discorsi erano sempre presenti i poveri, l’umanesimo, lo sviluppo, la giustizia e la pace per elaborare una teologia politica in Europa e prospettare un radicale mutamento sociopolitico in America Latina.
Il nuovo orientamento è simbolicamente delineato dalla limitazione dei viaggi nell’Europa, pericolosamente invecchiata, per prediligere direttrici verso il Sud e l’Oriente dove, a giudicare dal trend demografico e socio-economico, si deciderà il futuro dell’umanità nel XXI secolo. La scelta pone Francesco in rotta di collisione con i potentati economici e finanziari, impegnati a salvaguardare i propri interessi mantenendo il mondo in una permanente condizione d’instabilità. Egli non esita a criticare la globalizzazione dell’indifferenza, sollecita nel praticare la cultura dello scarto. Ha dato voce a chi non ha potere e, perciò, emarginato; prevedibile, quindi, la reazione di chi lo accusa di essere comunista o anticapitalista per la continua denuncia dell’emergenza migratoria, un esodo biblico di un continente in movimento. I contenuti di questo magistero sociale insidiano tradizionali punti di vista, mettono in discussione acquisite sicurezze materiali e le certezze culturali che ritengono le periferie il luogo dell’assenza di Dio. Francesco capovolge la prospettiva e le considera, invece, lo spazio che consente al cristianesimo di rinascere. Egli valuta la condizione di frontiera il punto di partenza di un’indilazionabile riforma della Chiesa. A queste condizioni è possibile rinverdire comportamenti e sensibilità etica superando l’orrore del vuoto e approdare ad un umanesimo condiviso, porre fine al processo di secolarizzazione che destabilizza la possibilità stessa di un profilo morale della sfera pubblica. Nella condizione postmoderna, segnata dal crollo delle ideologie, politica, diritto, economia, biologia pretendono di tracciare il percorso etico della conoscenza formale di un codice in grado di aggiornare la morale nella sua ingiunzione normativa del dover-essere. Ma é reale il rischio di precipitare nell’autonomia illimitata della libertà che, per il suo evidente nichilistico vuoto, mina di fatto alle radici società e ogni tipo di cultura. Alla fine essa si risolve in una esaltazione dell’individualismo che impegna all’auto-realizzazione e diluisce la responsabilità della dedizione per il bene comune. Così si è ossessionati dal godimento della cornucopia dei mezzi senza percepire la depressiva assenza del fine; invece, la persistente ricerca della verità deve aprire la mente e il cuore alla giustizia che esalta la prossimità fraterna dell’altro.
Di tutto ciò sembra che nell’opulento Occidente sia rimasto ben poco; perciò ci si dovrebbe rimettere in viaggio perché il giorno dei primati sembra tramontare. Per tanti in questa area del mondo dalla ricchezza sfrenata e dalle insopportabili ingiustizie veramente si sta facendo sera; per non precipitare nell’oscurità della caverna della tragica irrazionalità, che spoglia di ogni residua umanità, Francesco si è impegnato in un difficile viaggio nel continente dove per millenni le fedi si sono incontrate e le culture mescolate senza confondersi ma riconoscendo l’importanza di operare per il bene comune. Armato di profonda fede nell’unico Dio misericordioso, il papa spera che l’esperienza secolare di civiltà delle patrie mediorientali possa porre un freno agli spericolati protagonismi di chi opta per superati e insostenibili unilateralismi e consentire agli operatori di pace di venire a capo delle barbarie perpetrate da chi è, a sua volta, precipitato in una indescrivibile inciviltà. Non vi saràpace senza adeguata educazione dei giovani rispondente alla loro natura chiaramente relazionale; quindi é controproducente irrigidirsi e chiudersi. Occorre conoscere ciò che appare diverso, rendere fecondo il dialogo tra passato e presente grazie a un’intelligente ermeneutica della storia, imparare che dal male deriva solo male. Su questa base si fonda il dialogointerreligioso che, senza secondifini, valorizza l’identità, rispetta l’alteritàe anima la sinceritàd’intenzione. L’impresa richiede pazienza per trasformare storiche rivalità in collaborazione, convinti che l’unica alternativa alla civiltàdell’incontroè la tragica e mortale inciviltà dello scontro.