“Andare piano” è come andare controcorrente in un mondo dove la velocità divora il “gusto” di vivere e, perfino, di esistere.
Solo andando piano si possono assaporare le visioni che si manifestano nei territori delle aree interne che partendo dai ricordi rarefatti del passato ci fanno immaginare ancora, un po’, di futuro per i luoghi dell’anima.
Immaginando l’impossibile e nemmeno desiderato “ritorno” al tempo che fu, ci si può proiettare in avanti andando ad occupare spazi e luoghi che, se pur diversi, non ci sono diventati del tutto sconosciuti.
“Se i bambini e i giovani sono pochi, è doveroso riservare loro più cura e attenzione. Se gli alunni scarseggiano, è più urgente scovare e praticare metodi didattici e modelli organizzativi congrui con la scarsità. Se le case vuote sono molte, è tanto più importante attivare interventi per attrarre nuovi abitanti, permanenti e temporanei. Se le imprese difettano, ancor più imperativo è incoraggiare e favorire la nascita di nuove iniziative imprenditoriali centrate sulla valorizzazione di chi ancora resiste.”. Questi, sintetizzando fino all’estremo, sono gli obiettivi di tutti i progetti SNAI (Strategia Nazionale Aree Interne);
Don Lorenzo Milani, confinato a Barbiana, un piccolo borgo situato nel Mugello sull’Appennino Toscano, già a metà del XX secolo, richiamava l’attenzione sul fatto che “Il problema degli altri è uguale al mio. Uscirne tutti insieme è la politica, uscirne da soli è l’avarizia”.
Bisogna riconoscere che la “politica”, dotando “SNAI” di risorse importanti, ha compiuto di passi in avanti nella direzione giusta: ha riconosciuto che sarebbe, se non lo è già, un “delitto” lasciare precipitare oltre mille piccoli borghi nell’oblio demografico restando con le mani in mano e affidando il loro destino alla deregulation demografica.
Allo stesso tempo, ha consegnando alle 72 aree interne aggregate risorse aggiuntive per rimodulare il futuro sociale, economico, ambientale e culturali delle singole realtà: valorizzando le peculiarità storiche, aprendo nuovi spazi, creando nuovi servizi, rendendo più “conveniente” il restare che il partire, alzando l’asticella dell’innovazione, azzardando l’introduzione di risorse oggettivamente “squilibrate” a favore e dirette a riequilibrare condizioni di vita delle aree più svantaggiate e lontane dai grandi agglomerati urbani.
Già il fatto che i territori periferici sono stati capaci di guardarsi allo specchio, rilevare le patologie, le fragilità del sistema e progettare un futuro possibile; è un segno di vivacità creduto compromesso.
La consapevolezza acquisita e le risorse consegnate nelle mani degli attori locali ha consentito loro di immaginare soluzioni utili a rafforzare la spinta in avanti che proviene, forse, dalla “disperazione”.
Ora è il momento della messa in “prova”; la speranza è che le ragioni del “voler essere” siano più forti della “fantasia del voler apparire”.