di L.R. Affermare, come fa Socci, che il cristianesimo di Bergoglio sia una concessione ai desideri del mondo, una novità rispetto ai fondamenti della fede è una frase senza senso, pronunciata da chi mastica di teologia ma con l’approssimazione di un giornalista tuttologo! Se c’è una caratteristica nel papa è la continua attenzione alla tradizione dei primi secoli, fondamento dell’identità cristiana. E’ vero che gli intellettuali hanno sempre amato lo sport del tiro alla giacchetta nei confronti dei pontefici in modo da farli corrispondere allo stereotipo da loro ipotizzato, ma dubitare che il papa sia cattolico perché dimostra una grande sensibilità e rispetto per la coscienza di ciascuno significa non aver compreso fino in fondo il messaggio liberatorio di Cristo. Non è vero che Francesco evita i temi scomodi per cavalcare l’ovvio, come l’ambiente. Del resto, innamorato del creato, a conferire il primato nella scala della bellezza ai gigli del campo è stato proprio il Maestro. Il più grande scandalo per irriducibili critici sarebbe l’annuncio della disponibilità di Dio a perdonare sempre. Ebbene questi insigni teologi ed esegeti hanno mai considerato l’effettiva profondità di significato delle parabole di Gesù? E’ un corpo di racconti che tutti attribuiscono in massima parte direttamente al Maestro di Nazareth, quindi può essere considerato un insegnamento che riflette a pieno il suo pensiero. A dominare in quelle parabole è il Padre che perdona e l’invito alla fratellanza, metro di misura per essere buoni riconoscendo in tutti il prossimo. Forse nelle denunce è possibile riscontrare una certa gelosia per il fatto che Francesco sia diventato una star, certamente non sollecitata con atteggiamenti da divo, ma perché la semplicità della sua vita attrae folle bisognose di testimoni autentici nell’era dell’immagine virtuale. La contraddizione persiste quando da una parte lo si accusa di divismo e dall’altra ci si lamenta per il calo di fedeli a San Pietro, come se la qualità della vita si potesse misurare con parametri quantitativi! Il crollo delle messe domenicali in Italia probabilmente trova una sua causa nella pastorale e nell’azione della gerarchia, sovente agli antipodi rispetto all’indirizzo impresso da Bergoglio, e le vicende poco edificanti delle cordate vaticane con i balletti di scandali certo non aiutano! L’effetto Francesco, secondo Sandro Magister, ha determinato grossi interrogativi che hanno annichilito alcune frange delle conferenze episcopali, come l’italiana. Il vaticanista denuncia alcune contraddizioni notando nella biografia del papa un modo di agire a diversi registri con varchi aperti e fa derivare ciò dalla spiritualità gesuitica capace di adattamenti secondo le situazioni. Nell’episcopato italiano i più a disagio sembrano essere personaggi come Caraffa e Scola, esponenti di quel movimento di Comunione e Liberazione che, a giudicare dai frutti, come invita a fare Gesù, lascia molto perplessi. Inoltre, il risentimento di Scola è comprensibile a livello personale data la cocente delusione patita. Si tratta di una guerra di posizione di chi aveva intravisto un futuro radioso dopo le dimissioni di Benedetto e si è visto ridimensionato per l’emergere di posizioni teologiche identificatesi con le tesi di Kasper e, in Italia, con quelle di Bruno Forte, contingenza che fa riemergere l’ombra benefica di Martini. Intanto si tenta tutto per mettere in difficoltà Francesco, ricorrendo perfino alla denuncia di una elezione invalida per una scheda in più durante una votazione al conclave, pretestuoso argomento di Socci come è stato dimostrato in sede critica e stigmatizzato dallo stesso Magister. Si denuncia anche la differenza tra la popolarità dentro la chiesa dei due predecessori e quella del papa ritenuta una popolarità fuori, come se Gesù non avesse detto di andare e battezzare e non di rimanere per conservare! Si accusa ancora Francesco di imprevedibilità che turberebbe la tranquillità del cattolicesimo medio; ciò, invece, genera disagio a chi non era abituato a pensare per conto proprio quanto a fede e costumi e si trincerava dietro un comodo e deresponsalizzante “seguiamo il papa”. Ovviamente di questo dibattito si riscontrano riflessi in tutta la chiesa italiana e, di conseguenza, anche nella nostra diocesi dove, sotto la cenere si nota una diffusa riserva mentale nei riguardi dell’attuale pontefice. Sia nei dibattiti nel clero, sia su siti parrocchiali e di singoli sacerdoti un’intensa attività pastorale telematica propone in termini virtuali elementi che colpiscono l’emotività, lasciando a volte un sostanziale vuoto. Sovente a questo dialogo a distanza partecipano fedeli a senso unico, che si scambiano il classico “mi piace” per scaricare pulsioni anche aggressive e, certamente, poco cristiane contro i portatori del male, di solito i poveri migranti infedeli, dimentichi di chi siano i prediletti di Jahvé! Pronti a maneggiare il Timone e sicuri di aver guadagnato una Nuova Bussola Quotidiana, alcuni sacerdoti manifestano un’appassita nostalgia per il bel tempo che fu, dando la sensazione di essersi fermati al 2013; altrimenti non si spiega perché, per commentare la liturgia della scorsa settimana santa, il riferimento costante è stato Benedetto, salutato come papa, dimenticando di aggiungere l’aggettivo emerito, al punto da legittimare il convincimento che l’eventuale lapsus costituisca sostanzialmente un utinam! Tra nostalgiche evocazioni di splendide liturgie scandite da ori scintillanti e nuvole d’incenso, intervallate da riferimenti alla regalità di gloriose dinastie, si esaltano devozioni cortigiane di spoglie di beate pellegrine ignote al contesto cilentano. Insomma, mentre Francesco invita la chiesa a praticare l’insostituibile missione di ospedale da campo per donare la tanto necessaria misericordia, da più parti si evoca una fede che richiama quella della manzoniana Prassede per la reiterata confusione tra la volontà di Dio e la propria. Ed ancora non c’è stato il pronunciamento circa le conclusioni del sinodo dello scorso anno sulla famiglia con le prevedibili, ulteriori prese di posizione di autorevolissimi collaboratori delle figure apicali della nostra diocesi formatesi alla luce degli scritti e degli slogan di teologi radicati in una sterile conservazione!
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