La fase 2 legata all’emergenza Covid19 è sinonimo di speranza, aspettative e voglia, ma, in parte, anche di incertezze, polemiche e paure. Capita così che nel Vallo di Diano si riparta, dovendo fare i conti sia con le consuete difficoltà, precedenti al Coronavirus, che con le scorie che l’emergenza porta con sé.
Servizi e infrastrutture carenti caratterizzano il comprensorio insieme ad un discreto fermento imprenditoriale, rappresentato da tante piccole aziende e da qualche eccellenza. Imprese, in particolare le più grandi, che rappresentano una delle poche “ancore di salvataggio” per coloro che non vogliono trasferirsi altrove.
Le diverse settimane di blocco hanno determinato diverse criticità per le attività produttive e commerciali del territorio. Molte hanno riaperto, pur con problemi e timori, altre si apprestano a farlo, mentre altre ancora hanno dichiarato di non volerlo fare.
Alcuni lo hanno fatto attraverso l’appello video “Noi non apriamo”. Si tratta di titolari di attività ristorative e ricettive del Vallo di Diano e del Cilento. Per mezzo di un video, infatti, diversi responsabili di hotel, bar, ristoranti, pizzerie, pasticcerie, locali, agriturismo, affittacamere e gelaterie hanno evidenziato le criticità legate alla ripartenza e consegnato simbolicamente le chiavi delle proprie attività.
Gli stessi, nel sottolineare che i propri dipendenti non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione e che, dopo 2 mesi di chiusura, le risorse non permettono loro di effettuare spese ulteriori rispetto a quelle già sostenute, si sono detti stanchi di pagare senza ricevere.
Tra le cose da loro richieste: cassa integrazione fino a dicembre, annullamento dell’Imu per sempre, non pagare oneri di sistema sulle utenze, annullamento Tari e Tasi per il primo semestre del 2020, aiuto di liquidità a fondo perduto e promozione del settore turistico e ristorativo. Interventi, almeno alcuni di essi, non facili (per non dire impossibili) da attuare, anche perché dovrebbero riguardare un gran numero di attività in tutta Italia.
In riferimento ai settori appena accennati, ma anche ad altri che hanno dovuto fare i conti con il lockdown, nel Vallo di Diano spuntano sempre più testimonianze e storie, alcune delle quali non proprio edificanti. C’è chi comunica ai propri dipendenti di non poter più assicurare le stesse condizioni economiche pre Covid 19, chi pensa a ridimensionamenti (in alcuni casi “tattici) e chi, alla luce di prospettive, a suo dire poco rosee, ha già deciso di non ripartire ed orientarsi verso settori diversi.
Bisogna, inoltre, fare i conti con le numerose situazioni di “disagio” relative a condizioni di lavoro precario, sommerso o ben poco gratificanti, che il virus ha, in parte, accentuato. Dinamiche, queste, che naturalmente non rappresentano una peculiarità del comprensorio, ma che, in un contesto scarsamente “aperto” verso l’esterno, rischiano di assume contorni ancora più preoccupanti.
Non mancano, tuttavia, nuove iniziative o aziende alla ricerca di personale per il rilancio.
Intanto anche l’imprenditore Carmine Cardinale, titolare di una delle aziende più grandi del Vallo di Diano (più di 250 dipendenti) lancia il proprio grido d’allarme, evidenziando l’urgente bisogno di liquidità per le aziende. Molte delle quali, a suo dire, registrano estreme difficoltà nel riaprire o potrebbero non farlo più.
“La situazione già era difficile prima e ora lo è ancora di più – afferma. E’ come una guerra e non si può più perdere tempo. Tre mesi sono praticamente già trascorsi, ora bisogna rialzarsi. Dopo la distruzione, c’è la ricostruzione, ma il tempo è poco”.
Cono D’Elia