Sono trascorsi sei anni da quando l’immagine del corpo senza vita del piccolo Alan Kurdi, ritrovato su una spiaggia, impressionò l’opinione pubblica di tutto il mondo, diventando il simbolo del dramma della crisi dei migranti in Europa.
La famiglia di Alan, per fuggire dalla guerra civile in Siria, era arrivata in Turchia con la speranza di raggiungere l’isola greca di Kos per poi trovare il modo di ricongiungersi ai propri parenti già stabilitisi in Canada. Alan, insieme ad altri 12 migranti, perse la vita il 2 settembre 2015 annegando in mare nel viaggio fallito alla volta di Kos, a bordo di un gommone di trafficanti di esseri umani.
Bodrum, Lampedusa, Moria, Calais, Ventimiglia sono solo alcuni dei luoghi in cui si sono infranti i sogni di migliaia di migranti a causa delle continue difficoltà incontrate dall’UE nel realizzare un’efficace solidarietà tra i Paesi membri, in grado di superare le criticità della gestione dei flussi migratori attraverso una maggiore cooperazione tra governi e la realizzazione di politiche di accoglienza di qualità, in un quadro di regole condivise.
In questi ultimi giorni la pressione migratoria è tornata all’attenzione dei media e dell’opinione pubblica attraverso immagini iconiche che raccontano la crisi migratoria di Ceuta, mostrando una giovane volontaria della Croce Rossa che abbraccia uno dei migranti arrivati dal Marocco e un sommozzatore della Guardia Civile spagnola che trae in salvo un neonato dal mare.
Ceuta, città autonoma spagnola situata nella punta settentrionale del Marocco, sullo stretto di Gibilterra, rappresenta una via d’accesso all’Europa dall’Africa; per questo motivo la Spagna ha cambiato il volto della città installandovi un poderoso sistema di protezione militare corredato da alte recinzioni e barriere per impedire l’accesso al mare.
Dalla fine degli anni Novanta il fenomeno migratorio da Ceuta alla Spagna è sempre stato presente, ma nella notte tra il 16 e il 17 maggio scorso, ha assunto dimensioni senza precedenti: il governo spagnolo, di fronte all’arrivo di ottomila migranti sulle spiagge di questo lembo di terra, ha schierato l’esercito rimandando in Marocco la metà delle persone.
L’arrivo a Ceuta di migliaia di persone, in prevalenza giovani marocchini, rivela l’intenzione del Marocco di utilizzare la disperazione di intere famiglie, che cercano di lasciare il Paese, come rivalsa nei confronti del governo spagnolo che, a fine aprile, ha accolto per cure mediche Brahim Ghali, leader del Fronte Polisario. Ghali, infatti, è il leader del fronte per la liberazione del Sahara Occidentale, ex colonia spagnola, da tempo contesa tra il Marocco e il Fronte Polisario che, nel 1976, ne dichiarò l’indipendenza istituendo la Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi.
Tuttavia, la crisi diplomatica in atto tra Madrid e Rabat si inserisce nel quadro della disponibilità di fondi europei destinati ai Paesi d’origine e di transito dei migranti per la gestione dei confini e delle frontiere. Di fatto, anche il Marocco, secondo una strategia già adottata dalla Turchia in merito all’accordo con l’UE del 2016 per la gestione dei flussi migratori, sta giocando la carta del ricatto all’UE nella partita dell’esternalizzazione dei confini in modo da ricevere più denaro per controllare e limitare le partenze dal proprio Paese.
Dunque, ancora una volta, mancano soluzioni strutturali e si preferisce giungere ad accordi economici con Paesi terzi affinché blocchino i flussi migratori verso l’Europa che, così facendo, si indebolisce sul piano politico e perde credibilità nella tutela dei diritti e della dignità delle persone.
Intanto, nella complessità del fenomeno migratorio, il Marocco rivendica il proprio impegno nella lotta all’immigrazione irregolare e ritiene ancora aperta la crisi diplomatica con Madrid, responsabile, secondo Rabat, per aver accolto di nascosto il capo separatista del Polisario, accusato di crimini di guerra contro dissidenti sahrawi.
di Ilaria Lembo