Per una coincidenza fortunata della vita, dal 1972/73 al 2000, ho vissuto una esperienza straordinaria che mi ha fatto crescere, e molto, nel segno della cultura, come uomo e come cittadino di respiro internazionale. Tutto nacque da una intuizione felice di lavoro: la proposta di una trasmissione su RadioRai, dal titolo “OBIETTIVO EUROPA”, che dibattesse i problemi dell’Unione Europa con ricaduta sull’Italia e quelli italiani a proiezione europea. La proposta fu accettata e me ne fu affidata l’ideazione e la conduzione con ben tre ore settimanali sulla prima rete radiofonica. Durò circa 30 anni dal 1972 al 2000, appunto negli anni cruciali della costruzione dell’UE, che, dopo l’elezione del Parlamento a suffragio universale e diretto, anno dopo anno, si allargava con entusiasmo a nuovi stati membri fino a raggiungere la soglia dei 28 riempiendosi di contenuti con trattati di ampio respiro: Schengen e Maastricht e poi i grandi progetti transnazionali (Erasmus), i gemellaggi e l’ibridazione della cultura nel segno della conoscenza di popoli e civiltà e nel clima della pace che ci ha fatto conoscere ed amare la nostra comune matrice europea. Avevo una postazione fissa al Parlamento di Strasburgo ed una alla Commissione di Bruxelles. Dai miei microfoni radiofonici (RAI) passarono politici, economisti, intellettuali di respiro internazionale. Ci furono anche allora difficoltà e tempeste diplomatiche, ma erano prevalentemente di crescita. Ricordo che in una di queste ebbi la fortuna di intervistare François Mitterand, (mi aiutò molto la mia militanza socialista con la mediazione di un collaboratore del Presidente), che chiuse l’intervista con una dichiarazione emblematica che aveva del profetico “Mon cher jeune caramarade- mi disse- ou l’Europe sera socialiste ou non sera”. E da allora posi sempre più l’attenzione critica su una politica, del Parlamento e della Commissione UE, che privilegiava la direttrice Est-Ovest, a scapito di quella Nord-Sud; e cuore e ragione mi portavano a guardare con malcelata simpatia all’Europa del Mediterraneo con l’enorme patrimonio dei suoi valori di cultura materializzati nei miti, nella grande storia, nell’arte e nei monumenti a fronte di quella del Nord che vantava patrimonio sconfinato di ricchezze, di potere finanziario, accumulato con il culto tipicamente calvinista del lavoro. E nella mia ingenuità, di utopia folle, sognai una equa redistribuzione della ricchezza, possibile se fecondata dalla circolarità della CULTURA Est-Nord-Ovest-Sud. Ma l’egoismo ha avuto la meglio ed il referendum della Gran Bretagna con la vittoria del Brexit ha vanificato un sogno di pace durato 80 anni circa. Non nascondo la mia delusione vissuta con un misto di stizza verso gli Inglesi, che hanno ubbidito alla logica dell’egoismo e si sono lasciati incantare dalle sirene del populismo. Ora c’è da temere un effetto domino nei paesi dall’europeismo incerto, e sono tanti, e dalle lacerazioni invocate a gran voce dai populisti di professione che si agitano anche all’interno dei PAESI di saldo e radicato europeismo. Italia, compresa. Quello che preoccupa di più è la diffusione contagiosa del “tanto peggio tanto meglio” che cresce a macchia d’olio anche, e addirittura, tra ceti popolari, avvelenati dalla crisi economica, dalla mancanza di lavoro, dall’emigrazione demonizzata. Sono i tre problemi chiave su cui una classe politica responsabile dovrebbe battere più insistentemente per neutralizzare i populisti in buona fede, e ce ne sono, e quelli interessati e in mala fede che sono la maggioranza, puntualizzando: 1) Una Europa lacerata non potrebbe gareggiare economicamente con colossi tipo Stati Uniti, Giappone, Cina, ed India; 2) la Gran Bretagna, va recuperata a questo disegno strategico di caratura mondiale, ricordandole che ha salvato la democrazia in Europa aiutandola a sconfiggere fascismo e nazismo; 3) l’Europa del Sud è erede di storia e valori che le consigliano di aprire confronti, lanciare ponti e facilitare meticciati ed ibridazioni di civiltà, di cultura, di economie, e, conseguentemente, di lavoro e di pace, con l’area vasta del Mediterraneo e del vicino Oriente. Ognuno deve fare la sua parte, anche qui da noi, in provincia di Salerno in generale e del Cilento in particolare dove esiste e si fa sempre più drammatico il problema di una classe dirigente incapace d far emergere dal proprio passato i principi ispiratori di una Europa moderna e che si possono sintetizzare così: 1) L’universalismo della Magna Grecia di Paestum e Velia. 2)Il respiro mediterraneo e mondiale della scuola medica Salernitana e della Repubblica Marinara di Amalfi. 3) la positività del “ribat” di Agropoli. 4) Il mito di Palinuro, il Grand Tour e la letteratura di viaggio come proposta di turismo di qualità nel segno della Cultura. 5) Il monachesimo di respiro europeo (La Certosa di Padula). 6) L’esperienza dell’emigrazione e la legge dell’accoglienza.
Di questi temi ho parlato e scritto molto negli anni, ma ritengo che sia opportuno ritornarci ancora. E lo farò, perché questi temi entreranno nella coscienza della gente con radicata convinzione se c’è una Classe dirigente all’altezza del suo compito, capace di tacitare nell’immediato la canea degli imbonitori di turno con la spudoratezza senza limiti di pontificare di strategie di Politica europea. È questa la “mission” della Politca più responsabile. E vanno in questa direzione le riflessioni che faccio qui di seguito.
Tutti noi di sinistra, intellettuali e non, ci siamo educati e formati politicamente alla lotta di classe nei decenni postbellici, negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. Ma da allora ne è passata di acqua sotto i ponti! Appartiene al vissuto storico collettivo l’epopea dei contadini per l’occupazione delle terre. Ed è archiviata, a volte, finanche la memoria dei morti di Melissa e Montescaglioso per abolire il latifondo ed immettere nel mercato fecondo della produttività la proprietà contadina.
Oggi la classe contadina non c’è più, frantumata in categorie spesso in rapporto conflittuale tra di loro. All’epoca c’era la grande industria, pubblica e privata, che già mungeva abbondantemente alle poppe dei contributi dello Stato e, di fatto, influenzava, a volte imponeva, le linee dello sviluppo alla Politica compiacente, se non addirittura asservita. Oggi c’è la media e, soprattutto, la piccola impresa, l’esercito delle partite-Iva, che, di fatto, dà cuore, intelligenza e professionalità al 90% della produzione del settore. Ed anche in questo mondo la crisi e la frantumazione è sotto gli occhi di tutti. Il ceto medio, che in Italia storicamente non è mai riuscito a configurarsi come classe, è polverizzato in mille molecole orgogliosamente e cocciutamente ancorate alla propria specificità, spesso preoccupate di rasentare la soglia delle nuove povertà.
A seguire è schierato l’esercito dei pensionati, con poche vergognose nicchie di privilegio e falangi di piluccatori di briciole alle prese drammatiche del miraggio di fine mese.
E, ancora, la massa di commercianti e di artigiani, tanti onesti a reggere a fatica le sorti di mini-aziende familiari, tantissimi furbi a gonfiare portafogli e conti in banca con la evasione fiscale.
Da alcuni decenni, poi, la marea del meticciato degli extracomunitari, se e quando riesce a sopravvivere ai burrascosi naufragi degli sbarchi clandestini, inonda città, villaggi e campagne per un lavoro, mal pagato e niente affatto tutelato. Ed inquina e falsa, di fatto, occupazione e reddito.
Sono questi soltanto alcuni aspetti della mutazione antropologica, sociologica e politica della nostra società. Ed, ovviamente, una sua lettura in chiave di lotta di classe sarebbe insufficiente, inadeguata ed ampiamente superata, Forse le chiavi interpretative del fenomeno vanno trovate nell’analisi delle categorie, che conquistano spazio e protagonismo all’interno delle vecchie classi, ma più spesso le superano e le travalicano in un trasversalismo dirompente ed invasivo.
A fronte di questi cambiamenti tanto rapidi quanto epocali, la Politica confessa, impotente, prolungati attacchi di afasia o, nel migliore dei casi, balbetta incomprensibili e ridicoli bla-bla in incontri, seminari, conclavi. E cala paurosamente il consenso dei cittadini e cresce, a dismisura, la disaffezione, il rifiuto, il disgusto della e per la militanza con il grave e sempre più incombente pericolo della tenuta democratica. Questo in genere è il panorama nazionale.
Se l’analisi si sposta a livello regionale il quadro si fa ancor più allarmante con una classe dirigente, la cui afasia è addirittura cronica, e che, miracolosamente, acquista la voce e grida le proprie ragioni nelle risse, quasi settimanali, delle lottizzazioni, per promuovere, quasi sempre, incapaci ed incompetenti. Invece è attiva e scientificamente organizzata la malavita organizzata, che fa rete e sistema ed ha partita facile a stracciare la politica, impadronendosi, di fatto, dei gangli vitali della vita produttiva ed imponendo il proprio modello di sviluppo. Nel nostro Cilento, poi, la classe politica non balbetta bla-bla, né soffre di attacchi di afasia. Semplicemente non c’è, fatta salva qualche rara e lodevole eccezione.
Eppure lo sviluppo del turismo, dell’ambiente, dei Beni Culturali in chiave produttiva e che restano le uniche ricchezze da valorizzare ed esaltare, reclama un progetto efficiente e condiviso da operatori pubblici e privati, in grado di fare rete e sistema.
Un’altra classe dirigente, meno pigra, demotivata e, soprattutto, non rassegnata a vivere parassitariamente di rendite di posizione avrebbe attivato da tempo indagini di mercato,avrebbe arruolato il fior fiore di intellettuali e professionisti del settore ed avrebbe fecondato il territorio di scuole di formazione per sfornare giovani preparati e competenti nelle nuove professioni che Turismo, Ambiente, Beni Culturali reclamano ed impongono.
Così non è. E temo che sarà ancora così per lungo tempo. Ciò nonostante, i pochi uomini responsabili e di buona volontà non possono e non debbono tacere.
La Sinistra storica ha dilapidato un enorme patrimonio di lotte e di ideali. Perché? Tenterò di rispondere in un mio prossimo servizio, alla luce anche di un’analisi delle mutazioni etno-antropologiche, sociologiche e, conseguentemente, politiche delle comunità cilentane.
Ma una cosa mi sento di dire subito e con forza: Chi amministra una città/mondo come Capaccio Paestum ha il dovere di levare alta e forte la voce ed indicare la strada da seguire. Glielo impone la forza della storia di cui è erede. È questa la MISSION impegnativa che una città leader ha di fronte. Spero fortemente che la nuova classe dirigente eletta nelle elezioni del 25 giugno ne sia consapevole ed agisca di conseguenza. È il mio AUGURIO e la mia SPERANZA. È un progetto ambizioso. Lo so. Ma l’AQUILONE HA RIMESSO LE ALI PER VOLARE ALTO.