“Dare ad ognuno secondo le sue necessità e ricevere da ognuno secondo le sue possibilità” in queste poche parole si può racchiudere lo spirito e la sostanza del documento ispirato dal Direttore della Bcc di Aquara e approvato all’unanimità dal Cda, dai sindaci revisori e dai probiviri che guidano la banca.
Certo, c’è molto altro nel deliberato … ma l’intervento, appassionato ma non improvvisato, affonda le sue radici nella storia delle Casse rurali ed artigiane, prima, e del Credito cooperativo, poi. Ecco perché soci e clienti faranno bene a leggere attentamente sia il documento sottoscritto dal gruppo dirigente della banca sia il documento di Federcasse da cui è scaturito.
Infatti, solo con l’appoggio convinto dei soci e la consapevolezza dei clienti si potrà continuare a ribattere, colpo su colpo, per tenere il punto posto alla base dell’essenza stessa di una banca che sa segnare un confine netto tra la necessità di concentrare alcune funzioni per abbattere i costi e la determinazione ad omologare le scelte strategiche con ricadute forti nelle comunità dove sono incardinate da decenni.
Antonio Marino, Luigi Scorziello e tutto il gruppo dirigente, se sostenuti, potranno far valere la forza della ragione contro quella dei numeri proprio portando a corredo “i numeri giusti” che le Bcc virtuose sono in grado di far valere.
Ecco perché essere informati è il primo passo da fare nella direzione giusta per evitare di essere sorpresi e sopraffati perché distratti dai mille problemi quotidiani che si accompagnano nella nostra vita di donne ed uomini che operano in quanto tali o perché impegnati in attività economiche e imprenditoriali.
Di seguito l’intervento di Antonio Marino e la nota di FEDERCASSE.
“Signori Consiglieri e Sindaci, la distinzione non è tra banche piccole e banche grandi, ma tra banche sane e meno sane. Prima lo capiranno, là in alto nei “Palazzi”, prima sarà meglio per tutti, soprattutto per i clienti e ancor di più per quelli che producono.
Le banche si dividono in piccole, medie e grandi esattamente come i clienti che, certamente, non sono tutti delle medesime dimensioni. Dire che le banche piccole (ma sane) si devono accorpare comunque per ridurre i costi, nel caso delle BCC, equivale ad un fallimento delle Capogruppo, nate appunto per conseguire economie di scala proprio per permettere alle banche più piccole di esistere grazie ai servizi accentrati presso la Capogruppo, riducendo costi ridondanti (maggiore efficienza) ed offrendo servizi e tecnologia “best in class” altrimenti inaccessibili (maggiore efficacia). Altrimenti perché avremmo dovuto investire i nostri capitali, generati dai nostri territori, nella Capogruppo e dovuto rinunciare ad una autonomia incondizionata?!
Si può continuare a rimanere piccoli, purché si ragioni in termini di partnership cooperativa e non di
semplice fornitura. Piccolo è bello? Certamente, ma qualcuno mi dica chi sono i grandi? Le BCC sono tutte piccole rispetto al mercato rappresentato da chi non è banca cooperativa.
Le Capogruppo sono nate per coordinare e aiutare le BCC a diventare tutte virtuose nel perimetro della propria mission, e quindi ci aspettiamo più servizi, meno costi e meno fiato sul collo. È vero che è presto per giudicare, ma il buongiorno si vede dal mattino…
Le BCC piccole sono ubicate in ambiti territoriali meno urbanizzati ma pur sempre abitati da italiani che pagano le tasse ed hanno diritto ad avere servizi esattamente come i cittadini delle grandi aree urbane. Non dimentichiamo che, specialmente al Sud, il tessuto produttivo è composto per almeno il 95% da micro- imprese che, certamente, faticano ad essere accompagnate dalle grosse banche, quindi le BCC di periferia assolvono ad un compito creditizio si, ma anche di propulsore sociale.
Il Prof. Stefano Zamagni, noto studioso del mondo cooperativo, ci ha sempre detto che la BCC deve avere per metà un’anima sociale e per l’altra metà l’anima industriale. Ecco perché un legislatore accorto e sensibile alle istanze dei ceti più deboli delle attività di impresa dovrebbe disporre una gradualità di impianto normativo, meno afflittivo per le banche più piccole.
Non si possono fare parti uguali fra disuguali!
Allo stesso modo, le Capogruppo delle BCC dovrebbero essere meno pretenziose per i costi verso le BCC più piccole proprio per non mettere in ginocchio i conti economici delle stesse. Insomma, è vero che le Capogruppo non dicono alle BCC sane di fondersi e rinunciare alla loro identità territoriale ma se non praticano costi per i servizi, diversi secondo le dimensioni, alla fine si finisce per arrivare a fusioni “indotte”.
Ma siamo proprio convinti che per essere brave banche bisogna essere grossi e perciò avere
necessariamente sportelli in popolose città e attivi da capogiro? Soprattutto al Sud, se desertifichiamo i
piccoli comuni di servizi essenziali, come appunto il credito, staremo meglio o peggio? Se le nostre BCC ad un certo punto diventassero tutte delle dimensioni di BCC di Roma siamo sicuri che saremo ancora utili all’Italia degli “scartati”? E quando saremo tutti delle dimensioni della BCC di Roma, come auspicano le Capogruppo e la BCE (per loro inconfessabili necessità), siamo proprio sicuri che troveremo ancora libero lo spazio che occupiamo oggi o lo troveremo occupato da grosse banche che prima di noi si muovevano – e già si muovono, sic! – in aree e con clienti a loro più congeniali in virtù di una più longeva frequentazione? E allora, non farnetichiamo e non facciamoci prendere dalle facili illusioni! Diamo forma e valore (e certo anche attualità) ad una esperienza creditizia che dura da 130 anni e che ci permette ancora oggi di essere fenomeni pur senza volerlo. Diamo forza e valore alla cooperazione, alla capacità del capitale umano di prevalere sul capitale finanziario.
Ricordatevi che oggi se vuoi vivere bene è meglio farsi amico un contadino anziché una multinazionale del cibo…Perciò, viva le piccole BCC che sono la parte più sana del mondo creditizio al Sud e soprattutto sono quelle che avendo un rapporto impieghi/depositi più basso rispetto alle BCC del Nord hanno un indice di rischio più basso e, tramite le Capogruppo, trasferiscono ancora una volta liquidità (e ricchezza) dal Sud al Nord. E scusate se è poco!
Tra l’altro recenti statistiche ci dicono che la Campania presenta oggi 4 persone su dieci a rischio povertà. È un dato impressionante, insieme alle altre Regioni del Sud, che deve farci riflettere.
Fare buona banca qui da noi è come cavare petrolio dalle pietre per cui è più che giusto avere normative proporzionate alle dimensioni delle BCC e costi dalla capogruppo altrettanto proporzionati alle nostre possibilità. Puntare tutto sulla crescita dimensionale per aggirare l’ostacolo significa fuggire dalla realtà. I nostri problemi non si risolvono con la finanza creativa ma con le buone prassi e l’aderenza alla realtà che include anche il problema dello spopolamento, in particolare dei piccoli centri sotto i 5 mila abitanti da cui le grosse banche già fuggono”.
A questo punto si apre un’ampia discussione all’esito della quale emerge piena
condivisione della visione del Direttore ed un conseguente invito alla Capogruppo affinché:
1. Sia rispettato il più possibile lo spirito della legge di Riforma delle BCC in relazione all’autonomia delle stesse RISK BASED, indipendentemente dalla dimensione ma unicamente correlato alla virtuosità della Banca intesa anche come presidio di democrazia
economica e di diritto al credito per una giusta distribuzione delle risorse e delle opportunità tra Nord e Sud;
2. Sia assicurata alle BCC di minore dimensione (quasi tutte al Sud) una minore incidenza dei costi fatturati dalla Capogruppo per i servizi forniti nell’ottica costituzionale di dare ad ognuno secondo le sue necessità e ricevere da ognuno secondo le sue possibilità. Al Sud in particolare, dove l’economia è meno fiorente – leggasi in proposito il recente e qualificato Rapporto SVIMEZ sul Mezzogiorno – fare Banca è certamente più difficile, c’è un indice di rischio maggiore, c’è una maggiore difficoltà nell’avere redditività ma, nello stesso tempo, la Banca svolge un ruolo ancora più pregnante di valido sostegno alla crescita economica inclusiva e partecipata in territori marginali e quindi occorre unicamente valorizzarne le potenzialità;
3. In relazione al nuovo (vecchio) dibattito sulla Banca del Sud, la Capogruppo si faccia carico di fare in modo che siano le BCC le vere “Banche del Sud” assegnandole perciò, in maniera ufficiale, quel ruolo che ufficiosamente hanno sempre ricoperto;
4. Il Consiglio plaude, infine, convintamente a questa iniziativa di Federcasse e augura lunga vita a Federcasse intesa come organismo di rappresentanza politica e sindacale delle BCC che sappia rappresentare gli aspetti valoriali delle nostre banche come
contraltare dialettico rispetto alle Capogruppo, che devono invece svolgere il loro compito di motore industriale e imprenditoriale. Accorpare, in testa alle Capogruppo, come sta forse accadendo, i compiti di rappresentanza politica e imprenditoriale delle BCC sarebbe
un vulnus di democrazia economica ed andrebbe contro lo spirito e le indicazioni della legge di riforma delle nostre piccole e splendide banche;
5. Evitare assolutamente che le Bcc diventino, nel tempo e per induzione, dei semplici sportelli passivi della Capogruppo, cancellando, di fatto, quelle brillanti “repubbliche del credito locale” che sono state per 130 anni. Peggio ancora se si dovesse evolvere verso società di capitale “che non possono trovare apprezzamento in chi ha creduto per tutta la propria attività lavorativa alla fattibilità di altre visioni dell’azione economica in modo tangibile costituendo la Cooperativa ed apportando gratuitamente capitale”.
NOTA DI FEDERCASSE SULLA GIUSTA DIMENSIONE DELLE BCC
Il presidente riferisce che è pervenuta da Federcasse un’importante nota sul dibattuto problema della giusta dimensione delle Banche Bcc, di cui dà testuale lettura: “Qual è la “giusta” dimensione di una banca nell’era dell’Unione Bancaria? O quale la più conveniente?
Per gli istituti bancari la ricerca di maggiore efficienza appare oggi come una condizione essenziale per rimanere sul mercato. In questa prospettiva, il Servizio Studi di Federcasse (la Federazione Italiana delle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali) ha condotto un’analisi della letteratura specializzata per verificare quali sono i principali risultati delle ricerche empiriche effettuate nell’ultimo decennio. Una recente analisi pubblicata dalla Banca Centrale Europea (Financial Stability Review, maggio 2018) ha registrato un livello di efficienza delle banche cooperative e delle casse di risparmio superiore a quello delle banche commerciali, generalmente di maggiore dimensione.
Il modello di banca locale e territoriale ha inoltre svolto un ruolo rilevante nel sostenere l’economia italiana, come puntualmente registrato da studi pubblicati negli ultimi anni nelle Collane di ricerca della Banca d’Italia (2015 e 2016) 1. Ciò ha favorito lo sviluppo locale, come mostra ancora un’analisi svolta congiuntamente da due accademici (l’italiano Paolo Coccorese e lo statunitense Sherrill Shaffer) sui comuni italiani 2. I risultati indicano che la presenza di Banche di Credito Cooperativo (BCC) ha giocato un ruolo positivo nella crescita del reddito, dell’occupazione e delle imprese.
“Le economie di scala – ottenibili attraverso la crescita dimensionale, possibilmente tramite fusioni e acquisizioni che riducano il numero di banche – sono spesso indicate come lo strumento più adeguato a recuperare competitività e redditività”, osserva il responsabile del Servizio Analisi Economica e Statistiche Creditizie di Federcasse, Juan Lopez, che ha coordinato la ricognizione della letteratura più recente.
“Vengono così in genere considerati come obsoleti quei modelli organizzativi differenti che hanno coniugatola dimensione locale e l’efficienza. Un’esperienza tipicamente europea è quella dei network di banche locali (casse di risparmio, cooperative popolari, cooperative mutualistiche, ecc.) che mettendo in comune elementi di costo (come back office, consulenza, ricerca) e fattori di ricavo (prodotti e servizi comuni) riescono a coniugare il mantenimento dei centri decisionali nei territori, l’efficienza operativa e la ragionevole redditività in un quadro culturale e valoriale condiviso, volto a generare un impatto trasformativo nei territori stessi”. Anche la Banca Europea degli Investimenti (2016) ha messo in luce la rilevanza delle banche cooperative e delle piccole banche nello sviluppo locale e in particolare nel sostegno alle PMI3. Infine, la stabilità dei network e dei gruppi cooperativi veniva considerato un fattore positivo nel contesto più generale come hanno a loro volta dimostrato due analisti del Fondo Monetario Internazionale 4 (2007). Giovedì 24 ottobre 2019 – n. 52/19
“Ricerche e analisi autorevoli – conclude Lopez – dimostrano quindi che il modello di banca locale, rivisitato anche alla luce dei nuovi modelli organizzativi che si sono affermati in Italia, ad esempio nel settore delle BCC, è in grado di offrire un valido sostegno alla crescita economica inclusiva e partecipata, pure nei territori marginali. I Paesi che dispongono di questo asset dovrebbero valorizzarne le potenzialità”.