Il percorso culturale di Kung, l’intellettuale svizzero scomparso la scorsa settimana a 93 anni, è stato vasto ed intenso. Egli ha fatto tesoro della lezione del Vaticano II al quale partecipa da giovanissimo. Molto noto è il saggio “Dio esiste?” sul rapporto tra fede cristiana e filosofia moderna, che ha orientato tanti impegnati nel ricercare il Trascendente. Le sue opere, anche quando sono molto ponderose, esaltano la bellezza della teologia in un intellettuale impegnato a servire la verità in libertà, per nulla interessato a difendere dogmi, sensibile all’energia che illumina la mente e riscalda il cuore in un abbraccio attento non alle formule ma al processo di analisi. In ciò egli segue l’insegnamento di Gesù, che non si ferma al rito, all’appartenenza legale, ma fa sperimentare l’energia dell’amore.
La formazione del teologo svizzero parte dallo studio di Barth, si concentra sull’ecumenismo, studia le grandi religioni, il rapporto tra fede, scienza ed economia dopo aver analizzato quello tra fede ed ateismo, approda nel progetto dell’etica mondiale per superare i particolarismi confessionali. E’ veramente riduttivo presentarlo come il teologo del dissenso perché egli ricerca il vero consenso e per questo sollecita il viaggio comune verso la verità. Questo suo pellegrinaggio lo fa approdare alla condizione di teologo “cosmico”, secondo l’uso che Balducci fa dell’ aggettivo. Impegnato a trovare consensi più ampi, egli è guidato da inesauribile energia mentale, della quale fornisce una inconfutabile prova nelle “memorie” dei primi quattro decenni del suo esperienza: la giovinezza in Svizzera, la scelta di diventare prete, gli studi a Roma, il Concilio, le amicizie, il conflitto per la pretesa d’infallibilità di una gerarchia abbarbicata a regredienti conservatorismi, la difesa delle istanze del vero “depositum fidei” indagate teologicamente. Egli parte dalla domanda sull’esistenza di Dio e risponde considerando la certezza di sé per pervenire alla certezza del Signore, un itinerario nel pensiero filosofico con una costante attenzione alla libertà; perciò evita libero pensiero e tomismo, cedimenti all’ateismo umanistico contro il razionalismo, esalta la razionalità ritenendo l’ateismo una sfida permanente di pari passo con le rivoluzioni scientifiche, convergenti nel tentativo di rimuovere la religiosità. Denuncia il nichilismo privato e sociale; perciò, per salvaguardare la vera libertà non rimane che riscoprire la rilevanza della fiducia, dono e missione per scoprire e valorizzare le dimensioni dell’uomo approdando alla trascendenza, nostalgico desiderio del totalmente Altro. Così è possibile iniziare il processo di conoscenza come motivata fiducia di fondo, sì al Dio cristiano: vivente, liberante, persona e padre, il Dio di Gesù. Allora, norma suprema diventa la volontà del Signore, non legge scritta, né tradizione. Si supera il legalismo del fare solo ciò che è prescritto perché il rapporto dell’uomo con Dio non è giuridico: è il senso del discorso della montagna. L’uomo si rigenera; la coscienza si trasforma per l’integrale orientamento verso Dio. Di conseguenza muta la scala dei valori: posto alle spalle il passato problematico, conta il futuro, promesso e donato perché l’uomo vive del perdono, conversione resa possibile dall’irremovibile fiducia in Dio.
Ne consegue l’esaltazione dell’amore che segna la fine della casistica. E’ il Vangelo di Gesù, che propone un concreto universalismo con la pratica di una radicalità autentica perché amore vuol dire perdono e concreta solidarietà. Teoria e prassi convergono, perciò la povertà in spirito diventa il fondamentale atteggiamento di una vita sobria e senza pretese, vissuta con fiducia e serenità, antitesi all’ingordigia, alla insolenza e all’inquietudine grazie alla libertà interiore dai beni materiali. Cristo non trova posto tra potenti e moralizzatori; Egli si rivela un provocatore senza partito in perenne sfida, pronto a rompere gli schemi. Il Gesù storico non i identifica con la incondizionata legge scritta e in continuo ampliamento attribuita a Mosè; non sollecita come Buddha il ritiro ascetico nello sprofondamento monastico di una comunità organizzata, tantomeno la sottomissione degli infedeli come Maometto, non persegue un armonico rinnovamento morale con l’eterna legge del mondo e con l’etica aristocratica insegnata da Confucio. Gesù di Nazaret non è il sigillo per una religione onnicomprensiva, etichetta per sincretismi. Egli è ciò che predica. Il cristianesimo non ha mai preteso di essere facile; richiede scelte difficili, tra le quali la prima è la posizione da assumere circa il Risorto (I Corinti 15,14): prendere o lasciare. La tomba vuota suscita un mistico silenzio, illuminato dall’esperienza liturgica con l’inno della lettera ai Filippesi 2,6-11, che invita a riflettere sulla preesistenza, l’incarnazione, l’esaltazione e l’omaggio universale, al quale fa da sponda la prima ai Colossesi per il rapporto tra prima e nuova creazione (1,15-22). Il tutto culmina col sublime vertice del prologo di Giovanni.
Nella oggettività variegata di tradizioni ed istituzioni vera sostanza è la libertà che esalta non l’informe omogeneità, ma una trama da cui emerge l’umanità come libero soggetto del proprio divenire. Il futuro è frutto della libertà, tratto essenziale del nuovo umanesimo. La fede nell’uomo non è mistica, è poggiata su una lettura realistica della storia. L’asse del rapporto con Dio non è più cosmologico e storico, è etico nello spazio invisibile della libertà. L’uomo religioso non può non sentirsi lacerato in se stesso; radicato nel particolare vive tra il presente di una storia frantumata e il futuro dell’unità morale del genere umano, situazione di frontiera che non ha altra alternativa se non il dialogo. Questo uomo nuovo planetario non è anticristiano è post-cristiano. Il pericolo è nel ritorno al passato che respinge lo strumento della ragione critica e obbedisce all’impulso della fuga e al bisogno di tepore consolatorio, istinti che conducono al settarismo. La fede nel Dio crocifisso si libera dalle religioni prodotte dall’uomo e risponde alle obiezioni antiteiste di Marx, Nietzsche, Freud che ritengono Dio un riflesso del risentimento e del senso di colpa. Il suo spazio non è delimitato da filtri concettuali, si concretizza nell’amore che destabilizza il mondo dominato dall’autosufficienza, impegnato a realizzare il bene comune in modo immediato e indivisibile: dal modulo ascetico-sacrale si passa quindi a quello etico-profetico e si supera un cristianesimo religioso-culturale in disfacimento. Così la trascendenza di Dio entra nell’orizzonte etico sotto forma di trascendenza della pace. Da qui deriva la necessità di assumere, come mediazione della fede, non più le categorie sociali o metafisiche della vecchia cristianità, ma il principio formale del rispetto delle coscienze una volta che a ciascuna di esse si riconosce l’idoneità a costruire la pace comune.
Nel trafiletto di commento alla notizia della morte, “Avvenire” accredita lo stereotipo di studioso “contro” per posizioni teologiche e morali critiche verso la dottrina ufficiale. Ne deriva una riduttiva analisi della sua opera, posta sempre a confronto con quella del Papa emerito, conosciuto fin dal 1957. Küng, è noto come contestatore dell’infallibilità del pontefice col saggio del 1970 del quale i più ricordano solo il problematico aggettivo. La domanda su “Infallibile”, giudicata provocatoria, segna i suoi rapporti col Vaticano e campeggia nel breve articolo del giornale della CEI. Il ritiro dell’attributo di teologo cattolico nel 1979, con la conseguenza pratica di non poter insegnare nelle facoltà delle università pubbliche tedesche, non gli ha impedito di continuare con metodo la sua ricerca ed oggi gli si può assegnare il titolo di teologo “globale”, termine che esplicita la sua attualità e la sua missione. Infatti, egli ha profondamente influenzato la discussione teologica, in particolare negli ultimi anni nell’ottica del dialogo tra le religioni. Con la Fondazione Etica mondiale dal 1993 egli ha sollecitato la cooperazione tra le religioni individuando i valori comuni per un codice di comportamento universalmente condiviso.
Mons. Bruno Forte nel ricordarlo su “La Stampa” considera il suo essere critico del Vaticano un atto di amore verso la chiesa così come l’ha delineata il Concilio Vaticano II. Il suo compito, pur animato da uno spirito pungente, è stato stimolarla perché fosse lievito e non mera spettatrice delle vicende umane. Il vescovo di Chieti ritiene lo scossone teologico di Küng costruttivo, persino la critica dell’infallibilità papale nei fatti un invito a superare ogni deleteria staticità perché la verità non è un possesso definitivo, ma dinamica ricerca. Molto articolato è stato anche il commento del cardinale Kasper, che è stato suo assistente a Tubinga dal 1961 al 1964 ed ha mantenuto un rapporto di rispetto anche dopo che gli fu revocata la licenza per insegnare teologia. Il porporato lo ha definito uomo del dialogo pur se con modalità critiche e combattive. Nell’intervista pubblicata da “L’Osservatore Romano” di fatto egli prende le distanze dalla breve nota di “Avvenire” e riconferma la stima ritenendolo nel profondo legato alla Chiesa, anche quando ha dato vita a duri dibattiti. Come ha detto Congar, era cattolico a modo suo, ma è riuscito a spiegare il Vangelo anche a gente lontana dalla fede e, pur nelle distanze di merito e di metodo, occorre convenire con lui circa la necessità del dialogo ecumenico. Del resto, l’avvenuto avvicinamento con Papa Francesco, se non giuridica, si rivela una riabilitazione di fatto.
Lacerato tra l’immane peso d’inerzia e la fedeltà alla riforma, Kung ha esaltato l’obbligo di fedeltà alla coscienza, il pluralismo politico e culturale, la rilettura scientifica dei testi sacri, la corresponsabilità nella gestione tra gerarchia, clero e laici per difendere i diritti dell’uomo, servizio evangelico al mondo. Come sollecitava Karl Rahner nel 1984, auspica una chiesa mondiale dopo la giudaizzante dei primi secoli e la eurocentrica successiva. Alla fine del percorso teologico, parafrasando uno dei suoi ultimi lavori, non rimane che ascoltare la Messa dell’Incoronazione di Mozart e riscontrare nelle note del Kyrie l’eco esaltante di un abbraccio che redime, nel Gloria la lode riconoscente a Dio misericordioso, nel Credo una reiterata professione corale di fede, nel Sanctus il riconoscimento del mistero della Trascendenza, nell’Agnus Dei l’anelito di una pace possibile, certi e felici per l’intima relazione, come lui scrive, tra “musica e religione”.
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