L’atrocità della guerra, da qualche settimana, è una preoccupazione costante che inquieta il mondo intero. La paura sociale, dilaga su uno spettro di futuro incerto, di non ritorno, sovente condito dalle deliranti dichiarazioni di onnipotenza, con tanto di minaccia all’utilizzo di armi nucleari. Tuttavia, l’attuale conflitto in Ucraina, ha messo in discussione molteplici equilibri internazionali sotto più fronti, mentre la questione che ci si auspica di risolvere il prima possibile, è quella umanitaria. Un “cessate il fuoco”, una tregua necessaria almeno per favorire, viste le inopportune perseveranze belliche, i corridoi del tragico esodo di chi scappa dalla polveriera ucraina. Detto questo, possiamo occuparci anche di problemi secondari, sempre relativi al caso, ma che dinanzi alle tragiche vicende, possono avere opportuna considerazione postuma per la quale mi sovviene specificare. È davvero un periodo difficile per il mondo e per i suoi accaduti. Seppur critica si potesse avere della sua visione in precedenza, mai niente di più concreto si sarebbe potuto immaginare a dover interpretare un’escalation di tal portata, questo lascia ben poco spazio a considerazioni superflue. Siamo tutti colti e coinvolti da stati emotivi di profonda delusione, ed è il tempo in prima persona ad esprimere la propria e controversa curva di assestamento, sprofondata vertiginosamente nella sua marcia e paludosa involuzione contemporanea. Si è arrivati ad una guerra pericolosissima e per tale non si riescono ad approvarne le ragioni, soprattutto in un mondo ideale di pace che intendo sottoscrivere. Con la guerra, viene meno il preesistente e profondo valore dell’essere libero, ci si appiattisce, ci si deforma e ci si conforma retti, inspiegabili ed ubbidienti in linea col rigore armato. È un vero peccato fornirvi queste tragiche immagini, come è un vero peccato il vedersi sfumare delle opportunità, che in periodi di pace, si sono tramutate nel raggiungimento di successi comuni. Ecco, la catena della guerra, smonta qualsiasi cosa faccia parte di un’ordinaria e tranquilla fruizione del vivere, porta in stallo, fa decrescere il valore dell’amicizia e il rispetto tra i popoli, anche in ambiti di circostanziale rilievo transnazionale, dove tutti sono sottoposti alla riguardevole osservanza dell’attenersi alle scelte dei governi stressati dalla tensione. Dopotutto, in sole tre settimane, si è letteralmente portato al collasso un intero sistema economico, un dato non propriamente trascurabile, e con esso una roboante barriera di esclusione culturale, mai vista in epoche recenti. Perfino il ritorno in auge dei discorsi saturi delle più remote e superate teorie, come la purezza dell’etica, la provenienza – pensate anche quella linguistica – l’appartenenza, il nazionalismo e guarda caso “l’autarchia”, a segnare probabilmente nel 2022 e in modo indelebile, la fine della globalizzazione. Questo è lo scenario che viene raccontato dalla realtà, una fotografia monocromatica di un muro divisorio tra l’Occidente e la Russia, ognuno a far valere senza mezzi termini, il proprio assetto identitario. Un orgoglio che, purtroppo contribuisce a sfaldare anche le più importanti e armoniose entità che da anni ricoprono insieme, ruoli di fondamentale riferimento, come quello della Stazione Spaziale Internazionale. Già, il laboratorio orbitante dedicato alla ricerca scientifica e congiunto con cinque agenzie spaziali tra le quali: la statunitense NASA, l’europea ESA e la russa RKA. La ISS (International Space Station), per più di 20 anni ha l’obiettivo di sviluppare e testare tecnologie per l’esplorazione umana nello spazio, di proiettare la vita di un equipaggio per missioni future oltre l’orbita terrestre in voli di lunga durata, nonché servire la ricerca con esperimenti di biologia, chimica, medicina, fisiologia e fisica in condizione di microgravità. Probabilmente, tra i più grandi esempi, se non il più significativo, delle possibilità dell’ingegno umano che, negli anni ha permesso incredibili scoperte in più ambiti scientifici, oltre al modo di concepire la presenza dell’uomo nello spazio. Capiamo che ci troviamo davanti diversi scogli da superare, ognuno con la sua importanza e ragion d’essere, ma coinvolti dalle complesse decisioni del momento che stanno condannando la Russia, oltre che per la catastrofica responsabilità delle sorti del popolo ucraino, ad un autoisolamento internazionale. Viene impedito infatti, a scienziati e studiosi di svolgere il loro lavoro in collaborazione con istituzioni e università straniere, prerogativa necessaria per lo sviluppo culturale di ogni paese, pertanto le dichiarazioni di alcuni funzionari dell’agenzia spaziale russa Roscosmos (RKA), comprese anche quelle del capo della struttura, Dmitry Rogozi, sembrano essere allineate alla filogovernativa propaganda russa, spesso spregiativa nei confronti dell’intero Occidente e che, minacciano il reale abbandono del progetto di cooperazione sulla Stazione Spaziale di cui la Russia è proprietaria della totalità dei moduli. Fortunatamente vi sono state delle eccezioni esternate in chiare formalizzazioni, come il network internazionale di oltre 6.000 scienziati ed accademici, la maggior parte russi, a lanciare un appello con una missiva diretta al Presidente della Federazione Russa nel chiedere la fine dell’aggressione all’Ucraina e la cessazione delle ostilità. Un quadro davvero complesso che ci riporta, probabilmente con qualche grado di peggioramento, agli anni della Guerra Fredda, nei quali le potenze USA con l’URSS, furono protagoniste dell’intera svolta che riferisce al progresso scientifico in campo spaziale, dove decine di imprese rispondevano al corrispettivo progresso unilaterale, una vera e propria gara tecnologica, dal sicuro sfoggio propagandistico delle proprie grandezze. Laddove ebbe inizio però, un certo Juri Gagarin, il giovane sovietico che segnò la storia con il primo volo umano nello spazio, guardando il globo dall’oblò della Vostok 1, fornì all’umanità una frase epocale, sdoganata dai caratteri analoghi del gelo intercontinentale di allora, antitetica a tutto il rivoluzionario e drammatico contesto attuale, il 12 aprile 1961 esclamò: “da quassù la terra è bellissima, senza frontiere né confini”.
Mi è rincuorato sapere, distraendomi per un attimo dalle preoccupazioni per quanto stia accadendo in Ucraina, che l’equipaggio della Soyuz MS-21 russa – la collaborazione è ancora attiva – con a bordo i cosmonauti Oleg Artemyev, Denis Matveev e Sergey Korsakov, abbia raggiunto la ISS. Ad aspettarli al portello, vi sono i colleghi russi Anon Kaplerov e Pyotr Dubrov, il tedesco Matthias Maurer e gli americani Raya Chari, Thomas Mashburn, Kayla Barrow e Mark Vande Hei. Sorrisi e abbracci, e come di consueto, le foto di rito. Un gesto di pura normalità, in un ambiente straordinario come quello dello spazio, quasi a voler sottolineare quel sentimento universale espresso da Gagarin in quel lontano aprile. Non so se possa essere di buon auspicio, ma abbiamo bisogno anche di questo, di riconoscere il bello della cooperazione ed estrapolarne il senso di pace, da piccoli e semplici gesti simbolici. Ed è necessario, estenderli a tutta la comunità internazionale, con l’ausilio dell’intelligenza di queste menti geniali, alle quali non riesco ad attribuire alcun allineamento bellico. Un brandello di speranza? Possibile, soprattutto dopo aver notato la scelta dei colori delle tute spaziali che, i cosmonauti russi hanno deciso di indossare una volta accolti dai colleghi nella ISS. Le tute, sembrano richiamare con l’utilizzo dei colori giallo e azzurro, quelli della bandiera ucraina. Già, una speranza, piccola, come solitamente è la sua natura, legata al filo sottile di questa follia generale assassina.