Tra i momenti più suggestivi dei viaggi in Senegal ricordo le pratiche yoga sulla spiaggia, dinanzi all’oceano. Mi sono avvicinata qualche anno fa a questa disciplina che ha contribuito immediatamente al mio benessere psico-fisico. La ripetizione costante delle “asana” (posizioni praticate), attraverso quest’antico insegnamento (espressione, soprattutto, di flessibilità e stabilità) agevola il conseguimento del proprio equilibrio emotivo e corporeo. Il termine “yoga” deriva dalla radice etimologica “yug” che in sanscrito, l’antica lingua dell’India, significa unione, completamento, totalità. Tale interezza si realizza, innanzitutto, a livello personale, attraverso l’interazione armonica di corpo, mente e anima. Una volta raggiunta questa consonanza a livello individuale, i benefici ottenuti con lo yoga si proiettano all’esterno, favorendo la sintonia con gli altri e l’ispirazione al divino, che può manifestarsi in ciascuno di noi, attraverso questa circolare propagazione di energia. Sathya Sai Baba, maestro yoga e divulgatore indiano, è stato anche propositore d’importanti iniziative finalizzate ad intervenire sulla disuguaglianza sociale. Nel suo messaggio di esortazione a ricercare la spiritualità soprattutto nel quotidiano, il maestro ha valorizzato la connessione sinergica tra alimentazione e spirito, rilevando che: “La qualità del cibo viene determinata dalla vibrazione della quale esso è intriso e dallo stato d’animo delle persone che lo manipolano, lo preparano e lo servono”. Mi piace molto questa concezione del pasto inteso – non soltanto come nutrimento del fisico – ma anche (e soprattutto) come alimento per lo spirito, attraverso la gioia della condivisione. Questa concezione tradizionale indiana è identica all’atmosfera che ho ritrovato nelle case senegalesi dove, dalla preparazione del pasto al consumo, si percepisce una sentita partecipazione, materiale e spirituale, di tutti i presenti. Nelle famiglie africane, come nelle nostre durante i giorni di festa, il cibo ha, infatti, un’evidente connotazione conviviale e rappresenta quasi un rito sacro, un momento di unione, appunto, tra tutti i commensali che, mangiando seduti a terra intorno allo stesso vassoio, esprimono solidale partecipazione nell’incontro. La “teranga” (nota ospitalità senegalese) si manifesta servendo prima gli invitati e preparando loro i piatti pregiati della tradizione. Uno dei miei preferiti è il “thieboudienne”, una ricetta di riso, pesce e molte verdure, tra le quali la manioca, una radice dalle origini antiche, ricca di sali minerali, nonché di proprietà antisettiche, diuretiche e antinfiammatorie. Solitamente, nei grandi vassoi intorno ai quali siedono i presenti, i pezzi di carne, pesce e verdura vengono prima posti al centro, poi suddivisi in parti più piccole e, infine, avvicinati dinanzi a ciascun commensale. In questo semplice gesto di ripartizione del cibo trovo un immenso significato di condivisione e, tornando ai principi dello yoga, di unione materiale e spirituale che dovremmo riscoprire nel consumismo frenetico delle nostre case. Nella dottrina di Sai Baba un altro insegnamento che esprime questo concetto di unione nell’armonia universale è: “C’è una sola casta: la casta dell’umanità. C’è una sola religione: la religione dell’Amore. C’è un solo linguaggio: il linguaggio del cuore. C’è un solo Dio: Egli è onnipervadente”. Predisporci nei confronti del prossimo con queste solide premesse sarebbe essenziale per erigere le fondamenta nella costruzione della pace.
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