Il mio legame con il Cilento è iniziato un mattino d’autunno di trentasette anni fa, ad Agropoli, nella sala parto della Clinica Malzoni. Lì, nella città bagnata dalle acque del Testene, ho emesso i primi vagiti. A Paestum, invece, ho trascorso i successivi 5 mesi di vita, forse i più belli, perché circondato dall’affetto quotidiano dei miei nonni e dei miei genitori. Poi ci siamo trasferiti a Mercato San Severino, lontani dalle nostre radici. Distanti da quel calore che solo una patria sa donarti. Qui, al confine tra le province di Salerno e di Avellino, sono cresciuto, ho studiato e sono diventato un uomo. Senza mai smettere di pensare, però, al mio bel Cilento, al suo profumo e ai suoi meravigliosi e variopinti colori. Anche perché, ci ritornavo ogni anno, soprattutto in occasione delle festività natalizie e delle vacanze estive. Ed è tuttora così. Perché anch’io da buon “emigrato” avvertivo ed avverto dentro di me oltreché un sincero desiderio, un vero e proprio obbligo morale verso quelle che da sempre considero le mie due terre d’origine: Torre di Mare e Trentinara, paesi nativi dei miei genitori.
Situati ad una manciata di chilometri da Eboli – ultima frontiera cristiana di un meridione, per anni, abbandonato a se stesso, alle sue miserie e alle sue lacrime – da sempre questi due incantevoli borghi raffigurano per me le tiepide egide sotto cui rifugiarmi per sfuggire al trambusto della mondanità; le uniche isole felici in un arcipelago di mestizia e vanità.
“Piccole case, ma grandi cuori”, dicevano i miei cari nonni, l’uno falegname, l’altro postino. Qui non c’è l’indifferenza della città, ma il calore della comunità. Ed è vero. Più un paese è piccolo e più luminosi sono i cuori dei suoi abitanti.
Da quando ho memoria, Torre di Mare, o Torre di Paestum che dir si voglia, è il luogo in cui trascorro le estati. Un posto magico che profuma di pini, eucalipti e di mare, e in cui il cielo è quasi sempre terso, anche quando, in autunno, le prime piogge tornano a bagnare il suo simbolo vegliardo, la Torre saracena. L’antica fortificazione, che dà il nome alla borgata, ha una base circolare e un’altezza di circa dieci metri. Gli storici locali narrano che, nel corso del secondo conflitto globale, i militari tedeschi la impiegarono per difendersi dall’avanzata delle truppe alleate, appena sbarcate lungo la costa. Qui, in questo piccolo fazzoletto di terra bagnato dal Tirreno e corredato da morbide spiagge di sabbia dorata, ho imparato ad amare l’arte e la natura. Anche perché è situato a pochi metri dalle mura di Poseidonia, antichissima città dedicata al Dio del Mare, che i greci fondarono nel settimo secolo avanti Cristo, ossia circa 2600 anni fa. All’interno del sito archeologico, che è ormai noto in tutto il mondo (e che nel 1997 è entrato a far parte del Patrimonio Unesco), è possibile ammirare i Templi di Hera, Nettuno ed Athena oltre alla celebre Tomba del Tuffatore. Nei pressi della foce del Sele riposano invece i resti dell’Heraion, remoto santuario eretto in nome di colei che i miti ellenici descrivevano come moglie di Zeus. Da non dimenticare sono poi i siti religiosi, cioè la chiesetta di Sant’Anna, la Basilica Paleocristiana e i Santuari della Madonna del Granato e del Getsemani, ambedue situati a qualche chilometro di distanza dalla piana, ai piedi del Monte Calpazio. Ma Torre di Mare è anche una rinomata attrazione turistica, che ogni anno accoglie migliaia di vacanzieri provenienti da tutta Europa.
Stessa cosa può dirsi per Trentinara, a cui pure sono legato da un profondo sentimento, e che, grazie ad un’avveniristica gestione politica, è ormai diventata una meta obbligatoria per chi visita la vicina città dei Templi. Qui si respira l’odore dei boschi e del pane caldo appena sfornato. Sì perché a Trentinara ogni anno va in scena la suggestiva Festa del Pane, che con i suoi sapori e con le sue melodie incarna il retaggio secolare della tipica cultura cilentana. Gente tranquilla, vitale, sincera. Una piazza principale, il campanile, i vicoletti a strapiombo la rendono assai graziosa, imperitura, un santuario d’indiscussa bellezza. Questo splendido borgo è arroccato sulla sommità della rupe Cantenna, a 606 metri sul livello del mare. Dalla sua celebre piazzetta è possibile ammirare il mare, le due costiere, amalfitana e cilentana, e, quando è bel tempo, persino l’Isola di Capri. Grazie a questo suo panorama mozzafiato, Trentinara, che è il luogo in cui di solito trascorro le festività natalizie, è stata ribattezzata la Terrazza del Cilento. Ma anche qui le bellezze non stentano a farsi individuare. Per gli amanti del trekking e delle passeggiate all’aria aperta, c’è il Monte Vesole, che offre ampi spazi di ristoro e percorsi escursionistici per principianti ed esperti. La via dell’amore, che conduce sino alla leggendaria Pietra Incatenata, è la meta prediletta dai romantici. E poi, per gli appassionati del brivido, c’è il volo dell’Angelo: un tragitto adrenalinico a 120 chilometri orari su una zipline posta a 500 metri di altezza, che sorvola la Valle di Tremonti, lì dove, secondo un’antica leggenda, Spartaco, lo schiavo ribelle, si sarebbe rifugiato.
Che dire dunque: il Cilento è questo e tanto altro ancora. Ma è per me soprattutto il ricordo del mio buon nonno Vincenzo, che da tempo è volato in cielo, e che leggeva sempre “Unico”, tutte le settimane, davanti al caminetto, nella sua versione cartacea. Ed io, all’epoca poco più che ventenne, lo emulavo con piacere, respirando quell’aria cilentana, che questo giornale sapeva e tuttora sa propagare.