Dalla fine del secolo scorso, l’Italia conosce una vera e propria crisi delle sue tradizionali egemonie territoriali: i “centri”, i luoghi dove in passato era stata attribuita una indiscussa funzione direzionale, non riescono più a legittimare il loro ruolo trainante per l’intero sistema delle economie, delle relazioni sociali, dei valori simbolici. Questa crisi trova una conferma drammatica con la pandemia del Covid-19, che ha colpito in modo severo il “cuore” produttivo e sociale del paese. Sempre meno i grandi agglomerati urbani producono riescono a creare vantaggi e opportunità fuori dai propri confini, interni ed esterni.
Sempre più chi sta fuori si sente svincolato, distante, solo, disconnesso. Cresce la forbice delle diseguaglianze; i partiti, le istituzioni pubbliche, i soggetti collettivi della rappresentanza hanno progressivamente rinunziato a leggere e promuovere il cambiamento, affidandosi a politiche avulse dai contesti, “cieche ai luoghi”. Di conseguenza, i vecchi modelli dell’autorappresentazione territoriale del paese sono palesemente in affanno.
L’idea stessa di “divario” tra città e campagna, tra Nord e Sud, tra montagna e pianura; non riesce più a restituire un’immagine realistica dell’effettiva portata dei disagi e dei conflitti. Il disconoscimento dei luoghi ha comportato la rinuncia alla produzione e alla condivisione di conoscenze contestuali diffuse. Tante Italie, quindi, mescolate in ogni luogo che si riconfigurano dinamicamente, incessantemente.
La varietà è la principale fonte della specificità distintiva del paese e, anche, del suo vantaggio competitivo. È anche da lì che si deve ripartire. Solo sguardi ravvicinati e di dettaglio possono costituire un punto di partenza che consenta di cogliere appieno le fragilità e, allo stesso tempo, invertire lo sguardo, partire dalla aree marginalizzate. Per troppi anni, le politiche sono state indirizzate a compensare gli svantaggi, più che a combatterli, a superarli.
Più di recente, ciò è avvenuto con la Strategia Nazionale Aree Interne, che è arrivata a interessare un sesto del territorio nazionale, ma che anche in questo caso non riesce ad esprimere appieno il proprio potenziale.
Le idee e le buone pratiche sono raccolte nel manifesto “Riabitare l’Italia”, elaborato da un gruppo di ricercatori, curato da Antonio De Rossi e pubblicato dalla casa editrice Donzelli, nel dicembre del 2018.
L’“Associazione Riabitare l’Italia”, è nata per continuare a discutere, implementare le idee e gli obiettivi impressi nel manifesto.
L’obiettivo è mettere in rete le Italie fragili: disegnare le mappe, raccogliere i dati sul patrimonio esistente, sulle persone, sulle idee, sulle competenze e sulla forza aggregativa. che possano diventare i presidi di un progetto di riconquista delle aree marginalizzate.