Incontro Davide Napoleone, giovane di Capaccio capoluogo al quale mi lega un’amicizia ventennale e un grande amore per le parole. Durante gli anni di liceo immaginavamo le nostre vite da adulti, a scrivere entrambi, lui testi di canzoni ed io storie di vita possibilmente su pagine di carta. Adesso lui è un autore in esclusiva per Sony Publishing Italia e quest’estate in radio abbiamo ascoltato spesso la sua “Solo per un po’” cantata da Michele Bravi. Il singolo è disco d’oro. Davide è timido e sfuggente ed è da mesi che lo corteggio per un’intervista. Vive a Torino e durante una delle sue ultime vacanze a Capaccio Paestum ci siamo dati appuntamento nel parco del convento del capoluogo.Gli dico “Davide, da questo momento non ci conosciamo, iniziamo pure.”
Perché siamo qui, cosa rappresenta questo posto per te?
In primis era da molto che non venivo qui, luogo in cui noi ragazzi di Capaccio abbiamo trascorso l’infanzia e gran parte dell’adolescenza. Spesso venivo con la chitarra e qui ho iniziato a suonare, forse. E’ stato un luogo d’inizi.
La musica si ascolta, eppure l’immagine fa tanto, troppo a volte. Se tu fossi cieco ascolteresti la stessa musica?
Ci sono casi in cui l’immagine ha dovuto soccombere alla mancanza di contenuto. Il lavoro che faccio smonta tutte le convenzioni e le convinzioni che avevo. Storicamente si è sempre verificata una cosa del genere, l’immagine riusciva a dare maggior valore alla canzone ma anche un volto, un colore ad un sentimento oppure ad un’ idea. Bisogna essere pronti semplicemente ad ascoltare. Se non avessi avuto il dono della vista penso che avrei amato le stesse canzoni. Tuttavia l’immagine è un fattore importante e non bisogna conferire un’accezione negativa al concetto, se la musica è di qualità, può solo essere d’aiuto a quella stessa musica per emergere di più. La storia ha dato sempre ragione a chi ha usato l’esteriorità di un progetto musicale in modo sensato e performante.
Il cantautorato italiano di qualche decennio fa vive in uno stato di celeste superiorità, sembra inarrivabile e che debba esserci per forza il confronto tra le generazioni di cantautori, tra il nuovo e il vecchio. Cosa ne pensi?
Da ascoltatore ha senso avere conoscenza del buon vecchio cantautorato italiano, non posso non passare attraverso l’ascolto di determinati repertori. Da autore e cantautore ti dico che per scrivere non bisogna pensare di dovere raggiungere o superare quei livelli. Chi scrive oggi deve calarsi in questa epoca, non si può creare con il peso del passato.
Un cantautore dà più importanza alla musica o alle parole?
Ad entrambe, sono sullo stesso piano.
Il tuo percorso è stato un po’ singolare, hai raggiunto determinati livelli in tempi brevi, per chi non passa per i Talent o non gioca fortemente d’immagine e marketing, è strano come percorso. Raccontaci un po’ la tua storia.
Ci sono arrivato troppo presto, da un lato è una grande fortuna.
Avendo sempre scritto e suonato le mie canzoni ho provato ad essere ascoltato più che ad emergere, avevo questo bisogno. Nasco da musicista autodidatta, suonavo le canzoni che amavo ascoltare, mi sono stufato abbastanza presto di suonare le canzoni degli altri, quasi da subito ho scritto e suonato canzoni mie, avevo 15 anni. Come molti ho iniziato a suonare nelle band, a suonare nei locali della mia zona. Più che band erano progetti musicali, perché man mano che crescevo mutavo nello stile e nei sentimenti e non potevo proporre le stesse cose, non ho mai avuto un’identità artistica costante. Poi ho scritto il mio primo ed unico album “Animali stanchi”, album che ha avuto un discreto successo regionale. Dopo l’esperienza del disco, avevo accumulato un po’ di materiale inedito, per un anno mi sono completamente fermato, quasi avevo deciso di abbandonare l’idea di fare musica, non era facile e c’è stato un po’ di scoraggiamento, scrivevo solo per me. Ho iniziato ad informarmi sul mondo delle case editrici e per gioco ho proposto i brani a quella che oggi è la mia editrice, Paola Balestrazzi, con una mail parecchio informale “Ciao, mi chiamo Davide, questo è un mio pezzo inedito.” Mi risposero chiedendo se avessi altro da far ascoltare e mandai altri 3 pezzi. Nel giro di una settimana mi ritrovai dalla stanzetta di casa mia agli Isola Studiosdi Eros Ramazzotti, dove ci fu il primo incontro lavorativo. Sono partito senza sapere dove stessi andando, a fare cosa o con chi. Un salto nel vuoto, quasi incosciente. Mi diedero un indirizzo ma non sapevo che avrei trovato gli studi Sony.
Anche per il ruolo che svolgi all’interno della creazione di un prodotto musicale, vivi molto la dimensione del “dietro le quinte”, che hai fatto un po’ tua …
Sì, da un lato ho paura a gridarle troppo certe cose, ho fatto, ma ho ancor tanto da fare e poi è un aspetto del mio carattere. Ho bisogno di tranquillità e serenità, soprattutto per scrivere. Chi fa questo lavoro deve sapere che è giusto stare al proprio posto e non avere troppe pretese quanto a fama. Mi calza a pennello questa dimensione.
Come nasce un testo e come diventa canzone?
Io spesso scrivo da solo, compongo e produco un “provino”, lo invio in Sony, alla mia editrice, e lei si aziona per capire a chi proporlo, da quale produttore potrebbe essere sviluppato,poi c’è la fase del lavoro in studio col produttoreche deve sviluppare il pezzo.
Che rapporto hai avuto con Michele Bravi?
“Solo per un po’” era un pezzo che io non volevo neanche proporre in Sony, perché lo reputavo non all’altezza. In realtà Michele è stato gentile ed è riuscito a cogliere nel pezzo quello che quasi nessuno avrebbe colto, siamo in ottimi rapporti.
E con i tuoi testi che legame c’è?
I testi per un breve tempo li sento miei, in fase di stesura sono un pezzo di me, affido loro quello che sono e che so. Ma ad un certo punto bisogna lasciarli e lasciare che quei testi possano avere il significato che gli ascoltatori attribuiscono loro. E questa pure è una cosa che bisogna vivere serenamente.
Le canzoni sono di chi le scrive o di chi le canta?
A questo punto ti dico che sono di chi le scrive, ma un brano dopo aver raccolto un certo successo diventa bagaglio di tutti, non è più legato a nessuno.
Quale canzone del passato avresti voluto scrivere?
Nessuna ma mi sarebbe piaciuto scrivere con qualcuno. Ho pretese grandi, mi sarebbe piaciuto scrivere con Lucio Dalla.
E adesso per chi vorresti scrivere una canzone?
Per Giorgia, è una cantante originaria della mia terra, non c’è altro da aggiungere.
Tu scrivi canzoni per mestiere, hai mai pensato di poter scrivere al di fuori del mondo della musica?
Mi piacerebbe scrivere una sceneggiatura cinematografica.
Ti senti vicino a chi ancora ci prova? La stessa Capaccio Paestum conta molti bravi artisti, cosa diresti loro?
Ci vuole molta autocritica, non averla può portare a fare molti errori e a perdere anche molto tempo. Però molti non ci provano neanche, perché pensano di non farcela, questa è una grande cavolata.
L’ambiente musicale è saturo o lasciano spazio al cambio generazionale?
Lasciano la possibilità a chi davvero merita.
Cosa vorresti lasciare a questa e alle prossime generazioni con i tuoi testi?
Quello che a me hanno lasciato le generazioni precedenti. Ma è una domanda un po’ pretenziosa. Già lasciare un segno di questa epoca sarebbe una bella soddisfazione e poi la sensibilità e la coscienza della vita vera. Valori veri.
Cosa si prova a vedere l’Arena di Verona piena cantare una tua canzone?
E’ bellissimo, indescrivibile, destabilizzante.