Rosanna Salati cantautrice e archeologa, dal 2017 si dedica alla riscoperta del suono dell’antichità Attraverso la potenza evocativa della sua voce, del corpo e di oggetti percussivi; nel 2018 incide l’album “Dionysos. Nun Kre Methusthen” per Studiolo Laps, quattro brani creati partendo da alcuni oggetti legati alla figura di Dioniso e destinati a ripercorrere una storia immaginaria del culto del dio.
Nel 2019, la sua voce ha intonato canti a Mitra con la Performance site-specific MITHRAISM, una sonorizzazione al Mitreo di Santa Maria Capua Vetere (CE). Riflesso della doppia anima di ricercatrice e artista, le esibizioni di Rosanna Salati sono state accolte in luoghi importanti dell’archeologia Campana come il Museo Archeologico di Napoli. Lo scorso 29 aprile è uscito il suo nuovo EP dal titolo “Io corro”.
Rosanna, il tuo nuovo percorso musicale, come del resto i tuoi antecedenti lavori, si basano su aspetti della musica non convenzionali. Un linguaggio infinito e universale, fin troppo travisato e deturpato nel calderone della “regola” dei cliché. Il segno distintivo di un’evidente decadenza esule di crescita ma soprattutto di ricerca. Il tuo tempo sembra formarsi sulle antitesi, ed è un dato eccezionale. Spiega ai nostri lettori il perché è così necessario trovare nell’arte, una propria dimensione, unica, indivisibile e riconoscibile sul tutto.
Innanzitutto voglio chiarire il concetto di “arte”, credo sia una parola che viene usata in maniera poco corretta. È da tempo che la disciplina del conservatorio (a qualcosa è servita!) mi ha insegnato che l’arte è più un “artigianato” , un continuo esercizio dello strumento che a volte sembra ripetitivo ma serve a creare un solco , una strada, una via su cui incanalare l’ispirazione. Per me la musica è espressione necessaria, sfogo, costruzione, mattone su mattone. La ricerca è parte integrante del percorso, siamo esseri complessi, siamo moltitudini.
Se non canto smetto di vivere. Ecco tutto. Alcune volte è anche un peso, un impegno che mi richiama alla vita. Non posso immaginare la mia vita lontana dalla musica, al di là del successo e della fama.
Da sempre, soprattutto con lo strumento della voce, hai esplorato diversi mondi, anche molto lontani dalle tue radici, come ad esempio il blues. Quando e come nasce questo legame?
In realtà non credo che il blues sia poi così lontano dalla nostra musica tradizionale. Ha un ritmo ternario lento come il tempo del lavoro che rappresenta. Anche i nostri canti tradizionali si basano su tempi e melodie riprese dal ritmo del lavoro nei campi, della raccolta.
All’inizio non sentivo il dialetto come una lingua che potesse rappresentare il mio sentire. In realtà, oggi, posso dire che ho voglia di cantare di tutto, basta che sia “fatto” per bene. Non riesco a definirmi in un genere, le categorie mi spaventano, soprattutto in ambito musicale. Poi devi pur mettere un vestito e in questo ultimo lavoro mi sono vestita di pop , profumato di elettronica (grazie all’aiuto incommensurabile di Francesco Bianco, che mi sa vestire bene).
Nella vita non ti occupi di sola musica, ma sei anche archeologa. Suppongo che il discorso delle radici e delle origini, abbiano lasciato molte sfumature significative nella tua formazione interdisciplinare. Come si abbracciano le due cose?
Sono parti integranti della mia formazione intellettuale. Il dubbio, il porsi domande , il fare ipotesi, il pensare a mondi possibili mi ha formato nella ricerca archeologica e musicale. Lo “ scavare” dentro sé mi ha portato a conoscere i limiti e le possibilità , proprio come la metodologia applicata alla ricerca archeologica.
Nel tuo ruolo di osservatrice e fruitrice della contemporaneità, cosa ti piacerebbe buttare giù dalla torre? E per non essere troppo nichilisti, cosa salveresti?
Salvo la curiosità e il coraggio di molte validissime produzioni contemporanee. Butto giù la superficialità, il consumismo sfrenato, la fretta.
Il Cilento è la tua terra, Gioi è il tuo paese. Si è cresciuti con la speranza di ritrovarsi coinvolti prima o poi in un fermento culturale, ampio e condiviso, ma le aree interne sono sempre più silenti. Mi piacerebbe sapere da te, cosa andrebbe ricostituito per non perdersi ulteriormente?
Non è complicato. Spegniamo i cellulari e torniamo ad incontrarci nelle case, nei club, in piazza.
Il tuo nuovo EP “Io corro” è intanto la testimonianza del tuo esserci, una tua rilettura della tradizione della musica d’autore. Come nasce questo lavoro?
Nasce dalla necessità. È uno sguardo su come il mondo si riflette dentro di me
Le tue prossime tappe?
Alcuni live, e un disco nuovo l’anno prossimo.
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