Musicista, autore, letterato, docente: tante sono le sfaccettature del cilentano Mico Argirò, e ha saputo sviscerarle così sapientemente che sarebbe un peccato rubargli luce e sostituire le sue parole. Lasciamo a lui il compito di raccontare il suo universo, scoprendolo dai suoi occhi.
Ciao Mico, innanzitutto grazie per aver accettato il nostro invito. Prima di affrontare la tua dimensione di musicista, mi piacerebbe parlare del Mico più propriamente “umanista”. Da ciò che si evince sul tuo profilo Facebook, sei laureato in Lettere Moderne e specializzato in Filologia Moderna. Nel 2011 è uscito “Felicita, una canzone crepuscolare”, e ultimamente abbiamo avuto modo di leggere sul tuo profilo un contributo dedicato a Pier Paolo Pasolini. Quanto, della tua formazione umanistica, è presente nel tuo bagaglio da compositore e quali sono i rapporti che hai attualmente con le discipline che hai studiato nel tuo percorso accademico e quali sono i punti di riferimento che porti sempre con te, come uomo e artista?
Ciao Monica e ciao a tutti i lettori; credo che, sopra tutto, se non avessi letto quello che ho letto nella mia vita non avrei mai potuto provare determinate sensazioni (e quindi nemmeno scrivere quello che ho scritto), la lettura è una palestra emotiva e umana e la letteratura è il modo più facile per prendersi un caffè con Leopardi, Pasolini, Fo e altri grandi ed essere positivamente (o negativamente) influenzato da loro.
Attualmente oltre allo scrivere canzoni nel tempo libero mi diverto a scrivere di letteratura su qualche rivista scientifica e insegno a scuola, cosa che mi ha portato a Milano, dandomi la possibilità di confrontarmi con una scena musicale molto diversa e varia rispetto a quella del sud.
Il teatro sembra essere uno dei tratti pregnanti del tuo percorso, dal momento che hai composto spesso musica per svariati spettacoli teatrali concernenti vari temi. Che rapporto hai col teatro come forma d’arte e di espressione e quali sono le sue potenzialità?
Il teatro mi ha offerto la possibilità di esprimermi senza le parole, solo musicalmente; è molto bello comporre qualcosa che deve creare un’atmosfera, che, inconsapevolmente, deve calare il pubblico nella scena che avviene sul palco. Mi piace mettere al servizio di opere molto diverse (per casi vari mi sono occupato da rievocazioni storiche a teatro off, dal teatro contemporaneo e mologato a quello musicale) la mia musica, che è sempre semplice, mai eccessiva, senza troppi fronzoli.
Scrivere musiche per il teatro significa anche comprendere il mondo dell’autore, abbracciare i contenuti, la forma…è un esercizio piacevole anche di collaborazione tra te, l’autore, il regista, gli attori: è un lavoro corale.
Raccontaci dell’avventura di “Vorrei che morissi d’arte” e le soddisfazioni maggiori che ti ha lasciato. Avrei potuto scrivere “gli insegnamenti che ti ha lasciato” ma mi sembra troppo biblico, quindi ti chiedo se c’è qualcosa che rifaresti o al contrario non rifaresti.
“Vorrei che morissi d’arte” è stato un disco fortunato: mi ha fatto girare tanto per concerti, conoscere realtà artistiche validissime, col singolo “Il Polacco” ho ottenuto così tante visualizzazioni da essere quasi paradossale per me…l’album ha avuto un ottimo riscontro di critica e di pubblico. Una vera soddisfazione per un artista, non c’è che dire.
Qualcosa che non rifarei uguale c’è, i gusti cambiano e si maturano posizioni diverse artisticamente (per fortuna) e questo è la base per le cose nuove che sto facendo: ho un brano nuovo in lavorazione che rappresenta un nuovo passo del mio percorso e che spero possiate ascoltare presto.
La tua nuova avventura ti vede impegnato sotto il segno di Domenico Modugno, in uno spettacolo dove sarà possibile ammirarti in camicia e cravatta. Che rapporto hai con i grandi in generale? Di venerazione aprioristica o ti è capitato qualche volta di mettere in dubbio qualche gigante del passato?
Per fortuna ho smesso di essere un fan, anche dei “grandi”… i grandi vanno apprezzati per le cose notevoli fatte e contestualizzati nel ruolo di semplici umani. Le folle urlanti che divinizzano un tizio (valido o meno) o una band (condivisibile o meno) mi straniscono: code per fotografie, gli autografi (che, poi, perchè?!?).
E questo si applica a De Andrè, a Modugno, a Justin Bieber, ai Pink Floyd, a Capossela… a tutti. Relax!