Credo di trovarmi di fronte a una delle rare aziende edili al femminile. Un settore secolarmente monopolizzato dal genere maschile, che vede sorprendentemente a capo dell’azienda tre sorelle. Hanno a cuore la qualità dei prodotti, la sostenibilità e l’innovazione. Produttori di oggetti per il living, la tavola, il bagno e l’ufficio, tutti legati dal filo conduttore della funzionalità e della sostenibilità. Marmi Sacco è nata nel 1967 a Capaccio Paestum e da allora è attiva e specializzata nel settore della lavorazione delle pietre e della realizzazione di arredi di alto pregio estetico per interni ed esterni. Grazie alle tecnologie più avanzate Marmi Sacco applica il concetto di ottimizzazione dei materiali ed elude tutti i limiti produttivi del marmo. Dopo la partecipazione a MarmoMacc a Verona ora Marmi Sacco approda anche al Fuorisalone in occasione del più grande evento di design dell’anno: Milano Design Week.
Il loro punto di vista sulle grandiose opportunità del design di oggi, e del Fuorisalone di Milano.
Qual è la storia della sua azienda?
Marmi Sacco è stata fondata da nostro padre Antonio Sacco, che tutt’ora oggi anche se in maniera lontana ci guida e ci supporta con i suoi consigli. È un’azienda che si volge al femminile perché le dirette discendenti sono tre donne, io e le mie sorelle. Il nostro lavoro è perfettamente coadiuvato da nostro cognato Mimmo Longobardi. Noi tre figlie abbiamo questa passione da sempre perché è stato nostro padre a trasmettercela. È un lavoro che richiede tanta energia, ma che riesce a dare tanto se coltivato in un certo modo. Ci dedichiamo all’edilizia, all’arredo rimanendo aperti alle richieste dei nostri clienti. Ci siamo da poco affacciati al design, grazie alla collaborazione di giovani designer di Milano. Uno di loro ha invece origini capaccesi, si chiama Mario Scairato. Ha disegnato una delle sedute che abbiamo esposto al Fuorisalone, a Brera.
Com’è nata la vostra partecipazione al Fuorisalone di Milano?
La nostra partecipazione al Fuorisalone nasce dalla necessità di farsi conoscere. Sentiamo quanto sia ancora troppo debole il segnale che le aziende del Sud inviano al Nord e al resto del mondo. Soffriamo molto del mancato collegamento con le grandi capitali, dove la gente può spendere, può capire, può permettersi di interagire con aziende come la nostra.
Al Sud mancano purtroppo le infrastrutture, il dialogo con le pubbliche amministrazioni, così tante maestranze finiscono per morire, perché non vengono incoraggiate. Siamo la seconda e la terza generazione a lavorare in quest’azienda e ci sembra importante coltivare una continuità con il passato, perché crediamo nel nostro lavoro e nella nostra famiglia.
L’idea del lavoro di squadra è il motivo che ci ha portato ad incontrare altre realtà aziendali che fanno parte dell’associazione Confindustria Salerno, da cui è nato lo straordinario progetto di Young Factory Designer. Vogliamo continuare a lavorare nel nostro territorio.
Con tanti sforzi siamo riusciti ad ottenere un buon successo, il quale oggi ci rende particolarmente fieri e ci dà la carica per poter andare avanti. Abbiamo ancora tanti ostacoli da superare. Non siamo certamente arrivati, forse siamo appena partiti, nonostante i quarant’anni di tradizione alle spalle.
Ciò che abbiamo potuto constatare è che la Fiera del Mobile oltre ad unire tante industrie unisce anche tanti artigiani riuscendo a mettere in risalto, al meglio, le capacità di ognuno di noi. Si tratta di un’iniziativa che coinvolge tutta la città di Milano, riuscendo a valorizzare così anche quei quartieri meno in vista. Un evento che ha delocalizzato le persone e ha rivalutato territori; tutto questo non lo fa il privato ma l’amministrazione comunale. Per noi vedere apparire il nostro nome sulla guida del Milano Design Week, distribuita in tutta la città, ci ha dato un’enorme gratificazione. È importante saper crescere da un punto di vista personale, oltre che economico. È un grande traguardo sapere che due delle nostre creazioni, una seduta (Flat) e un tavolino (Doghe), sono tuttora esposte nel distretto tecnologico di Bovisa.
Quali sono i progetti che avete portato al salone e quelli di cui siete andati maggiormente fieri?
Abbiamo portato una poltrona, semplice nel design ma con un progetto piuttosto complesso dal punto di vista della realizzazione. Lo studio e il disegno sono stati realizzati da Mario Scairato, insieme ai nostri tecnici e architetti, i quali hanno trasformato un blocco in pieno massello, ricavando una sedia che prende il nome di Snob. Snob, non tanto per uno status ma perché l’ideatore se ne è infischiato del fatto che il progetto potesse risultare un po’ pesante. Ha cercato di alleggerirla solo in una fase successiva, sviluppando per essa diversi pesi. Ci piacciono i dettagli, ci piace vedere la trasformazione della pietra che non è affatto anonima. La pietra è una materia che vive e che respira, pertanto bisogna rispettarla per quello che è, nella sua interezza; anche conservando quelle caratteristiche che talvolta risultano poco apprezzate. Il contatto con il design ha portato alla luce un fattore importante: lo spreco dei materiali. Oggi, il nostro intento è quello di puntare ad un’ottimizzazione dell’uso dei materiali, agendo nel rispetto della natura; è quanto ci siamo impegnati a fare per il futuro della nostra azienda. I manufatti che sono stati presentati al salone sono anche e in gran parte progetti relativi al recupero dei pezzi di scarto.
Come nascono le collaborazioni con i designer che sviluppano i progetti?
Non esiste un percorso collaudato per far nascere delle collaborazioni, si può solo dire che nascono da una ricerca che ognuno di noi fa dentro e fuori se stesso.
Come seguite le diverse fasi di sviluppo di un progetto?
Le diverse fasi esecutive di un progetto vengono seguite attraverso il confronto. Ognuno di noi ritaglia uno spazio nel settore specifico di competenza, interagendo con l’altro, anche invadendo talvolta il settore dell’altro, questo esclusivamente nella prospettiva di tirar fuori il meglio di noi. L’approccio è quello della condivisione: si uniscono le competenze, ci si interfaccia e si procede all’acquisto della materia prima, allo sviluppo e alla correzione del file. Il progetto nasce in primis dal disegno sul foglio, poi si deve valutare la sua stabilità, la sua fattibilità e così l’idea arriva forse a tramutarsi in oggetto. Non tutti i materiali possono rispondere in maniera ottimale alle diverse sollecitazioni cui è sottoposta. La reazione nel tempo dei materiali varia. Abbiamo adottato l’industria 4.0, credendo che non vada a sminuire il lavoro dell’uomo e le qualità della materia. C’è sempre un ritocco da fare sul progetto che è stato eseguito alla macchina perché siamo noi che abbiamo il desiderio di tirar fuori l’anima da quella pietra. Dobbiamo sempre mettere il nostro “know how” in quello che facciamo.
Che legame avete con l’arte?
Ci piace! Ci piace il bello. Stiamo sempre tanto curiosi da andare a cercare cose nuove da vedere, così da renderci conto, ogni giorno, che tutto il nuovo che c’è, parte da radici antiche. Abbiamo la fortuna di essere contornati da tante belle cose, a cominciare dai Templi, ci sembra quindi che il mondo sia sempre un “corso e ricorso”. L’arte ci fa capire che tutto il nostro lavoro ruota intorno ad essa.
Al Fuorisalone avete incontrato altre aziende del Sud produttrici di marmi, particolarmente talentuose?
Certamente sì, ci sono altre aziende del nostro settore con le quali abbiamo avuto modo di confrontarci. È stato costruttivo, non crediamo nell’isolamento, crediamo invece che valorizzare il nostro territorio dal punto di vista umano sia un dovere morale. Il guadagno di poche persone non porta alla crescita del paese e alla fine credo questo conduca anche alla morte del gruppo di lavoro. Guardiamo al fenomeno dei tanti giovani che partano al nord senza rendersi conto che qui ci sarebbe tanto da fare. Non si può biasimare coloro che decidono di andare via. Capiamo che lo fanno per non inaridirsi e per cercare di mantenere vivo il confronto. Noi abbiamo scelto di rimanere qui, a denti stretti, nonostante tutto.
Pensate di avere una certa esclusività nella realizzazione dei prodotti in marmo a livello locale ma anche regionale?
Non possiamo sentirci né arrivati, né specializzati. Ogni pezzo di marmo può avere mille sfaccettature, la pietra nasce con una determinata morfologia, non è tutta uguale. La conoscenza del materiale è data dall’esperienza; Le pietre si possono lavorare tutte quante, ciascuna per la collocazione che può assumere nell’ambito del progetto che si deve sviluppare. Il lavoro è sempre in continuo divenire.
Questa esperienza oltre ad essere stata un’importante vetrina di lancio per un ritorno di immagine, lo è stata anche per un ritorno economico? Siete riusciti a procurarvi nuove commissioni, nuovi contratti? Sono nati nuovi progetti?
Per il momento si tratta di investimenti a lungo termine.
Come definireste oggi il vostro lavoro, e quali sono i vostri punti di forza?
Il nostro è un lavoro artigianale aiutato da macchinari di ultima generazione. Lavoriamo con l’obiettivo di mantenere alto lo spirito del fondatore della nostra azienda, nostro padre. È per noi fondamentale assicurare ai nostri clienti una costante qualità del prodotto, garantire l’unicità dei pezzi. Non vogliamo abbandonare il nostro iniziale percorso di sviluppo di pavimentazioni, di intarsi, di decori, vogliamo piuttosto integrare il vecchio con il nuovo. Il nostro progetto è quello di crescere e di non rimanere fermi. Per sopravvivere come azienda e migliorarci abbiamo bisogno di versatilità e di coltivare diversi progetti. Il nostro punto di forza è non focalizzarsi mai su un unico prodotto ma portare la nostra attenzione a prodotti diversi, con il giusto rispetto. Abbiamo un alto senso critico di noi stessi.
Sono tanti i progetti in fase ancora embrionale, vorremmo poter continuare a prendere parte ad altre iniziative di questo genere e allargare i nostri orizzonti. Crediamo che questo sia anche l’opportunità per valorizzare coloro che lavorano con noi in questo settore da anni.
Quali sono le realtà produttive internazionali con cui avete avuto modo di venire a contatto e che più vi hanno affascinato?
Nell’ambito di un Fuorisalone come quello di Milano affascina tutto: si rimane affascinati dalla retroilluminazione di un oggetto o dall’esposizione di una lastra preziosa, si può per esempio rimanere colpiti da una semplice donna seduta dietro un telaio, cosa che abbiamo trovato, faceva parte di un percorso espositivo per far capire come nasce una tela; affascina scoprire il meccanismo di una macchina antica che ha dato spunto alla nascita di un nuovo progetto. Più che a livello internazionale siamo rimasti piacevolmente sorpresi dai manufatti presentati a livello nazioanale, riteniamo che l’Italia a livello di design e di gusto abbia tutto da vendere e poco da comprare. Da imparare, abbiamo ancora tanto, ma da comprare riusciamo a mantenere alta la bandiera. Il design che vediamo arrivare dal Nord Europa, sono prevalentemente linee essenziali realizzate con dei compositi e noi per fortuna qui in Italia riusciamo ancora a sviluppare la bellezza con materie prime naturali.