La storica Cooperativa Val Calore, più conosciuta come Cantina Sociale di Castel San Lorenzo, comincia a fare i primi passi per rinascere a nuova vita. Come giudica l’iniziativa?
Innanzitutto, grazie per l’attenzione e per l’ospitalità sulle vostre pagine.
È la speranza di un Territorio e di un Popolo che si rimettono in cammino, ripartendo dal proprio patrimonio e da ciò -gli stabilimenti della Valcalore- che nel tempo hanno rappresentato tangibile orgoglio.
È motivo di soddisfazione per Castel San Lorenzo, per la sua Amministrazione e per la Valle del Calore che sia nata la “Nuova Valcalore SRL Società Agricola”, in cui si sono riuniti cittadini ed imprenditori, istituzioni ed uomini delle istituzioni nella consapevolezza che lo sviluppo del nostro territorio trova nell’agricoltura e nei prodotti di qualitàil valore aggiunto per affrontare i mercati e la concorrenza.
Approfitto dell’opportunità che mi viene concessa per ringraziare i soci che hanno creduto in questa iniziativa nonché il Cda della società, le popolazioni della Valle del Calore e di Capaccio che ci hanno ascoltato e condiviso, gli imprenditori che hanno individuato possibilità di crescita in questa nuova idea, la Banca di Credito Cooperativo di Capaccio che ha sostenuto lo sforzo di un territorio teso a riaffermare il proprio diritto al progresso.
Nell’autunno di quest’anno è stato riaperto il frantoio oleario. È stato il primo atto della nuova gestione. Lei ne era a conoscenza?
Sì, certo. Tra l’Amministrazione Comunale e l’intero Cda della “Nuova Valcalore SRL Società Agricola” corre sintonia e collaborazione.
Mentre il Cda della Val Calore Srl sta lavorando al piano industriale relativamente al settore vitivinicolo. Lei crede che ci siano prospettive concrete di rilancio del settore che è diventato di primaria importanza per le esportazioni italiane?
Il settore vitivinicolo è centrale per l’economia di Castel San Lorenzo e della Valle del Calore; dunque, un’impresa protagonista del territorio non può non porre al centro della propria azione lo sviluppo di tale importante fattore produttivo.
Certamente, il Cda della società saprà valorizzare le produzioni tutelate dalla tradizionale DOC e promuovere i vitigni autoctoni, in particolare l’Aglianicone di Castel San Lorenzo, che – per merito di attenti professionisti del settore – sono stati recuperati ed hanno meritato speciale tutela.
Sono convinto che la “Nuova Valcalore…” saprà interpretare il proprio ruolo – evidentemente intriso di fiducia e di una riconosciuta leadership – in una logica di condivisione con le altre imprese del territorio impegnate nel medesimo settore, sviluppando insieme strategie che premino il contesto ed il valore delle produzioni di qualità.
Tutti noi abbiamo avuto l’occasione di rapportarci, direttamente o tramite i nostri familiari, con la vecchia Val Calore. Quale ricordo le è rimasto di quella grande impresa?
Di una grande impresa che ha introdotto e costruito in Provincia di Salerno e nella Regione Campania la cultura enologica, nel corso dei vari decenni di attività.
Io stesso – e prima mio padre – siamo stati soci della Cantina Sociale, vivendo – unitamente alle popolazioni della Valle – il sentimento di orgoglio che quella iniziativa infondeva in ciascuno di noi.
Accanto a tale ricordo – ancestrale e viscerale – mio personale e dell’intero territorio, muovono forti il rammarico per quanto è stato perso e l’ammarezza per la constatazione di quante opportunità sono state smarrite, proprio quando gli esiti degli anni dedicati dalla Cantina Sociale allo sviluppo del settore vitivinicolo hanno consentito ad altri di cogliere i frutti di quelle azioni.
La Valle del Calore, per oltre 40 anni del secolo scorso, si è identificata con la “Cantina”. Se oggi dovessimo indicare un altro soggetto-guida, pubblico o privato, nella valle quale indicherebbe?
La capacità di unità territoriale che aveva avuto saputo realizzare la Cantina Sociale – in sintonia con il suo senso di cooperativa – non ha trovato alcun erede, né il testimone è stato raccolto da altri protagonisti.
Gli epiloghi della Cantina Sociale hanno lasciato troppi strascichi, che – per molto tempo – hanno disintegrato la volontà di condivisione.
Probabilmente, quel contesto di disarmonia ha impedito che emergessero altri interpreti di uno sforzo corale del territorio.
La “Nuova Valcalore…” muove anche da questa constatazione ed ha già guadagnato il merito di aver stretto varie anime territoriali, di aver cucito la Collina del Calore Salernitano con la Pianura del Sele al fine di far vincere le eccellenze del territorio.
Nel complesso, lei ritiene che le produzioni agricole che ancora resistono nella Valle del Calore abbiano un futuro che vada oltre un mercato di nicchia e per l’autoconsumo?
Personalmente sono convinto che le produzioni della Valle del Calore hanno un valore aggiunto legato alla qualità dei luoghi di origine ed alle specificità delle metodologie agronomiche. Dunque, se ciò è vero, i prodotti della nostra terra si collocano in un segmento di mercato che è diverso dalla grande distruzione e dei prodotti dell’agricoltura intensiva.
Quali altri prodotti tipici della Valle del Calore, oltre al vino e all’olio, potrebbero essere oggetto di un progetto di rilancio sul mercato dell’agroalimentare?
Certamente i salumi della tradizione (tra cui, per Castel San Lorenzo, il salume principe: il capocollo); le carni degli allevamenti del territorio; i fichi, le erbe spontanee, i formaggi di origine bovina ed ovi- caprina; le castagne, gli altri prodotti della filiera agricola.
Infine, cosa consiglierebbe ai dirigenti della rediviva Val Calore al fine di aumentare le possibilità di successo del tentativo di ripartenza?
Credo che il Cda della “Nuova Valcalore…” non ha bisogno dei miei consigli; sta lavorando egregiamente e con idee chiare.
Ciò che posso affermare e che il sentimento di far bene – in sintonia con l’ambiente – e di fare agricoltura di qualità sono ragioni che uniscono il Cda della nuova società con l’Amministrazione Comunale.