Ai sensi dell’art. 84, comma 4, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ai fini della legittima adozione dell’informativaantimafia occorre un quadro indiziario più che sufficiente – in base alla regola causale del ‘più probabile che non’ – a ingenerare un ragionevole convincimento sulla sussistenza di un condizionamento mafioso in capo all’impresa ricorrente.
Ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi. Dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata. D’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri.
E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 4, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 nella parte in cui, individuando i presupposti per l’emissione dell’informativa interdittiva, si porrebbe in contrasto con l’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale 1 alla CEDU.
L’informativa interdittiva antimafia è oggettivamente insuscettibile di comprimere la libertà fondamentale di circolazione né il diritto fondamentale di proprietà. Parzialmente incidendo, piuttosto, sulla libertà di iniziativa economica, la quale non trova, però, specifica tutela nella CEDU, mentre è contemplata dall’art. 41 Cost.
L’ordinamento ha voluto apprestare, per l’individuazione del tentativo di infiltrazione mafiosa nell’economia e nelle imprese, strumenti sempre più idonei e capaci di consentire valutazioni e accertamenti tanto variegati e adeguabili alle circostanze, quanto variabili e diversamente atteggiati sono i mezzi che le mafie usano per cercare di moltiplicare i loro illeciti profitti.
Fonte: Lente Pubblica