Di Enrico Serrapede In una fredda mattina di inizio Febbraio qualche cittadino di Agropoli, recatosi sulla spiaggia di Trentova, si è imbattuto in una carcassa spiaggiata sulla riva. In un primo momento, una volta diffusa la notizia, qualche “sensazionalista” ha gridato subito al pericolo parlando di esemplare di squalo, ma nulla poteva essere più falso. In realtà, dopo accurati esami, è stata fatta chiarezza e con certezza gli esperti l’hanno identificato in un esemplare di cogia (Kogia), detto anche capodoglio nano (Kogia sima o cogia di Owen). Un animale raro da vedere in mare (soprattutto nei nostri) e poco conosciuto. La maggior parte degli studi, infatti, proviene dall’analisi di esemplari spiaggiati. Il cogia di Owen (Kogia sima (Owen, 1866) è una delle tre specie di odontoceti della famiglia Physeteridae. Può raggiungere i 2,7 m di lunghezza e i 250 kg di peso; queste dimensioni lo rendono più piccolo tra gli odontoceti di maggiori dimensioni. Si tratta di un mammifero che compie lenti movimenti, producendo piccoli schizzi o soffi e solitamente, quando si trova sulla superficie del mare, giace immobile. Di conseguenza è possibile osservarla solamente in mari molto calmi. Oltre alla rarità dell’esemplare ci sono anche altri elementi che rendono speciale questo spiaggiamento, si tratta infatti solo del terzo avvistamento sulle nostre coste: il primo nel 1988, in località Foce Chiarone, al confine tra Lazio e Toscana, fu rinvenuta una carcassa in avanzata decomposizione, poi identificata come appartenente a un Kogia simus (la specie è stata recentemente rinominata “sima”), primo caso in assoluto nel Mar Mediterraneo (Baccetti et al., 1991). Il secondo spiaggiamento, avvenuto vicino Agrigento, sulla costa di Eraclea Minoa nel settembre del 2002, e sul quale è intervenuto il Centro Studi Cetacei, rappresenta invece il primo (e ad oggi ancora unico) caso di spiaggiamento di un Cogia vivo in Italia (Bortolotto et al., 2003). L’animale morì dopo tre giorni, nonostante le cure profuse nel tentativo di salvarlo. Ad ogni modo l’accaduto ha creato molto interesse da parte delle istituzioni, la carcassa infatti è a oggi custodita presso il centro per la biodiversità di Vallo della Lucania e il Parco Nazionale del Cilento potrebbe decidere di esporlo nella Villa Matarazzo di Santa Maria di Castellabate che si appresta ad aprire i battenti la prossima primavera. Presso la struttura infatti si sta realizzando un Centro studi delle Riserve Marina Italiane, con uffici ed area congressuale. All’esterno, invece, sarà presente un museo della flora spontanea, un acquario, un orto didattico sperimentale delle piante officinali del Cilento ed, infine, un roseto con oltre 220 varietà di rose antiche, che sarà tra i più grandi d’Europa.
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