Il gruppo di viaggiatori è giunto a casa di Lazzaro, bussano ansiosi di poter parlare con Giacomo il minore, il quale aveva accompagnato Maria, la Madre di Gesù. Ormai sulla quarantina, egli era chiamato così perché aveva qualche mese meno del fratello di Giovanni. Figlio di Maria di Cleofa e originario di Nazaret, per via di Giuseppe tutti lo conoscevano come il fratello di Gesù, col quale in passato aveva avuto molto da dire. Gli apostoli vorrebbero parlare con la Madre di Gesù. Lazzaro risponde che è preferibile farla riposare; ancora non si era ripresa dalla stanchezza fisica e dalla pressione morale dei giorni precedenti; aveva sopportato il pesante strapazzo del lungo viaggio da Nazaret per seguire il figlio diretto a Gerusalemme percorrendo circa venti chilometri ogni giorno per giungere solo al sesto nella città santa. Inoltre ella aveva potuto registrare per strada tutti i commenti sul suo Gesù: folle entusiaste, soldati minacciosi, sacerdoti mugugnanti, farisei irritati, sadducei vendicativi. Nel suo cuore palpitante di madre ritornavano le parole sentite nel Tempio tanti anni prima, quando aveva partecipato alla cerimonia del riscatto del suo primogenito. Maria aveva pernottato in caravanserragli e alberghi di fortuna, scomodi e sovraffollati, esperienza che le ricordava un altro viaggio, quando era ancora giovanissima. Maria ricordava poco quanto era accaduto; l’ossessionava il corpo nudo di Gesù sottoposto al ludibrio dei pagani e dei discendenti di Abramo; preferiva non rievocare quello che era capitato sul Golgota. Aveva la sensazione di rivedere soltanto il braccio filiale di Giovanni circondarle le spalle e, con dolcezza, fare pressione per convincerla a riprendere il cammino. In groppa a un asino era arrivata con Giacomo a Betania dove, svenuta per il dolore, la stanchezza, la tensione, era stata sistemata in una stanza. Lazzaro, che ha sperimentato cosa significhi ritornare in vita, le aveva raccontato due giorni dopo della tomba vuota. Da quel momento Maria aveva preferito rimanere sola; di tanto in tanto Marta le chiedeva se avesse bisogno di qualcosa, mentre la sorella le faceva compagnia in silenzio, adagiata ai suoi piedi.
Tommaso, Matteo, Giovanni e gli altri rivolgono allora la loro attenzione a Giacomo il minore, il quale aveva condiviso con Gesù gli anni della giovinezza e in alcune occasioni lo aveva protetto dai compaesani ostili. Non solo per quest’esperienza diretta e per anni di quotidiana convivenza, ma anche per il suo comportamento, Giacomo é molto stimato. Egli non ha mai ridotto la propria fede a pura dichiarazione verbale, né ne ha fatto un’astratta filosofia; la vive concretamente in continue opere di bene, mantenendo una fiducia costante nelle prove della vita, accettate sempre con una instancabile preghiera per chiedere il dono della sapienza. Il suo è un giudaismo molto concreto; ispira rispetto perché non manca di ricordare che tutte le opere buone che si è in grado di compiere sono sempre frutto della fede.
Nel silenzio generale, i primi a parlare sono Matteo e Giovanni, i quali chiedono a Giacomo di descrivere la famiglia e l’ambiente frequentato da Gesù a Nazaret. L’interrogato cerca di esimersi trovando giustificazione nel non essere un fine dicitore; ma alle insistenze di tutti i commensali, inizia il suo racconto.
“Lo avevano chiamato Gesù, Yehosua. Il suo nome, come abbiamo tutti sperimentato, ha descritto bene la sua missione. Infatti, significa “YHWY aiuta” o “possa YHWH aiutare” secondo la spiegazione che danno i rabbini più istruiti. In famiglia abbiamo sempre preferito il significato più popolare, quello di “YHWH salva” o “possa salvare”. Non è solo un gioco di parole; egli ha veramente annunciato la salvezza del Signore.”
“I parenti di Gesù portano nomi che richiamano i patriarchi, l’esodo dall’Egitto e l’ingresso nella terra promessa. Tra i suoi fratelli di primo letto, tre si chiamano come i figli di Giacobbe. In effetti, questo perpetuare il nome dei nostri eroi delle origini ha un preciso significato: é un modo per reagire alla persecuzione con un lucido richiamo a personaggi che debbono favorire il risveglio del nostro sentimento religioso. Quest’uso nel nostro clan familiare denota la convinta accettazione dell’identità nazionale e religiosa che si collega ai nostri patriarchi. Anche Gesù è stato molto sensibile a ciò se ponete attenzione ad alcune sue azioni. Egli ha scelto dodici postoli, un modo per rievocare i dodici patriarchi e le dodici tribù e indicare la sua volontà di voler restaurare tutto Israele perché Gesù di Nazaret è il novello Giosué.”
“Da quanto affermi possiamo renderci conto del tipo di educazione ricevuta”. Asserisce Matteo.
“Come tutti i bambini e i ragazzi – riprende Giacomo – Gesù è passato attraverso le esperienze fondamentali proprie di un essere umano durante il suo sviluppo fisico e psicologico, anche se ha mostrato fin da principio una certa autonomia e una grande intelligenza. Ancora oggi si parla della sua capacità d’imparare a memoria la Torah per poi commentarla, a volte, in modo talmente originale da suscitare le rimostranze del maestro, sovente talmente confuso da venire a casa per protestare. Queste sue doti hanno determinato traumatiche esperienze col resto del clan”.
“Nel nostro villaggio non si parlano le quattro lingue che oggi sono di maggior uso in Palestina: latino, greco, ebraico e aramaico. Il latino, di casa nei luoghi del potere, non è necessario conoscerlo in un villaggio galileo. Quando Gesù decise d’iniziare, contro la volontà dei familiari, il suo ministero non aveva alcuna necessità d’imparare il greco per divenire maestro itinerante. Però, molti tra noi, impegnati nell’artigianato e nel commercio, per condurre gli affari sentivano l’esigenza che qualcuno conoscesse almeno l’essenziale della lingua più parlata nel Mediterraneo. Sapevamo della facilità di apprendimento di Gesù, perciò gli chiedemmo di acquisire una certa pratica di questa lingua. Egli non ha mai avuto un’istruzione formale in greco, che non ha mai padroneggiato con la stessa sorprendente maestria di quando parlava in aramaico. Era fluente in ebraico, la lingua scritta appresa con lo studio della Torah; lo ha dimostrato tutte le volte che ha discusso con gli scribi e con i farisei.”
“Gesù ha avuto qualche possibilità in più rispetto ad altri ragazzi della Galilea perché Nazaret è oggi una felice eccezione nel quadro, generalmente cupo, dell’istruzione nei piccoli villaggi. Queste opportunità sono state valorizzate dalla tendenza degli anziani a favorire l’istruzione per essere autonomi nella lettura e, quindi, capaci d’interpretare i testi sacri. Le esperienze tradizionali nella comunità hanno consentito a Gesù di mettere a frutto i suoi indubbi talenti, costituendo la matrice della sua vita e del suo pensiero. Conosciuto come rabbi, egli ha predicato e insegnato nelle sinagoghe dimostrando di possedere una formazione completa e profonda. Primogenito del matrimonio tra Giuseppe e Maria, ha goduto della pratica prescritta al padre d’insegnare al figlio anche le tradizioni religiose e i testi del giudaismo. Presso di noi un giovane degli strati sociali più bassi ha una possibilità maggiore di ricevere un’educazione elementare se il genitore o il tutore si segnala per pietà e costanza nel frequentare la sinagoga. Gesù ha avuto questa possibilità e così ha coltivato il talento naturale. La sua genialità gli ha fatto raggiungere traguardi ben più alti di quelli ai quali poteva ambire partendo dal livello non esaltante di educazione formale ricevuta.”
“Come molti in famiglia egli ha esercitato il mestiere di carpentiere; ma ha avuto anche un rapporto molto diretto con la terra, esperienza che gli ha dato l’opportunità di conoscere un mondo che ha travasato nelle sue meravigliose parabole. Numerose immagini e metafore sono tratte più che dalla bottega, dall’agricoltura e dal contesto pastorale. Il mestiere appreso nel laboratorio di Giuseppe lo collocava alla base della piramide sociale in un vago ceto medio, non condannato a degradante povertà, come l’operaio alla giornata o lo schiavo rurale.”
“Quelli della giovinezza e fino a poco tempo fa sono stati anni relativamente pacifici favorendo la sua missione itinerante nella Galilea e altrove. In precedenza egli aveva fatto esperienza di alcuni luoghi, soprattutto quando ebbe la possibilità di accompagnare Giuseppe, un mastro costruttore abituato a recarsi a Sefforis, anche se, per la verità, Gesù ha trascorso la maggioranza di quegli anni quasi interamente a Nazaret. La famiglia allargata, alla quale egli apparteneva, è stata per lui la principale rete di sostegno, anche se col passare degli anni sono aumentati i contrasti con i fratelli. Ricordo che uno dei motivi di contrasto è sorto quando si sono dati da fare per indurlo a scegliere una sposa. Egli ha rifiutato; personalmente non ho mai compreso il motivo, una decisione eccentrica rispetto al comportamento richiesto al pio israelita.”
“Giacomo, perché vi siete meravigliati di ciò?” A prendere la parola senza che alcuno se lo aspetti e, per giunta, interrompendo Giacomo, è la Maddalena. La donna si prende delle libertà inimmaginabili. Tommaso è pronto a redarguirla. Maria, la sorella del padrone di casa, si precipita al suo fianco quasi per incoraggiarla a continuare.
“Ho saputo da Giovanni qui presente che a Qumran è praticato un certo tipo di celibato da alcuni membri della comunità. Del resto, personaggi illustri, dei quali si legge nelle sacre scritture, hanno scelto un celibato religioso”.
“Quali?”, interviene Tommaso con tono di sfida.
“Certamente Geremia, ribatte serafica la donna; probabilmente Elia ed Eliseo; e che dire di Giovanni il Battista, del quale Andrea e Giovanni sono stati per un certo tempo discepoli , quindi più titolati di me a parlare sull’argomento?”
“In questi anni mi è capitato di venire a conoscenza di alcuni sorprendenti individui, ma anche di gruppi di celibi, come gli esseni, mi pare di aver sentito anche di terapeuti. E’ una scelta rara e incomprensibile ai più, ma sempre una scelta praticabile”. Dichiara Andrea.
“Non spetta a me – continua la Maddalena – ricordare a voi apostoli il costante riferimento di Gesù a un parlare in parabole che affascinava tutti noi, socialmente e spiritualmente emarginati. Ebbene, il suo celibato è stato una sorta di parabola in azione, scelta dettata dalla volontà d’incarnare un messaggio enigmatico. Uno di voi mi ha riferito che una volta è giunto anche ad affermare che alcuni si fanno eunuchi per il regno dei cieli. Avete inteso cosa abbia voluto dire testimoniandolo con l’esempio?”
Nessuno ha il coraggio di prendere la parola; nella sala costernazione, meraviglia, risentimento quasi si tagliano a fette. Per prevenire eventuali scontri verbali, Marta fa servire la frutta; invece la sorella Maria si complimenta con la Maddalena.