Raccontare un episodio, un momento particolare, è difficile, ho passato cinque anni nel Seminario Diocesano di Vallo della Lucania in modo così intenso che oggi tutti i giorni passati mi sembrano uguali e vissuti come in famiglia, anzi una grande famiglia, ci sentivamo e almeno per me sento ancora, un legame fraterno con gli amici della stessa scuola ma anche con quelli con cui si divideva la camerata o le passeggiate pomeridiane verso Massa o verso Pignataro. Non riesco a dimenticare le carezze (si fa per dire) di Don Aniello Pignataro, professore di Italiano e storia in Prima Media, o le carezze (quelle, sì, tranquille) di don Luigi Orlotti, insegnante di Francese. I richiami tedeschi di un amico che non c’è più ma che ricordo con tanto affetto Don Alfonso Anzivino, la bontà di don Paolo, o don Mario che insieme a Don Alfredo sono stati i miei due Padri spirituali, entrambi pronti a scusarci con il Rettore Don Giovanni D’Angiolillo per le marachelle, o un mancato silenzio nei ritiri spirituali. Le giornate erano più o meno sempre le stesse ma piene di voglia di vivere. Aspettavo con ansia il tre febbraio, giorno della rappresentazione teatrale, per onorare l’onomastico del Vescovo Mons. Biagio D’Agostino. Avevo una grande voglia di recitare ed infatti l’ho fatto per tutti e cinque gli anni di permanenza nel Seminario. Degli anni trascorsi in seminario un episodio ricordo lucidamente che colpì la mia famiglia e me stesso. Un giorno per dimostrare il mio attaccamento, ad un compaesano, all’esercizio di un futuro sacerdozio, in presenza dello stesso simulai la recita, nella cappella del Seminario, di una santa messa. Naturalmente il mio compaesano pensò bene di riferire l’accaduto al Rettore don Giovanni D’Angiolillo, che a mia insaputa convocò mio padre in Seminario. Il rettore riferì l’accaduto a mio padre, ritenendo che lo stesso episodio fosse di una gravità unica. Infatti mi ero permesso di vestire gli abiti talari ed avere recitato sull’altare la santa messa senza alcun rispetto per il sacramento. Mio padre che era arrivato a Vallo della Lucania in modo ansioso pensando che avessi combinato qualche bruttissima marachella o addirittura avessi maltrattato qualche compagno, al racconto dell’episodio esclamò: “Questo è il fatto grave! Ed io che ho fatto tanti cattivi pensieri. Penso – continuò mio padre rivolgendosi a don Giovanni – che, se ha fatto tutto questo, lo ha fatto per ingenuità e per sentirsi già nel suo compito futuro. Vale a dire, vuol fare sicuramente il prete.” Non so come continuò il dialogo. Certo per mio padre potevano essere cose gravissime il perdere tempo e non studiare, o se avessi approfittato di qualcuno. Ma, per lui, mai questa manifestazione di attaccamento ai riti, poteva essere scambiata per una cattiva azione. Naturalmente credo che mio padre fu molto convincente in quanto non ricordo di avere avuto particolari punizioni, né di avere subito altro che un richiamo al rispetto dovuto per la santa messa.
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