Viaggeremo su un razzo interplanetario di nuova concezione, e, raggiunto il pianeta Marte, le nostre saranno comunità sotterranee, tra le quali ci sposteremo con treni elettrici ad altissima velocità, e forse, per far passare il tempo, converseremo in silenzio tramite un’interfaccia neurale pilotata da un’intelligenza artificiale. Il “sogno grandioso” del sudafricano Elon Musk è un piano B, per un pianeta B, ben congegnato e costantemente messo alla prova dei fatti. Un futuribile con i piedi nel presente, e con le mani dappertutto. Ingegnere, sviluppatore di software, imprenditore: la Space X e la Tesla sono soltanto due delle compagnie che fonda o di cui è finanziatore, PayPal e Falcon 1 solo due dei suoi figli, e Marte solo uno dei suoi grandi obiettivi. La salvezza dell’umanità e la colonizzazione del pianeta rosso sono il risultato di affatto assurde considerazioni.
Da finanziatore e amministratore delegato di Tesla, Musk è alla leadership per le auto elettriche di ultima generazione, e con SolarCity lavora nei servizi del fotovoltaico. Il cambiamento climatico è cosa che lo riguarda, e gli eventi catastrofici una possibilità che sente come concreta. Le sue sono visioni fantascientifiche ma Musk vale 140,2 miliardi di dollari. Ciò che la colonizzazione di Marte richiede, Elon Musk lo produce.
Di recente il razzo Starship, un prototipo lanciato dalla base di Boca Chica, in Texas, ha compiuto il suo volo per schiantarsi dopo pochi minuti, consentendo tuttavia l’acquisizione di nuovi dati che hanno fatto eclamare “Marte, stiamo arrivando!” al suo creatore. La corsa continua.
Il rischio concreto di estinzione fa girare la roulette della morte e della vita, e Musk non ha intenzione di perdere.
Ai “There’s no Planet B”, e anche un po’ a chi qui scrive, il programma di Musk può finire col sembrare un sogno grandioso, che pur non trascurando le azioni e la ricerca di soluzioni per il nostro Pianeta A, ne offende in parte la natura. Tutto ciò che è acquisizione di conoscenza è un vantaggio per l’evoluzione sociale e non ci sarebbero ragioni per non riconoscere la lungimiranza della sua visione, ma il richiamo ad un futuro che “è adesso” deve valere anche come ridimensionamento, e farci tutelare ciò che è presente. Gli obiettivi di lunga data spingono verso l’immagine di una catastrofe da cui scappare. Non è forse meglio disimpegnare il futuro dalle sciagure, limitandoci a prenderci cura del giorno ogni giorno? Della Terra attraverso l’attenzione alla Terra?