Caro direttore, continuo ad indirizzarti lettere dalla diaspora, cioè da una dimensione dell’animo che sperimenta una sorta di dispersione, costretto ad abbandonare il contesto di origine socio-culturale per la difficoltà nel riconoscersi nel gruppo di appartenenza. Immagino già le critiche dei benpensanti nel leggere il titolo di questa nota, ma ti assicuro che è la trascrizione notarile di come si sono svolti due momenti significativi della prima settimana di esperienze sinodali in diocesi: la inaugurazione in Cattedrale e la riunione del clero in una delle foranie, teoricamente la più accorsata.
Circa la concelebrazione inaugurale è emerso, come hanno sottolineato anche i sacerdoti che hanno partecipato al citato incontro lo scorso martedì, che la partecipazione del clero è parsa molto striminzita. Per giustificare la situazione sono state richiamate le disposizioni anti-Covid. Ma non c’è stato un pericolo di sovraffollamento. Erano evidenti gli spazi vuoti non solo nel presbiterio, anche i banchi riservati ai fedeli, occupati dalle suore, dai componenti della corale, dalla sparuta presenza dei rappresentanti dei vari settori del popolo di Dio, erano vuoti in fondo alla chiesa. E’ vero: Gesù ha profetizzato che saremmo stati un “resto”, ma queste minime proporzioni probabilmente non erano nelle sue previsioni. Forse gli organizzatori dovrebbero convincersi che “virtuale” non è sinonimo di “virtuoso” e provvedere di conseguenza, altrimenti si è portati a ritenere che questa scelta sia fatta solo per garantire le propensioni di timide psicologie in evidente disagio quando si devono confrontare con un’assemblea, chiaro ostacolo alla buona riuscita di un sinodo.
Un verbalizzatore-sollecitatore di un incontro di presbiteri ha così sintetizzato “Le risonanze e le riflessioni: 1) La preoccupazione che questo evento ecclesiale possa ridursi ad una semplice produzione di “documenti” senza prosieguo; 2) che la celebrazione del Sinodo Mondiale tralasci i problemi specifici della nostra realtà; 3) l’auspicio di un intervento repentino per i problemi inerenti al Clero Anziano come risposta a bisogni “spiccioli” di assistenzasostegno; 4) Esempi di disagio che ostacolano eo indeboliscono la nostra azione sacerdotale (nel presente e nel futuro) nelle Comunità Parrocchiali; 5) Il Sinodo = esperienza ecclesiale positiva ma che preveda una “risposta pronta” e risolutiva dei problemi che interessano le nostre Parrocchie; 6) il disinteresse della gente alla vita politica nelle piccole comunità ( vedi ultime consultazioni elettoraliliste uniche) sinonimo di disinteresse della Gente anche alla Vita di Chiesa”.
Forse fanno un pessimo servizio coloro che, nel riportare i punti salienti delle discussioni emerse durante le riunioni, non trascrivono con fedeltà ciò che è si dice, selezionando tra gli interventi. E’ un tradimento prima della verità e poi del superiore che si intende “fedelmente” servire edulcorando o nascondendo dati e pareri. In effetti, operando in tal modo si contribuisce a confonderlo e, quanto a confusione, se ne sperimenta già tanta nonostante l’immobilismo. Sollecitare acquiescenza nell’illusione che tutto vada bene è un evidente mancanza contro lo Spirito Santo, che siamo invitati a pregare all’inizio di ogni incontro sinodale. La speranza è che della parola sinodo non ci si riempia la bocca durante propagandistiche interviste, ma diventi impegno concreto per evitare un bis in idem dopo il sinodo del 2009 rimasto carta straccia.
“Che ve ne pare?” Così si legge all’inizio della brevissima parabola riportata in Mt 21,28-30: “ Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due…” Ora nel leggere in Curia questa nota prima di reagire risontiti, si può trovare una qualche ispirazione per gustare la dinamica psicologica che emerge dalla liturgia della parola della scorsa domenica che ha potuto guarire per riprendere il viaggio. La prima lettura ha ricordato che «Il Signore ha salvato il suo popolo», un resto di Israele composto dalle categorie più deboli della società: ciechi, zoppi, donna incinte e partorienti, individui precipitati nel pianto e da Lui consolati. Il Vangelo ha presentato Gesù che si ferma perché sente un grido. L’episodio può essere anche la trasposizione visiva di una assembla sinodale. Egli spiazza la folla, che aveva esortato il misero a tacere per non disturbare. Lo invita «Chiamatelo!» Rispetto a noi, Cristo è sempre in sintonia col gemito di chi soffre. E’ pronto a cavalcare coraggio ed energia. Secondo l’evangelista quel cieco, Bartimeo, compie tutti gesti convulsi: grida, non parla; non si toglie il mantello, lo getta, balza in piedi, non si alza da terra dove giace. L’evangelista Marco rende così plasticamente il suo empito di fede, i sentimenti di un uomo desideroso di far parte della comunità. Il cieco guarisce perché qualcuno si è accorto di lui, una voce amica lo salva dalla solitudine dal buio pesto della cecità. Anche se non vede, si precipita verso una voce amica che sente partecipe, è convinto che quel rabbipuò fare qualcosa per lui. Intanto la folla muta atteggiamento: «Coraggio! Alzati, ti chiama!», grida rivolta a Bartimeo, il quale ha che ha strada per quella polverosa strada di Gerico sta passando qualcuno che gli può cambiare l’esistenza. Le prime parole che gli ha rivolto «Coraggio, non temere, abbi fiducia!» fanno ben sperare. Sono il presupposto per un proficuo incontro. Il cieco balza in piedi per raggiungere Gesù; è pronto a lasciare tutto, anche il mantello, unica sua proprietà. Bartimeo si sente chiedere: «Che cosa vuoi che faccia per te?», parole che sollecitano a sperare. Risponde: «che io veda di nuovo!»: una preghiera, un desiderio di luce dopo anni di tenebre opprimenti. Alla sollecitazione di salvezza, come tante altre volte, Gesù risponde: «Va’, la tua fede ti ha salvato». In questo andare si riassume la relazione che il Maestro desidera intessere con tutti i Bartimeo del mondo: la libertà di un rapporto per gustare l’emergere della fede-fiducia di chi si riconosce discepolo e «subito si mette a seguire Gesù lungo la strada» , perseverante cammino in una relazione quotidiana.
Ognuno può identificarsi con questo cieco, prendere coscienza della propria cecità e gridare Kyrie eleison, esclamazione non solo penitenziale. E’ riconosciuto di avere di fronte il Signore pronto alla misericordia. Kyrie eleison, semplice e spontanea espressione di fede, supplica dettata dalla sofferenza dalle privazioni del passato di miseria per aver perso la fede. Gesù concede più di quanto gli si richiede; infatti, non fa riferimento alla sola guarigione fisica ma parla di salvezza, include quindi anche quella dello spirito. Evidenti allora le conseguenze: Bartimeo riacquista la vista e prende a seguire Cristo per la strada che lo conduce a Gerusalemme perché ormai non è solo un cieco guarito, ma un credente divenuto anche discepolo.