Probabilmente, il merito maggiore di mons. Cammarota fu l’aver risolto l’annosa questione del seminario, le cui disfunzioni datavano fin dalla sua fondazione a Diano nell’antica diocesi. La vita dell’istituto non si era mai svolta secondo i canoni auspicati al Concilio di Trento; molteplici e penose vicende avevano contrassegnato quest’ente durante l’età moderna. Mons. Zuccari aveva dedicato un capitolo del suo sinodo alla riorganizzazione; ma gli sforzi si erano rivelati vani. Mons. Speranza dedicò particolare attenzione all’organizzazione didattica. I chierici, superando la consolidata prassi di studiare presso maestri di grammatica nei paesi di residenza, nel 1810 furono invitati a frequentare l’istituto; il presule avrebbe ammesso agli ordini solo giovani in grado di attestare la partecipazione ai corsi tenuti nei collegi di Diano, Sicignano e Novi. In quest’ultimo egli trasferì i seminaristi in precedenza ospitati nell’episcopio del paese dove, abitualmente, il presule risiedeva.
Mons. Barone prestò grande attenzione ai seminari diocesani, dove s’ammettevano fino ai 18 anni “anche i giovani (…) solamente per causa di educazione”. Nei tre collegi s’insegnavano lettere, filosofia e matematica, a Novi e a Diano anche teologia dogmatica e morale, inoltre in quello di Novi si tenevano corsi di diritto canonico e di storia ecclesiastica. Nella relazione ad limina del 1837 il vescovo riferiva che ai seminari a Diano e a Novi aveva affiancato un terzo a Capaccio. Egli paventava le precarie condizioni materiali e spirituali di collegi di fatto frequentati dai giovani della borghesia locale; perciò organizzò il seminario a Capaccio per una più diretta vigilanza, sforzo organizzativo con pochi risultati. Nel 1846, mons. D’Alessandro dovette ricordare al clero l’importanza e l’utilità dei seminari e dei collegi diocesani, che languivano per l’esiguo numero di convittori; mentre il successore, mons. Gregorio Fistilli, dovette fronteggiare un’ulteriore crisi per le vicende insurrezionali del 1848.
La divisione della diocesi determinò mutamenti anche nell’organizzazione di questi istituti. Pio IX assegnò al seminario di Capaccio-Vallo i patrimoni di alcune abbazie e nel 1850 si riprese a parlare di un nuovo edificio da destinare a seminario. Mons. Giampaolo sollecitò il ministero dell’interno perché fosse accelerata la pratica, malgrado il sindaco di Vallo avesse dichiarao di non poter far fronte all’impegno del mutuo. La gravità della situazione e l’incertezza dei tempi consigliarono il vescovo a continuare a tenere a Novi il seminario; procedette ad alcuni lavori di restauro. Il Decurionato di Vallo con delibere del 1855 e del 1856, ritenendo che il seminario dovesse istallarsi a Vallo, propose di destinare a tale scopo il conservatorio di santa Caterina; nel 1857 deliberò doversi costruire nella Piazza Grande su disegno dell’architetto Giustino Pecori di Felitto. Mons. Giampaolo fece approntare un preventivo: con 11.808,50 ducati la diocesi avrebbe avuto episcopio e seminario con tre nuove camerate sufficienti per ospitare tutti i seminaristi.
Mons. Siciliani, intenzionato a risolvere una volta per tutte il problema, nel 1859, appena arrivato in diocesi, autorizzò la costruzione di una camerata con corridoio e oratorio a Novi, ma alla congregazione romana inviava un parere negativo sul mantenimento di un seminario lontano dalla residenza vescovile. Egli rts intenzionato ad acquistare il convento di Massa per adattarlo a questo scopo. Il municipio di Vallo non fu favorevole; perciò, egli pensò di edificarlo nel giardino che mons. Giampaolo aveva acquistato, attiguo al palazzo Perelli trasformato in residenza vescovile. Egli pose la prima pietra il 15 aprile 1860; ma non proseguì i lavori costretto all’esilio per sette anni. Il seminario rimase a Novi per un altro ventennio, circostanza che contribuì ad aggravare inconvenienti e disfunzioni.
La vita del seminario, già precaria per le difficoltà economiche in cui si dibatteva l’istituto, appariva ancora più complessa per la proposta formativa e i programmi di studio non sempre in grado di instaurare un dialogo, anche se limitato, con la cultura moderna. Intanto, la provenienza sociale dei seminaristi subiva una lenta, ma evidente trasformazione, rendendo assillante il problema delle vocazioni, non sempre selezionate a causa degli scarsi stimoli culturali. Soltanto alla fine del secolo, con la lenta ripresa della vita cattolica, si notò un miglioramento nel presbiterio diocesano grazie anche alla maggiore funzionalità del seminario. Ne derivò la necessità di disporre di un seminario efficiente e funzionale; ma l’edificio era afflitto dalla mancanza di locali idonei. Mons. MaglioneNell’ottobre 1881 aprì il seminario nell’ex convento dei cappuccini di Massa e nel 1893 fece approntare una bozza di contratto per l’acquisto dell’ex monastero. Mons. Jacuzio fece riconoscere “ente Seminario” l’ex convento di Massa ed ebbe cura di migliorare studi e disciplina. Col passare degli anni il numero di seminaristi ed alunni esterni aumentò considerevolmente. Mons. Cammarota decise di raddoppiarne la capienza, portando a cento i posti-letto; a tale fine fece gettare le fondamenta per una nuova ala dell’edificio nel giardino nei pressi della cappella. Ma le trattative per l’acquisto non andarono a buon fine. Con decisione improvvisa, egli riprese e portò a compimento l’antico progetto di mons. Siciliani nei pressi dell’episcopio, inaugurando l’imponente edificio nel 1930.