Dal 1915 al 2015: due guerre mondiali, una rivoluzione, un genocidio e una guerra fredda
di Bartolo Scandizzo
Sto leggendo “La caduta dei giganti” il primo dei tre libri di Ken Follett (“L’inverno del mondo” e “I giorni dell’eternità”, completano la trilogia) che porta il lettore per mano a vivere la storia dal punto di vista delle varie componenti sociali.
Follet porta il lettore per mano ad incrociare i punti vista dei vinti e dei vincitori sottolineando in modo crudo con quanta “crudeltà” l’aristocrazia nobiliare e militare abbia assunto decisioni che hanno portato il mondo al prima guerra mondiale e posto le basi per la seconda.
Mio nonno, Francesco Antonio Cavallo, coscritto del 1892 e inconsapevole pastore dell’alto Cilento, partì come bersagliere per il fronte del Nord-Ovest per liberale Trieste e Trento.
Come lui più di un milione di uomini furono ammassati come carne da macello nelle trincee in una guerra di resistenza al freddo e al gelo più che di confronto con il nemico.
Ernest Hemingway, con “Addio alle Armi”, … Emilio Lussu, con “Un anno sull’altopiano” e Erich Maria Remarque, con “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, danno bene l’idea di cosa sia stata la guerra di posizione e le immani lotte per restare in vita durante il I conflitto mondiale.
Cento anni, due guerre mondiali, una rivoluzione (russa), un immane genocidio e una guerra fredda hanno modificato irreversibilmente il modo di essere dell’intero pianeta: gli Stati hanno messo al centro l’uomo in quanto soggetto portatore di diritti oltre che di doveri.
Anche nel 3° millennio, ci sono eccezioni ed anche rigurgiti guerrafondai, se non vere e proprie guerre combattute in modi “non convenzionali”, ma è solidamente consolidato il concetto che l’uso della forza deve sempre tentare di risparmiare le componenti più deboli della società dagli effetti “collaterali” o diretti degli scontri o bombardamenti. Infatti, tutti tentano di occultare azioni militari che coinvolgono civili, fatto salvo eventi che tendono proprio a richiamare l’attenzione del mondo stravolgendo questa consolidata “prassi”.
Ricordare il “macello” umano che è stata la “Grande guerra” è un dovere umanitario, prima che un giusto riconoscimento a quanti hanno immolato la vita ad una causa perché costretti dalla storia, quella storia, che per diventare grande ha dovuto ingoiare intere generazioni di giovani fino ai “Ragazzi del ’99.
Sapremo noi fortunati uomini e donne nati, cresciuti e ormai sulla soglia del finito che abbiano vissuto da “liberi” essere all’altezza di tanti sacrifici?
Avremo noi che abbiamo avuto la fortuna di istruirci in comode scuole e studiare su innumerevoli libri, molti gratuitamente distribuiti dallo Stato, capire che non dimenticare è un piccolo obolo da tributare in cambio di gesti impagabili?
Saremo noi che stiamo gestendo l’eredità di uomini e donne che hanno combattuto per la Resistenza il nazifascismo conservarne l’insegnamento e tradurlo in un mondo migliore di quello che loro ci hanno consegnato?
Interrogativi che ogni anno, nella ricorrenza del 25 aprile, festa della liberazione, in tanti si pongono ma non sempre trovano riscontro nella società!
Forse è giunta l’ora di una forte e chiara “chiamata alle armi” di quanto non hanno ancora abdicato la propria responsabilità all’indifferenza dell’ignoranza.
Io, quest’anno, il 25 aprile sarò in piazza a festeggiare la libertà che i Partigiani e le forze alleate Anglo-Americane hanno consegnato alle nostre generazioni per ricordarmi che mi è anche il prodotto della storia del secolo “breve” che la dice lunga sui 100 anni di indicibili sacrifici fatti dai nostri avi.