La piccola comitiva ascolta in silenzio e la Madre di Gesù, dopo una breve pausa, riprende il suo racconto scandendo le parole: “Potete comprendere che allora non davo a quei fatti il significato che hanno acquisito dopo l’esperienza della Risurrezione; tuttavia cominciai a capire che tutto avveniva per realizzare la Promessa. Questi pensieri determinavano in me non solo un senso di pochezza, ma anche l’inebriante sensazione di essere partecipe di un grande evento, non distante, ma vicino, tanto vicino da portarlo dentro di me. La solitudine di quei giorni di cammino accumulò in me un coacervo di sentimenti che scaricai al primo incontro con Elisabetta, l’unica interlocutrice in grado di capirmi. Mi accomunava a lei la stessa condizione dell’attesa, di un seno fecondo, di una particolare grazia che rendeva ancora più presente nel profondo del nostro io la potenza di Jahvé. Entrata in casa di Zaccaria mi resi conto che, lui muto, l’ambiente era riempito dalla personalità di mia cugina, felicissima della benedizione: non era più sterile e non più oggetto dei sarcasmi malevoli del vicinato. Gridai la mia gioia a Dio, mio salvatore, anzi salvatore di tutti perché vedevo non solo in me, ma anche in un’altra figlia di Sion la fruttuosa misericordia del Benedetto d’Israele. Mi fermai a casa della parente lo stretto necessario. Quando mi resi conto che il mio aiuto non era più indispensabile decisi di far ritorno a casa.
“Immagino che avessi qualche problema da risolvere”. Commenta la Maddalena.
“Ripresi il lungo viaggio e per me i giorni furono tutti uguali. Percepivo il tempo dell’attesa come uno stagno immobile, a volte mi sembrava di non riuscire a immaginare cosa venisse prima o dopo. Mi ero resa conto della situazione e di ciò che avrei dovuto affrontare: gli altri, cioè la reazione del paese, del clan, dei miei, di … Giuseppe. Poco prima di entrare a Nazaret, mi fermai per prendere fiato. Quando lo scorsi e lui mi vide, ci bloccammo entrambi, consapevoli di cosa vicendevolmente l’altro stesse pensando. Raccontai l’accaduto. Sulle prime egli mi guardò incredulo. Lo fissai negli occhi, una lacrima scese sul mio viso e bastò perché io capissi che lui mi aveva creduto, pronto a mettere da parte i dubbi e sforzarsi di comprendere, benché gli avessi comunicato qualcosa onestamente al di là delle capacità della mente e del cuore di un promesso sposo. Mi sorprese il suo tono di voce. Disse
“Beata te Maria”, esclamano le sorelle di Lazzaro, invitando la Madre di Gesù a continuare.
“Sì, finalmente avevo tra le braccia il mio unigenito”. Nel pronunciare quelle parole il suo volto s’illumina di una luce indescrivibile. Gli occhi le brillano mentre evoca la sua reazione: baci e coccole. Riferisce che, mentre Giuseppe si era allontanato per portare più acqua, intonò un salmo che aveva composto nei giorni dell’attesa, chiusa in casa per non sentire pettegolezzi molesti.
“Come abbiamo appreso nelle lunghe notti quando seguivamo Gesù per le vie della Galilea prima dell’ultimo tragico viaggio a Gerusalemme”, aggiunge Giacomo il minore, che ha assunto il compito di accompagnare la donna nella sua pellegrinazione, “quando fu possibile, Giuseppe e Maria si recarono al Tempio per l’offerta del primogenito”.
La madre di Gesù riprende il racconto per comunicare la sua esperienza in quella circostanza: “Ero felice. Poter entrare in quel luogo a testa alta e mostrare al mondo la normalità della famiglia che, per rispetto alle prescrizioni della Torah, procedeva al sacrificio di riscatto del primogenito. Era un compenso indicibile alle mortificazioni, ai dispetti, all’isolamento, alla paura sperimentati prima del parto. Ma la gioia fu turbata da quando avvenne all’uscita. Un turbamento premonitore contrastava con i sentimenti che mi avevano accompagnata nel salire per il sacrificio. Pregavo augurando a mio figlio un futuro pieno di gioia, serenità, successo. Ma fui prima distratta e poi angosciata da alcuni gesti e alcune parole che ascoltai in quei momenti. Nel fissare mio Figlio un vecchio conoscitore dei testi sacri cominciò a parlare di tradimenti, ostilità patita e di una tragica passione che lo attendeva; veramente un segno di contraddizione tra la gioia della cerimonia del riscatto e un dolore penetrante come di una spada affilata nella mia anima. Mi tenni ancora più stretto il piccolo Gesù con la speranza che, facendogli scudo col mio corpo e la mia anima, potessi prevenire tanta sofferenza”.
A questo punto Maria fa una pausa per asciugare una lacrima che non riesce a trattenere; poi riprende: “Quel giorno mutò definitivamente il modo di pormi verso Gesù. Infatti, intravedevo incombere su di lui l’ombra del dolore. Questa visione rendeva amari anche i momenti più dolci e familiari. Per timore della catastrofe cominciai ad aver paura dell’avvicendarsi dei giorni. Lo vedevo crescere e ciò mi ricordava l’approssimarsi del grave momento delle tenebre. Perché nella sua misericordia il Benedetto d’Israele non mi ha mantenuto nascosto quel momento? Un velo persistente su prospettive future di straziante dolore avrebbe reso più tollerabile l’ansia e l’angoscia di madre. Forse domandare ragione al Signore delle sue scelte con una punta di risentimento costituiva una irrispettosa libertà nei riguardi dell’Ineffabile; ma conoscere in anticipo ciò che attendeva Gesù ha reso penoso ogni giorno per il travaglio delle mie ansie materne. Mi si chiedeva di estendere all’infinito il Sì pronunziato all’inizio di questa grande storia, che mi ha segnato per sempre.”
Marta cerca di confortarla asserendo: “Ma da questo dolore deriva anche la tua compartecipazione materna alla salvezza di tutti noi”. Tuttavia comprende che le parole che sussurra sono poca cosa.
La Madre di Gesù prosegue: “Si è vero, ma il momento temuto del Golgota produce un continuo spasimo nelle mie carni e nel mio cuore. Ho sviluppato una solidarietà tutta particolare col corpo di mio figlio confitto al legno, nella disperata impotenza di madre ho sperimentato la comunione con lui, ingiustamente martirizzato”.
La Maddalena interviene per consolarla:“Il tuo dolore ti rende più vicina a ogni creatura che, pur soffrendo, continua a coltivare la speranza”.
Ma ella dà la sensazione che, invece di ascoltare quelle parole, abbia stampata negli occhi l’immagine della lancia utilizzata dal centurione per costatare il decesso di Gesù: essendo il figlio già morto, la ferita aveva fatto male soprattutto a lei mentre si continuava a infierire su quel corpo, al quale lei e lei sola aveva dato la vita, un corpo soprattutto suo essendo nato in quel modo unico.
“Nonostante l’angoscia e le pene proprio in quel momento”, precisa Marta, “ci hai dato il più grande insegnamento: accettare la volontà di Dio nella consapevolezza che fosse l’unica scelta valida e coerente” e, con tono di preghiera continua: “Dammi la forza di magnificare il Signore come Tu hai saputo fare ed esultare in Dio per la fede che ha generato in me il tuo Gesù. In tal modo posso accogliere dalla tua voce l‘Emanuele, come hai chiamato tuo figlio, e fare della Parola la mia verità, la mia via, la mia vita.”