A pochi giorni dalla ricorrenza del 2 giugno in cui si celebra la nascita della Repubblica italiana, il primo ministro canadese Justin Trudeau, in un intervento in Parlamento, si è scusato con la comunità italo-canadese per il dolore inflitto a tutte le persone di nazionalità italiana che, durante la Seconda guerra mondiale, furono rinchiuse dalle autorità nei campi d’internamento, perché sospettate di avere rapporti col fascismo.
Tra la fine dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento, almeno 14 milioni di italiani emigrarono verso gli Stati Uniti; tra questi alcune migliaia raggiunsero il Canada, impiegate soprattutto come manodopera a basso costo in miniere, fabbriche e cantieri edili.
Tra gli anni Venti e Trenta, Benito Mussolini non solo aveva costruito in Italia il proprio regime attraverso il consenso interno, basato sulla fascistizzazione della società e sul mito di una patria forte ed efficiente, ma aveva raccolto consensi e suscitato ammirazione anche all’estero.
In Canada l’ideologia fascista fu promossa finanziando la stampa filofascista e sviluppando sul territorio una rete di organizzazioni fasciste cui far aderire immigrati italiani e simpatizzanti canadesi. Dunque, nel territorio dell’ex colonia francese, sebbene la cultura fascista fosse presente in certi settori della società, la presenza di una comunità italiana non costituì un problema di ordine politico-sociale almeno fino al 10 giugno 1940. Quel giorno, infatti, Mussolini, che all’inizio del conflitto aveva scelto la linea della “non belligerenza” a causa dell’impreparazione dell’esercito, da poco uscito dal conflitto con l’Etiopia e fiaccato per il sostegno dato a Franco in Spagna, dichiarò guerra a Francia e Gran Bretagna, convinto che il conflitto fosse sul punto di concludersi.
Quella dichiarazione spinse il governo canadese a ricorrere al “War Measures Act”, che permetteva l’arresto d’un sospetto senza fornire un preciso capo d’accusa, sospendendo pertanto l’habeas corpus, cardine del codice legale britannico e canadese. Immediate furono le ripercussioni sugli italo-canadesi: gli italiani divennero i nemici, destinati a essere guardati nel Paese con sospetto; alcuni furono privati del lavoro, subirono offese e violenze, molti altri furono sottoposti ad arresti e internamenti.
Nel corso del conflitto, in Canada più di 30mila persone di origine italiana, considerate “enemy aliens”, ebbero l’obbligo di presentarsi una volta al mese di fronte alle autorità locali e oltre 600 italo-canadesi furono rinchiusi, senza giusto processo, nei campi d’internamento, come quelli di Petawawa in Ontario e di Fredericton nel Nuovo Brunswick.
In ogni guerra l’aspetto ideologico diventa dominante e ciò vale in modo specifico per il Secondo conflitto mondiale che fu una guerra totale, oltre che per la dimensione di massa del conflitto, proprio per il carattere ideologico e totalizzante dello scontro: la propaganda politica e tutte le varie forme di mobilitazione e di interventi patriottici messi in atto dai governi avevano l’intento di annientare il nemico completamente. Anche se oggi nessuno ritiene che durante l’ultimo conflitto mondiale gli italo-canadesi cospirassero per preparare il terreno per un’eventuale occupazione del Canada da parte delle potenze dell’Asse, resta il fatto che in quel momento la loro patria di adozione li considerò una minaccia per la sicurezza nazionale.
Perciò è difficile poter sanare le ferite di uomini e donne che sperimentarono la segregazione e la prigionia, senza comprenderne le ragioni. E’ forse ancora più complicato restituire la dignità e l’orgoglio ai discendenti di coloro che furono etichettati come nemici stranieri, avvertendo un forte senso di ingiustizia e di vergogna, perché i loro nomi furono inclusi nelle liste compilate dagli agenti della Gendarmeria Reale del Canada per individuare i sabotatori e i nemici del Paese.
Tuttavia, le scuse del premier Trudeau, pronunciate in parte in italiano, appaiono opportune e prive di retorica perché intente a restituire alla comunità italo-canadese, una delle più grandi al mondo, una giustizia morale che fino ad oggi tardava a giungere sul piano formale.
Del resto, perché non dovremmo credere alla sincerità di questo gesto?
Senza cadere nella trappola dei revisionismi storici, ogni Paese osservandosi in un ipotetico specchio in grado di svelare il concatenarsi degli eventi storici, senza filtri e illusioni, rischierebbe di cogliere soltanto il riflesso dei propri errori.
di Ilaria Lembo