Della pandemia avremmo tutti fatto a meno questo è certo. Il Covid, però, c’è stato e ha lasciato sul contesto planetario ferite che in tanti territori sono ancora apertissime anche se la luce in fondo al tunnel (facendo i dovuti scongiuri) comincia a vedersi … Siamo in tanti a immaginare che anche da questa triste vicenda sia necessario imparare una lezione anche perché solo in questo modo riusciremo a affrontare meglio altre esperienze simili qualora dovessero capitare. E probabilmente capiteranno perché le pandemie da sempre attraversano il mondo e in taluni casi hanno contribuito a modificare la relazione con il divenire. Lo stesso Impero Romano è proprio per la peste nera che soccombe agli eventi che, poi, per secoli hanno fatto del nostro Paese una terra depredata da lanzichenecchi e saraceni. La pandemia ci ha certamente insegnato che l’uomo non può pensare di tutelarsi senza tutelare l’ambiente in cui vive e, dunque, abbiamo appreso che la sfida per l’attorno da difendere è l’emergenza a cui dobbiamo guardare con maggiore attenzione. Tutti. Politica, istituzioni, imprese, scuola … Evidenzio, però, che non abbiamo bisogno di enunciazioni e starei bene in guardia dagli ambientalisti di facciata che da troppi anni predicano benissimo senza che, però, nulla cambi nello stile di vita delle persone vagamente sopite da qualche articolo di giornale e solo di rado coinvolte dal decisore in scelte che seppure difficili sono oramai obbligate perché si possa guardare con serenità al futuro. Quello immediato … il domani che è domani e che ci vede non sensibili abbastanza verso i cambiamenti climatici, la fragilità delle nostre montagne e dei fiumi e del mare … Forse Greta ha ragione a ricordarci che i nostri affanni, il nostro correre, tutti i patemi della finanza e i nostri consumi denotano una insensibilità che ci rende profondamente colpevoli innanzitutto rispetto ai nostri figli. E la scelta fondamentale è dare corso nel proprio piccolo a “FARE” e a riprendere una relazione vera con la consapevolezza. Cosa vuol dire? Significa, per esempio, cambiare diametralmente la nostra alimentazione, concepire che non è più il tempo dell’agnello più grasso a cui dobbiamo preferire il cavolfiore del nostro orto e significa, ancora, comprendere che tutti i giorni scegliamo e votiamo andando al supermercato troppo spesso senza chiederci qual è la fine della nostra corresponsione e cosa realmente stiamo finanziando. Poi c’è tanto altro ancora e c’è innanzitutto l’esigenza che se ne parli, che ognuno si esprima e si faccia sentire. La scuola è forse l’agenzia più importante per il cambiamento e la nostra scuola, quella del Parco Nazionale del Cilento, per esempio ha il dovere di immaginare che nella relazione con il territorio vi è la grandiosità di quei saperi e quelle conoscenze generatrici delle abilità che sono, poi, la parte più straordinaria di ogni competenza. Allora, quando si tratterà di scegliere le visite d’istruzione formativa privilegiamo l’interazione con la nostra storia e con quella GEO-grafia che racconta la straordinaria civiltà che è nelle nostre pietre, nei nostri prodotti, nei nostri dialetti, nelle tradizioni e nelle narrazioni accattivanti dei nostri vecchi. Nel buono della nostra natura e della nostra cultura vi è un mondo straordinario e certamente più affascinante di ciò che ricerchiamo nel cellulare, sui sociali e nel web dobbiamo soltanto fare in modo che i nostri ragazzi lo comprendano. Per questo bisognerà stare lontano dai moralismi e concepire che l’animazione del contesto è fondamentale. E per ciò gli enti locali e lo stesso Ente Parco dovrà per la prospettiva immaginare che l’economia circolare di cui abbiamo bisogno non è nelle declamazioni ma nelle delibere che adottiamo e che, probabilmente, dovranno, da ora in avanti, essere più orientate verso la struttura di una condivisione orizzontale più vasta che possa scaturire dalla partecipazione. A un bambino del Parco che indossa una maglietta con scritto sulla targhetta made in china bisognerà spiegare che noi non abbiamo nulla contro la Cina e contro quella maglietta. Se, però, certe produzioni scaturiscono da lavori non opportunamente tutelate dai diritti e sono derivate da processi inquinanti e, poi, per arrivare a Torchiara, devono attraversare il mondo inquinandolo a causa del petrolio che consumiamo per far girare la globalizzazione che è in atto e che è una delle cause più incombenti dei guasti ambientali forse sarebbe maglio che in Piazza a Torchiara, giocando, i bambini imparino come si produce – per gioco – una maglietta, magari utilizzando materiali del territorio … Il bambino si sarà divertito, Torchiara l’avrà conosciuta e noi avremmo posto in essere un’azione in favore del nostro ambiente … A volte basta proprio poco ma da sole le parole sono troppo poco … Bisognerà rimboccarsi le maniche. Facciamolo e … Viviamoci il Parco.
Andrea Iovino