La Gran Bretagna si avvia verso l’immunità di gregge, mentre tutto il Paese si stringe attorno alla famiglia reale a seguito della scomparsa del quasi centenario principe Filippo.
Tuttavia, si guarda con preoccupazione al riemergere di tensioni in Irlanda del Nord. Le ultime due settimane, infatti, sono state segnate da scontri violenti a Belfast, e in altre cittadine dell’Irlanda del Nord come Londonderry e Ballymena, tra le forze dell’ordine e i movimenti di protesta che raccolgono le tensioni, mai definitivamente cessate, tra i protestanti unionisti e i repubblicani cattolici dell’Irlanda del Nord. Quello irlandese, infatti, è uno scenario complesso, aggravato dalla pandemia e dalle conseguenze della Brexit.
Nel 1922 nacquero due Stati, lo Stato libero d’Irlanda (Eire) e l’Irlanda del Nord, divisa in sei contee, facenti parte del Regno Unito.
Al termine della Seconda Guerra mondiale, l’Eire assunse il nome di Repubblica d’Irlanda e prese le distanze dalla Gran Bretagna, uscendo dal Commonwealth. La divisione del Nord Irlanda dal resto dell’isola non fece cessare gli scontri tra i gruppi paramilitari, noti come “Troubles”: l’Irlanda del Nord fu insanguinata dalla guerra civile condotta dai protestanti, unionisti e lealisti, determinati a restare sotto la Corona britannica, e dai cattolici nazionalisti, favorevoli invece alla creazione di un’Irlanda unita, del tutto indipendente dal dominio britannico. Dalla fine degli anni Sessanta fino al termine degli anni Novanta, il conflitto si radicalizzò, producendo un’escalation di violenze e di atti terroristici da entrambe le parti con il conseguente coinvolgimento delle truppe britanniche.
Solo nel 1998, con il Friday Agreement, si compì un importante passo sulla strada della pacificazione, concedendo un’ampia autonomia al governo del Nord Irlanda e riconoscendo come legittimo il desiderio dei nazionalisti di un’Irlanda unita.
Sebbene agli inizi del nuovo Millennio il movimento terroristico dell’IRA (Irish Republican Army) avesse accettato la fine della lotta armata, l’obiettivo finale restò comunque la riunificazione delle sei contee del Nord Irlanda con l’Eire.
Da giorni Belfast è tornata a essere protagonista di disordini e scontri, caratterizzati da vandalismi, lanci di bottiglie molotov e petardi, che le forze dell’ordine stentano a contrastare. Difficile individuare una ragione univoca che possa spiegare l’avvio di questi tumulti, i cui protagonisti sono soprattutto i giovani della capitale e di altre città del Paese; tuttavia, uno dei fattori principali è senza dubbio il disagio sociale che nelle periferie urbane si è acuito per gli effetti del Covid-19, mescolandosi alla criminalità comune, composta spesso da bande di ragazzini. Ciò non toglie che, a differenza di altre manifestazioni anti-lockdown ed episodi di violenza esplosi in alcune città europee dall’inizio della pandemia, in Irlanda il malessere sociale rivela un profondo malcontento nei confronti delle conseguenze che il Nord del Paese sta vivendo a seguito della Brexit.
Come è noto, l’uscita della Gran Bretagna dall’UE ha indotto il governo di Boris Johnson e l’UE a cercare una soluzione specifica per risolvere la questione irlandese, giungendo a un compromesso: il “Protocollo su Irlanda e Irlanda del Nord”, infatti, ha evitato una frontiera fisica fra l’EIRE e l’Irlanda del Nord, consentendo a quest’ultima di rimanere nel territorio doganale del Regno Unito.
Questa soluzione ha impedito il nascere di una barriera commerciale tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord, ma, di fatto, ne ha creata una con il Regno Unito: le merci che giungono a Belfast dalla Gran Bretagna devono sottostare a controlli doganali, perciò l’Irlanda del Nord potrebbe avvicinarsi sempre più, almeno sul piano commerciale, all’EIRE. Ecco allora che i vecchi rancori degli unionisti si riaccendono e considerano questo Protocollo un tradimento.
La questione dei rapporti tra l’EIRE e l’Irlanda del Nord, dunque, resta un pantano, aggravato dalla fragile soluzione del Protocollo. Possibile che l’UE e il governo britannico, concentrati sulle questioni economico-commerciali, siano stati così miopi da non prevedere che nel Paese irlandese avrebbero trovato spazio nuove tensioni politiche tali da mettere in discussione perfino gli accordi di pace raggiunti nel 1998, dopo trent’anni di guerra civile?
Gli appelli lanciati per la fine dei disordini dal premier irlandese Micheal Martin e da Boris Johnson, cui ha fatto seguito l’invito del presidente degli USA Joe Biden a preservare nell’Irlanda del Nord una pace conquistata a fatica, saranno in grado di trasformarsi in un’efficace azione politica o affonderanno nel pantano irlandese come pietre levigate?
Ilaria Lembo