Più volte nel corso della giornata o quando ci rivolgiamo a Dio diciamo: Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, una invocazione imparata a memoria sin da piccolissimi, che accompagniamo con il segno della croce. Il mistero della Santissima Trinità è presente nella nostra quotidianità sin dal Battesimo quando viene pronunciata l’invocazione della Santissima Trinità e viene tracciato su di noi il segno della croce.
Nel corso della vita ne portiamo l’impronta in modo indelebile, ma di rado però ci soffermiamo a considerare il significato del gesto che facciamo e delle parole che pronunciamo.
“Non deve essere un gesto meccanico, affrettato, devi farlo bene” mi ripeteva, da piccola, mio padre e aggiungeva: “E’ il segno che ci fa riconoscere cristiani, con questo segno apriamo la nostra giornata e chiudiamola la sera prima di addormentarci!”.
Quando io gli facevo notare che il suo segno della croce differiva dal mio mi spiegava che gli ortodossi, mio padre era ortodosso, fanno a differenza dei cattolici il segno della croce tenendo unite tre dita della mano, pollice indice e medio, e le altre due libere toccando la spalla destra prima della sinistra. Le tre dita unite rappresentano la Trinità, le due dita libere evocano la natura umana e quella divina di Cristo.
Mi sembra di risentire ancora le sue parole……….
Oggi la Chiesa celebra proprio la Santissima Trinità, Dio come Trinità di persone, in un’unica natura o sostanza, in una realtà di meravigliose relazioni. E’ il grande Mistero della fede cristiana che pur non potendo essere compreso a fondo ci propone uno sguardo al compimento della salvezza realizzato dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo.
il passo del Vangelo, di poche righe, che leggiamo in questa domenica, ci illumina poi su quale è il senso di tutta la storia della salvezza del mondo: l’amore che noi credenti dobbiamo mettere a guida di tutta la nostra esistenza terrena, per goderlo in pieno poi nell’eternità.
Ci racconta una parte del lungo dialogo di Gesù con Nicodemo, un fariseo e come tale rigido nel seguire la Legge e i Comandamenti, ma con il cuore chiuso all’amore e alla misericordia. Mosso dalla curiosità e dal desiderio di conoscere Gesù, Nicodemo si reca da Lui. Ci va di notte perché è l’ora più discreta. La notte ben rappresenta il buio che ha dentro, i tanti interrogativi che si sta ponendo dopo aver visto le azioni compiute da Gesù e ascoltato le Sue parole. Nicodemo rappresenta quella parte di noi che resta legata alla legge e fa fatica ad aprire il cuore.
Quante volte siamo più impegnati ad apparire bravi, a giudicare chi sbaglia invece di aiutare e perdonare, di accogliere l’altro. Ci colpiscono le parole che pronuncia Gesù. Sono parole che dice al Nicodemo che è in ognuno di noi. Dio ha tanto amato il mondo da donare se stesso in Gesù, ci ama incondizionatamente, non ha mandato il Figlio per condannare il mondo, per giudicarlo, ma perché il mondo sia salvato, salvato dal vero peccato: il non amare i fratelli. Dio crede nell’uomo.
Tutto il suo progetto di salvezza, alla portata di ognuno di noi, e quindi l’opportunità dell’eternità, si trovano condensati nella parola amore. Siamo invitati a immergerci in questa relazione e a cercare la strategia migliore per dare continuità a questo amore infinito di Dio.
Gesù è venuto a mostrare il vero volto di Dio, un volto troppo spesso offuscato da una fede rigida che invece di avvicinare allontana da Lui. Quante volte riduciamo il nostro essere cristiani a pura esteriorità e non viviamo con la nostra vita il Vangelo con altruismo, solidarietà, carità.
Possiamo allora ritenerci credenti? Certamente no e la condanna non ci viene da Dio ma da noi stessi. Ricordiamo al Nicodemo che è in noi che non credere a Gesù, non seguirlo, è condannarci ad una vita dalla quale il passo di Giovanni oggi ci vuole mettere in guardia.