Nelle nostre abitudini è solito concedersi, spontaneamente, alla formulazione di luoghi comuni e non è un caso che, ognuno di noi, avrebbe una parola sempre pronta per riscattarsi, nel chiacchiericcio goliardico tinto di eventuale ilarità nel primo caffè del mattino al bar del paese. Peccato però, riscontrare questo “modus” espressivo, che rasenta spesso superficialità e qualunquismo, in contesti dove sobrietà, posatezza, ma soprattutto ragionevolezza dovrebbero essere qualità principali, scontate e alla portata di chi dovrebbe anche ascoltare e raccogliere istanze. Ovviamente, ogni riferimento non vuole assumersi il connotato di una chimera stagnata nelle consuetudini, ma in generale vuole essere un monito; il tempo offre alle nostre vite diverse opportunità di crescita, ma solo alcune sono destinate a ritenersi degne di nota. Possiamo capirci, confrontare e crescere in qualsiasi spazio disponibile e alla nostra portata, ma ci vuole propensione e volontà per cogliere dalle esperienze il momento opportuno affinché attingere dai contenitori la concretezza. In una terra ricca di patrimoni ineguagliabili e invidiabili, troppo spesso si è rilevata una mancata operatività in termini strutturali, di risorse e opportunità lasciate lì nel prolungarsi perenne di un semiabbandono e con esse, un forte disinteresse collettivo. Ecco perché sarebbe opportuno mettere al vaglio di tutti, le evidenze non solo nel momento della rivalsa di facciata. D’accordo, le celebrazioni, le inaugurazioni in pompa magna saranno anche oggetto di gioia temporanea, ma spesso sono una conseguenza ovvia di un cammino a ritroso, si assiste sovente alla classica e repentina caduta libera nel baratro dell’indifferenza generale che a sua volta porta con sé opportunità di rilievo. Pertanto è altrettanto facile, e si arriva al punto, che con questo dato comportamentale e reciproco, accorgendosi tardi dell’importanza delle cose, ci si assegnano colpe vicendevolmente senza mai riconoscersene una che sia di propria entità. Non per autoinfliggersi il bollo nero del sommo destino, sia chiaro, ma semplicemente per migliorarsi. Le dinamiche, specialmente quelle che hanno interessato gli ultimi anni, si sono ulteriormente aggrovigliate in complesse dislocazioni sociali, ma è necessario ristabilire un contatto armonioso con la realtà, qualora i giochi della predominanza sistemica non prendano definitivamente il sopravvento; stabilire un canale comunicativo incline alla comprensione dei bisogni di una intera comunità dell’entroterra oramai in declino demografico; le tabelle Istat lo attestano molto bene. Prendere coscienza delle cognizioni di causa, almeno per riqualificare un adeguamento pacificatore con l’oggettività storica degli eventi è rigorosamente necessario, magari… meglio tardi che mai. Tuttavia è pressoché deleterio procrastinare e avanzare tesi soltanto su una mancata attenzione o mal gestione degli enti amministrativi, quando appunto ai cittadini, contraddistinti da un individualismo disarmante e preoccupante non importa granché, si viaggia rigidi e con i paraocchi, con una fretta impellente in una terra silente e lenta, segnàti da una svogliatezza paradossale su quelle che sono le tematiche e i nodi da sciogliere per le riserve future. Sarebbe quasi ora di smussare la durezza di questi occhi serrati e tinti di supponenza. Una danza ibrida nel vuoto del nulla serve solo a scaldare le lancette degli orologi del tempo che ne rimane oltre che gli schienali delle sedie. Tutta questa premessa non vuole essere tedio per chi legge, e si perdonino i toni piuttosto critici dell’analisi che vi si sottopone, ma sollevando alcuni documenti del mio archivio è stato possibile risalire ad alcune e interessantissime operazioni culturali avallate nel tempo e, in questo caso, nel Comune di Stio. Una su tutte, quelle che riferiscono all’inaugurazione tenutasi nel 2007 del Museo Archivio del Maestro Antonio Trotta; l’Artista di fama internazionale ebbe i natali proprio nel piccolo centro cilentano dal quale, nel lontano 1937 si trasferì, con la sua famiglia, a La Plata in Argentina. Lì trascorse la sua adolescenza e gli anni della sua formazione. Fu un percorso decisamente lungo, quello che portò a creare uno spazio espositivo del Maestro nel posto delle sue origini, un interessamento che nacque nel 1975 grazie all’Avv. Bernardo Mario D’Azzurro, quando l’Artista tornava a riscoprire i profumi della propria terra e nel contempo i suoi lavori venivano esposti in “Personali” di tutto il mondo oltre a partecipare alle prestigiosissime “Biennali di Venezia” (1968 – 1976 – 1990). Al tempo “stuzzicato” da D’Azzurro, come mi riferisce lo stesso avvocato al telefono (segue corsivo) egli disse: “è molto difficile, ma possiamo provarci”. Tant’è che dopo la sua ultima Biennale, tornò a Stio per realizzare il suo grande sogno che era quello di istituire un vero e proprio museo con le sue opere. Era molto contento perché l’amministrazione dell’epoca gli diede l’opportunità non solo di avere a disposizione il luogo dove attualmente sono ubicate le sue opere, ma anche il consenso di poter continuare ad operare nella sua terra natia. Tutto questo si realizzò con un rapporto d’intenti reciproco con l’istituzione comunale che forniva gli spazi mentre intanto – l’Artista – le sue opere, anche pòstume all’inaugurazione del Museo che porta il suo nome. Chiaramente le tornate conseguenti, nel quale Antonio portava le nuove opere rimpinguando e rinnovando il museo, non sono state felici. Lui però ha insistito fino alla fine, fino al punto di dirmi: “io qui voglio portare tutte le mie opere, almeno quelle che ho fatto a partire dal mio ritorno dall’Argentina” risalente al 1968. Tra l’altro, tornò poco come artista in Argentina, come ben sai gli artisti poco si confacevano con il regime militaresco che si era instaurato nella nazione sudamericana in quei tempi. L’ultima volta che l’ho visto, il 13 giugno del 2019 – dopo tre mesi è deceduto – mi chiese se ci fosse stata l’opportunità di allargare l’esposizione per le sue opere; avrebbe fatto questo nell’edificio scolastico, andò a vedere anche lo spazio a disposizione e gli piacque. Tuttavia le difficoltà mi indussero anche a chiedergli una volta: se a Stio non hai l’opportunità di far decollare il tuo pensiero con le tue opere, perché non proviamo da qualche altra parte? Lui mi rispose “o qui o da nessuna altra parte più!”. Ringraziando l’Avv. Bernardo Mario D’Azzurro, tra i più accreditati rappresentanti e cultore della Vita e delle Opere del Maestro Trotta, c’è da auspicarsi per la struttura museale (Museo Archivio Antonio Trotta da Stio) venga rivolta da parte di tutti una particolare e lungimirante attenzione. Viste le note di prestigio, torni ad essere opportunità, per la fruizione e per l’ampliamento della conoscenza. Nella terra di Parmènide, che diede la luce al pensiero occidentale, c’è da chiedersi: perché ancora non è possibile, in questo immobilismo, stabilire delle connessioni interculturali e multidisciplinari tramite l’istituzione di un vero e proprio “polo” dell’arte contemporanea?
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