Se ci si ferma all’ingresso del Santuario della Madonna delle Grazie a Vallo e si guarda verso l’altare si ha la sensazione di vedere allestita una scenografia ispirata al teatro barocco. C’è da augurarsi che l’impatto sia solo un pallido ricordo di passate visioni trionfalistiche del mondo, misto d’inquietudini dello spirito, di aneliti mistici e di quotidiani contrasti per un contesto nel quale guerra e carestia non erano un fatto sporadico. Con gusto dell’artificio si tentava di nascondere pensieri ancora più cupi, come il richiamo alla morte e alla transitorietà dell’esistenza per una umanità che ormai non si sentiva più al centro dell’universo perché la scienza aveva sollevato il velo di Maia che sollecitava a ritenersi al centro del mondo. L’uomo cominciava a guardare con disincanto le cose e, patendone la precarietà, focalizzava lo sguardo verso l’ordine ultraterreno.
Il rutilante interno dell’edificio religioso è pronto per le feste decennali; tutto uno scintillio di veli dorati con al centro il celeste dominante. È la cornice a tre statue, le quali dovrebbero invitare a meditare sulla storia dell’esperienza cristiana nel Cilento. L’icona mariana proposta alla venerazione dei fedeli è il riferimento alla scelta del capoluogo come sede vescovile. Lo si legge in un denso saggio di un giovane storico vallese. Il santo protettore della cittadina sintetizza il radicamento dell’animo di un popolo nella cristianità orientale, mentre la statua della giovane anacoreta rimanda al primo frutto di santità autoctona riconosciuto dalle autorità ecclesiastiche, modello di vita che oggi non suscita particolare richiamo. Questo è uno dei significati, motivo per cui si sollecita il popolo a condividere la solennità del 2 luglio. Ma se ne possono dedurre altri ricordando, ad esempio, il motivo per cui si decise d’incoronare la statua venerata in questa chiesa e della quale è poco conosciuta la storia, motivo per cui da alcuni viene contestato al santuario la qualifica di “diocesano”.
Sono iniziati i festeggiamenti. Appare interessante immaginare da cosa si lasceranno maggiormente coinvolgere i partecipanti. Mi pare che una fetta considerevole della popolazione – i giovani soprattutto –considerano vera icona del decennio il cantante invitato ad esibirsi. Questo popolo della notte sembrerebbe aver operato un taglio netto col vero significato dell’evento; sarà, quindi, interessante mettere a confronto la massa che riempierà la piazza in quell’occasione con l’altra presente durante il pontificale la mattina del 2 luglio.
In effetti, questo luogo di culto parla di noi, ricorda che è stato strumento di coesione che ha rinvigorito la matrice identitaria del paese consolidando le affinità valoriali di un popolo. Questa eredità cultural-ambientale rimane una risorsa per un territorio che appare particolarmente slabbrato nei suoi connotati comunitari e, invece, potrebbe rivelarsi un antidoto per indurre i giovani a non emigrare e i meno giovani a ritornare.
Interessante sarà anche il comportamento della folla in attesa diavvolgere in un caldo abbraccio l’immagine della Vergine, nella speranza che le folle accorse riescano ad attingere significati più profondi del mero prostrarsi ad un inutile totem. L’icona è un manufatto dal marcato valore simbolico per il singolo individuo e per l’intero gruppo sociale al quale egli appartiene. Ad esso ci si sente legati per tutta la vita e questa associazione avviene tramite una cerimonia d’iniziazione: nel nostro caso l’incoronazione del 1788 e della quale si celebra la ricorrenza.
I veri protagonisti dei festeggiamenti a mio parere sono i fedeli che, riconoscenti, partecipano alla processione per rafforzare il loro ricordo iconico, cioè l’empito emotivo che genera gioia per essere presenti all’evento quando la statua della Vergine esce dalla chiesa per percorrere benedicente le vie della cittadina. Si tratta di pochi minuti rispetto al senso di amaro del “tutto è finito troppo in fretta” quando rientra nel santuario e tutti, più o meno coscientemente, si pongono la stessa domanda: la prossima volta ci sarò anch’io? Angoscioso quesito al quale si cercò di porre riparo quando la popolazione di Vallo chiese che le feste centenarie avessero una scansione decennale.
Chi vive questi sentimenti dimostra di avere un rapporto molto più familiare, che travalica l’ancestrale relazione totemica. Sono mamme che hanno continuato a pregare per la grazia anche quando non hanno ottenuta quella per la quale hanno fatto il voto, come è capitato a mia nonna che ha pianto la figlia morta. Si tratta di sorelle, come mia zia, che durante una guerra assurda giornalmente si è recata in chiesa per ottenere la grazia di poter riabbracciare i due fratelli costretti a combattere in Albania. Questi sono i sentimenti che mi rendono familiare e conferiscono significato alla festa del decennio. Perciò, mentre altri saranno attratti dalle note del cantante o dal pieno dell’orchestra, mentre il rumore dei fuochi pirotecnici tenterà inutilmente e futilmente d’illuminare il cielo, intonerò nel silenzio del mio animo un cantico per inneggiare alla Madre ritenendo quelle parole già una grazia perché luce per la fede.
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L’icona nella chiesa di Vallo è quella della Madre, di colei che ascolta e osserva la Parola di Dio, perciò si è pronti ad esclamare, come la donna nella folla secondo il racconto evangelico, “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato”, riproponendo i simboli della Galaktotrofousa, la Madre che allatta il Figlio, tema iconografico caro all’arte cristiana e alla spiritualità, segno e sintesi di tutte le donne e le madri, bellezza e candore immacolato di Maria.
La statua della Madonna aiuta a meditare il mistero di Grazia che trasforma in devota contemplazione i sentimenti, esaltati in una vibrazione di toni interiori che, nell’indurre a riflettere, infondono coraggio ed accendono la speranza. Perciò, ammirare il viso di Maria non lascia indifferenti; anche solo un piccolo particolare colpisce ed aiuta a percepire come presenti e coinvolgenti i momenti più significativi dell’esperienza cristiana filtrando simboli, segni e metafore. Alla fine, la poesia che scaturisce dall’icona fa sorgere spontaneo il desiderio di sostituirsi al Bambino per gustare l’abbraccio caldo della Madre, anche se i suoi occhi penetranti, segnati da una venatura di malinconia, non nascondono il fardello del dolore causato dal male pur redento dal sangue di suo Figlio.
Il volto della Vergine è il centro dell’azione mistica. L’artista ha cercato di fare di quel viso la proiezione della Luce del Figlio. I colori sono quelli della tradizione pittorica mariana, blu e giallo-oro stemperati in molteplici toni sino al rosa e il bianco, simboli di purezza e di amore; un chiarore diffuso richiama brandelli di cielo e fa rivivere i momenti intensi dell’empito di amore, vera grazia ricevuta. Mentre osserva il volto, il fedele inizia con gli occhi a dialogare. Il legame visivo trasforma il silenzio in parola e implorazione, lo scambio di sguardi accentua la poetica rappresentazione della dolcezza di una Madre e del divino amore del Figlio, pronti alla comprensione e alla misericordia colmando di speranza il cuore del fedele assorto nell’intima preghiera. Maria ascolta le invocazioni scandite dalla corona del rosario che descrive la sua gloria e fa gustare l’intimità che l’ha legata saldamente a suo Figlio in una esperienza di lavoro, di affetti e di reciproca comprensione. Per l’attenzione costante alla volontà di Dio non può non essere Regina di quanti, immersi in un mondo di sangue, dolore, ingiustizia e sofferenze, attendono fiduciosi la pace perché l’Agnello si è offerto e col suo sacrificio ha vinto il male e dona la sua misericordia manifestando disponibilità al perdono che Maria gli ha sempre sollecitato.
Grazie a Lei, nella domesticità di Nazareth, Dio ha confermato il suo sguardo provvidenziale sulla povera storia umana in uno straordinario contesto di avvincente semplicità, di umiltà regale, di doviziosa povertà, di autenticità di vita testimoniata e condivisa con la gente del villaggio in un continuo primato del dono divenuto solido pilastro di fede. Ecco perché Maria, col suo sì testimonia che i valori profondi si nascondono tra i semplici. Ella prorompe nell’inno del Magnificat, messaggio e preghiera che più si approssima al rivoluzionario discorso delle beatitudini pronunziato dal Figlio quando, su una balza montuosa, circondato dai discepoli e rivolto alle folle assetate di verità, bisognose di salvezza, desiderose di essere consolate, chiama beati i poveri. Accanto al Figlio Maria è presenza discreta e operosa, capace di penetrare nel mistero dell’ora presente perché la grandezza della Madonna non è tanto nel legame fisico e generazionale con Gesù quanto nell’averlo accolto, dato alla luce e seguito fino al Calvario attraverso la fede, l’ascolto obbediente, la fedeltà quotidiana nell’osservare la sua parola.