Tempo fa scrissi un articolo sull’estinzione di una scuola che ha fatto la storia contemporanea di un paese, Piaggine, e una valle, la Valle del Calore Salernitano (https://www.unicosettimanale.it/news/attualita/916…). A stretto giro, ritornò sull’argomento Silvio Masullo di Sacco, che ripropose la questione da suo punto di vista (https://www.unicosettimanale.it/news/attualita/917568/la-chiusura-dellistituto-magistrale-e-la-conseguenza-dello-spopolamento).
Sono stati in tanti a leggere e commentare quegli scritti “lastricati” di ricordi ma anche di una sottostante malinconia per il tempo che fu e che, ormai, siamo costretti a richiamare alla memoria dal profondo vissuto di un passato remoto. Altri, purtroppo, li hanno portati con sé nell’oblio eterno che è la condizione del non essere più!
Mi decisi a scrivere della scuola che ci aprì, forse inconsapevolmente, le porte del futuro e ci fece chiudere alle spalle un mondo che, da lì a qualche anno, sarebbe diventato irriconoscibile alla maggior parte di noi. Come, del resto, a nostra volta diventammo corpi estranei che “calavano” da altri mondi in occasione di festa patronali o eventi familiari.
La realtà, però, si trasformò radicalmente anche per chi non si imbarcò su “scialuppe” destinate a navigare nel mare aperto del mondo culturale, lavorativo e affettivo che attendeva al varco di moderne “forche caudine” ognuno di noi.
Meritoriamente, chi restò a combattere sul campo di battaglia contribuendo a ritardare o, quanto meno, a contrastare il calo demografico e mantenere viva quell’agenzia educativa che tanto aveva contribuito alla formazione e crescita culturale dei giovani, femmine e maschi, è arrivato stremato alla fine della corsa.
Per cui è comprensibile che sindaci e amministratori rivolgono lo sguardo ad altri orizzonti al fine di ridare vitalità ad un territorio vocandolo ad un destino di “riserva” ambientale trovandosi ad essere al centro del Parco Nazionale del Cilento Vallo di Diano e Alburni. Si trattò di una “non scelta” ma di una strada obbligata dalla storia recente che oggi è un dato di fatto ma che ancora fa fatica ad essere assunta come base sulla quale fondare l’unico futuro possibile.
Proprio in quest’ottica, però, si potrebbe ricercare la chiave per riaprire gli spazi fisici lasciati vuoti dalla chiusura al mondo che verrà e che già oggi si può intravedere tra le pieghe della crisi pandemica causata dal Covid19 e che stringe il mondo contemporaneo in una morsa dalla quale bisognerà uscire riducendo la velocità e aumentando gli spazi.
La velocità di spostamento fisico di uomini e mezzi è stata la perenne istanza che soggetti pubblici (sindaci e amministratori) e privati (cittadini e mondo delle imprese) hanno posto all’attenzione della politica. Mentre, la crescita inesorabile degli spazi disponibili (fabbricati e terreni) si è dilatata fino a diventare ingestibile soprattutto per il deterioramento del patrimonio abitativo.
Chi ha orecchie per sentire e occhi per vedere non può fare a meno di prendere coscienza di una forte, se non repentina, inversione di tendenza con lo spostamento di giovani e meno giovani a vivere nelle periferie delle grandi città e, in molti casi, nei borghi lontani dai grandi agglomerati urbani.
La crescita esponenziale dello Smart Working (lavorare a distanza da casa), incoraggiato dalla pubblica amministrazione e l’acquisto di beni e servizi sulle grandi piattaforme che operano sul web, come cominciano a fare anche direttamente le aziende produttrici, daranno ulteriore impulso alle famiglie che vorranno rendere definitiva la scelta.
Ecco perché quegli spazi lasciati vuoti potranno essere riempiti, come potranno tornare a nuova vita le case dei genitori e dei nonni che ora sono da rottamare ma che con opportuni incentivi potrebbero essere ristrutturate e riconvertite per ospitare nuove vite.
Infine, potrebbero aspirare ad avere un “impiego” anche decine di immobili comunali anch’essi destinatari di interventi di recupero e ristrutturazione costati non poco alla collettività e che, come accade troppo spesso, restano inopinatamente vuoti.
Alla stessa stregua, anche quell’edificio, costruito per ospitare al scuola media unificata (ginnasio e avviamento) negli anni ’60 del secolo scorso, che fu destinato ad ospitare l’istituto magistrale che aprì i suoi battenti nell’anno scolastico 1967-86, potrebbe ancora una volta diventare un luogo fisico dal quale far ripartire il mondo che verrà nella prime metà del primo secolo del terzo millennio.
I tanti che vi hanno trovato la strada per emanciparsi culturalmente e professionalmente e che ora sono in pensione potrebbero dare una mano, chi fa parte ancora della popolazione attiva potrebbe accompagnare e prendere il testimone quando vorranno!
Le utopie restano tali fino a quando qualcuno o tanti non le trasformano in realtà …
P.S.: ho creato una pagina Face book dove si potrebbe alimentare il dibattito o anche solo frequentarla per pubblicare ricordi del tempo che fu.
Bartolo Scandizzo