Mendicante assetato, ancora oggi Gesù è disposto ad entrare in dialogo con chi, segnato dal risentimento, è pronto a gridare “Tu, giudeo, domandi da bere a me samaritana?” e, scandalizzato, imbraccia le armi, innalza muri, sbatte la porta, non porge il bicchiere d‘acqua per inumidire le labbra di chi, disperato, rischia la vita alla ricerca di dignità. Queste considerazioni costituiscono l’evidente premessa all’enciclica Evangelii gaudium che aiuta ad irrobustire la coscienza grazie alla crescita della fede. Il Vangelo sine glossa è una necessità per porre riparo ai condizionamenti del tempo, ma anche un’esperienza che produce grande gioia perché l’unica risposta che veramente può soddisfare l’uomo, tutto l’uomo. Nel suo documento programmatico per il pontificato, papa Francesco intende sollecitare proprio questa riflessione. La Chiesa, alla quale egli si rivolge in questa enciclica di 220 pagine, è decisamente policentrica, impegnata in una coerente opzione per i poveri dalla quale sgorga tanta gioia, termine utilizzato 59 volte per descrivere gli effetti per ciascuno di noi nel vivere il Vangelo.
L’esortazione si articola in cinque capitoli. Nel primo, Francesco invita la Chiesa a uscire dai propri confini e aggiornare il linguaggio perché spesso risulta ostico. Inoltre, come precisa nel secondo capitolo, egli sollecita ad accettare le sfide del mondo senza complessi d’inferiorità, convinti che al nostro fianco c’è il Maestro che guida e lo Spirito che illumina. Ecco perché, come si legge nel terzo capitolo, tutti i battezzati debbono sentirsi coinvolti nell’annuncio. Per essere efficace, esso presuppone la testimonianza come singoli e come comunità, senza dimenticare che l’evangelizzazione deve favorire la promozione umana tramite il dialogo che consolida la pace e aiuta i poveri, argomenti del quarto capitolo. Nell’ultimo il papa ricorda che l’impegno deve essere innanzitutto quello di fedeli che si riconoscono fratelli alla presenza di Dio, pronti a rivolgersi a lui tramite una preghiera costante e intensa, a imitazione di Maria.
Francesco propone il decentramento di alcune competenze alle chiese nazionali perché intenzionato a esercitare in modo nuovo il primato petrino. A questo fine egli intende promuovere la collegialità, come ha raccomandato il Concilio Vaticano II, e introdurre altre riforme per valorizzare il ruolo dei laici e delle donne anche nel processo decisionale. “Ciò che intendo qui esprimere ha un significato programmatico e dalle conseguenze importanti”, precisa il pontefice, il quale si propone una conversione pastorale e missionaria per procedere a un improrogabile rinnovamento per il cui conseguimento è pronto a dare l’esempio proponendo anche la “conversione del Papato”, cioè un diverso modo di esercitare il primato nel senso della collegialità, scelta che reputa un salutare decentramento in quanto “un’eccessiva centralizzazione complica la vita della chiesa e la sua dinamica missionaria”. Del resto, con molta umiltà e concretezza, egli sostiene non “opportuno che il papa sostituisca gli episcopati nel discernimento di tutte le problematiche dei loro territori”. Inoltre, la riduzione di responsabilità del governo centrale può contribuire a ridimensionare gli apparati burocratici romani, appesantiti da prassi che determinano disfunzioni e allontanano i vertici della Chiesa dalla pratica di una visibile e credibile povertà, in grado di favorire la definitiva opzione per gli ultimi.
L’invito del pontefice può determinare ulteriori sviluppi in un campo dove di recente si sono registrate gravi sperequazioni e reiterate ingiustizie. Infatti, la crisi che attanaglia e ostacola lo sviluppo è stata determinata da insopportabili egoismi; perciò Francesco sollecita “una riforma finanziaria che non ignori l’etica”. Ma non è sufficiente limitarsi a ciò; egli auspica anche un deciso cambio di atteggiamento da parte dei dirigenti politici per determinare una convergenza di azioni e trasformare la mentalità di chi gestisce i poteri forti nella consapevolezza che il “denaro deve servire e non governare” e “alla dittatura di una economia senza volto e senza scopo veramente umano” deve sostituirsi una società più giusta e umana, dove finalmente possa trionfare la civiltà dell’amore. A questo proposito la Chiesa deve dare un chiaro esempio, di conseguenza tra ecclesiastici e religiosi vanno banditi comodità, carriera, denaro; costoro devono radicalmente modificare il modo di parlare con la gente usando un linguaggio semplice. L’invito è rivolto a tutti, stimolati ad essere audaci e creativi, coscienti che “il Vangelo riempie la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù e da lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento”.
Nell’esortazione apostolica Francesco ripropone a tutti la freschezza del Vangelo annunziato da una Chiesa “chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre”, ad avere sempre le porte aperte perché “mossa da un desiderio inesauribile di offrire misericordia”. Perciò non deve esitare ad uscire dai propri confini e porsi decisamente in cammino per annunciare il Vangelo ed esaltare l’azione del Buon Pastore. Questi non giudica, ama anche i più lontani, rimasti incatenati nelle periferie estreme della vita. Ecco perché, seguendo il comando del Signore, occorre andare agli “incroci delle strade per invitare gli esclusi” nella consapevolezza che esiste “una gerarchia della verità” dalla quale emerge che le opere di amore al prossimo costituiscono la migliore manifestazione della fede. Di conseguenza, per la chiesa l’opzione per i poveri diventa cogente “categoria teologica”. Perciò, “ci sono altre porte che non si devono chiudere”; non è più consentito rispondere con un NO ai problemi che con urgenza s’impongono all’attenzione della Chiesa con la presunta giustificazione che si è fatto sempre così. Queste parole sono un’inaccettabile mistura di clericalismo e d’immobilismo; devono essere dimenticate perché è necessario dare una scossa esistenziale ai cattolici cominciando dai vertici ecclesiastici ai quali è richiesto innanzitutto l’esempio. E’ vero, persistono principi irrinunciabili per i quali non è consentito cedere alla società liquida. Del resto, a ben riflettere, “Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana” quando si parla di aborto o di eutanasia. Tuttavia, dobbiamo interrogarci sulla nostra disponibilità ad aiutare chi si trova in situazioni di questo tipo perché “è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure”.
Come ha affermato il Risorto accendendo la speranza quando ha detto “Io faccio nuove tutte le cose”, Francesco propone questo coinvolgente invito perché “Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, far parte della comunità, e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi”, soprattutto agli scoraggiati, a chi si sente peccatore, ai delusi, a chi si percepisce indegno o è frustrato per l’accumularsi di sconfitte nelle sue esperienze esistenziali. Il papa ricorda che anche l’Eucarestia “non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”.
La misericordia diventa così il nuovo modo di vivere la fede cristiana, non riduttiva dottrina dogmatica, codice morale che elenca imposizioni, ma pratica del Vangelo come annuncio vivo, gioioso, sempre nuovo, sempre diverso, forza liberante che trasforma, quindi un nuovo modo di essere Chiesa, di vivere da cristiani nel mondo cosiderandola una categoria sociopolitica per affiancare una concreta speranza al bisogno di giustizia.