L’esercizio del discernimento aiuta Francesco a considerarla concretezza della persona in determinate situazioni praticando la cultura dell’incontro, pronto e disponibile a comprendere l’interlocutore e non a condannarlo. Questo stile gli ha procurato subito le critiche di chi con molto sufficienza lo ha definito vittima del folklore latino-americano; qualche porporato, con altrettanta supponenza, ha cercato d’individuare nel suo magistero una limitata preparazione dottrinale. Il fronte tradizionalista ha rinserrato i ranghi rinchiudendosi nella propria timebonda autoreferenzialità, dimentica dei poveri e degli esclusi. In effetti non sono risultate gradite l’impostazione pastorale e missionaria, che si richiama al Vaticano II, e la temuta decentralizzazione, foriera della perdita di tanti privilegi curiali e capace di smantellare consolidate cordate carrieristiche. Non si accetta la sua proposta di modellare una nuova identità ecclesiale ponendo il Vangelo al centro. Egli propone di ritornare alla sorgente della fede, riscoprendone l’essenzialità che conferisce gioia per l’acquisita coscienza della semplicità dell’essere cristiani nel XXI secolo senza trincerarsi dietro sicurezze dottrinali, che rischiano di escludere, e liberandosi della formalità di tanti no che certi moralisti tartufi pretendono d’imporre. Queste premesse consentono di leggere con maggiore profitto i suoi documenti magisteriali.
Lumen fidei è la prima enciclica a quattro mani con la quale si conclude il magistero di Benedetto XVI, il quale ha proceduto alla stesura preparatoria considerandola l’approdo di un percorso iniziato con quella sulla carità e continuato col suo bellissimo messaggio sulla speranza. Il documento costituisce una sorta di logica conclusione dell’anno della fede, singolarissima esperienza della chiesa di Roma. I suoi due papi testimoniano come la successione è una coerente testimonianza dell’impegno a confermare i fratelli raccomandato da Gesù a Pietro.
Nel documento siglato da Francesco si legge che la fede è innanzitutto un dono di luce necessario per illuminare adeguatamente l’esistenza umana. Infatti, consente di allargare i suoi orizzonti rafforzando la fiducia nel bello e nel buono, esperienze che possono trarre origine solo da Dio. Ad annunziare il messaggio sono coloro che, avendo creduto all’invito della Parola, come ha fatto Abramo, vinto l’egoismo sono stati capaci d’iniziare il viaggio che li ha portati all’incontro con l’amore trinitario, il solo che può vincere la sterilità di una vita senza prospettive e speranze di futuro. Mediatore di questa grande opportunità di salvezza è Gesù, la cui vita e il cui insegnamento risultano affidabili perché nessuno più di Lui è capace di stare, mano nella mano, a fianco del prossimo più bisognoso, gli ultimi, i paria che tutti rifuggono. Egli è il solo che può veramente parlare di Dio facendoci partecipi del dono della fede. L’incarnazione lo ha fatto simile a noi in tutto, anche e sopratutto nel dolore, nella solitudine, nell’abbandono, nella sconfitta, proprio in tutto, eccetto il peccato perché ha saputo superare ogni tentazione, anche la più subdola. E’ lui a procurarci il dono dell’autentica fede perché è verità, quindi la sua presenza e la sua persona risultano estremamente attuali quando si è disposti a ricercare non solo le apparenze, ma la realtà del bene. Questa fede, che nasce dal dono amorevole di Dio, rafforza i vincoli di fratellanza tra gli uomini. Se veramente vissuta, ispira una coerente esistenza e così contribuisce a trasformare la città dell’uomo nella città dell’amore che rinsalda i vincoli sociali. La fede in Cristo aiuta a superare ogni crisi perché affratella facendo considerare proprie le difficoltà degli altri, impegna a collaborare per risolvere i problemi che angosciano il quotidiano di tutti. Perciò, è giusto invocare Maria, beata perché ha creduto, icona perfetta della fede e del fedele; ha concepito con gioia e mostra le ragioni della speranza a tutta l’umanità.
Francesco sollecita il dialogo come stimolo al discernimento, quasi un invito a fermarsi come Gesù nei pressi di un pozzo situato nella detestata Samaria, dove intesse il colloquio con una donna che vi attinge acqua e della quale non conosciamo il nome, ma sappiamo che la sua fragile esistenza è segnata da un evidente tormento perché incapace di relazioni stabili, infatti ha avuto cinque mariti! Facile intravedere la portata anche simbolica dell’episodio: di fronte sono l’umanità, rappresentata dalla donna sperduta nel suo confuso quotidiano, e Cristo. I due sono impegnati in un dialogo che prende le mosse da una situazione esistenziale che dovrebbe far emergere l’incomunicabilità a causa delle differenze religiose e identitarie. I Giudei non hanno rapporti con i Samaritani, a dividerli è innanzitutto il modo come adorano Dio. Ma il metodo dialogico di Gesù supera anche questo ostacolo; alla fine egli trasforma quello che per la samaritana è solo un pozzo stagnante nell’esperienza di acqua viva che sgorga da una fonte inesauribile. E’ lo stile di Gesù: prende per mano e trasforma una radicata opposizione in liberante curiosità che genera sorpresa, dalla quale emerge lo stimolo a pensare, percorso dell’anima che si conclude con un abbraccio di condivisione d’idee e di vita. In tal modo si genera ammirazione e, di conseguenza, il bisogno di testimoniare, un crescendo vincente rispetto ai muri eretti da stili cultuali diversi o da teologie di scuola che si combattono.
Il dialogo intessuto con Gesù diventa punto di partenza per una relazione che fa superare barriere percepite come insormontabili per le marcate divisioni radicatesi lungo gli anni. E’ il nuovo modo di credere; a Gesù non interessa stabilire dove è giusto adorare Dio, a Gerusalemme o in Samaria. Gli irrigidimenti dogmatici determinano solo l’esclusione di cuori feriti, costretti a rimanere fuori del tempio. Non importa dove; la samaritana è invitata ad adorare il Padre in spirito e verità anche se il suo comportamento non è immacolato. Questa donna rappresenta l’intera umanità andata dietro a tanti amori rivelatisi fatui o illusori, ma Dio la vuole riconquistare perché il suo desiderio di amare non si stanca. Egli non enumera gli errori commessi, la sua sete di perdono è più grande di una giustizia riparatrice. Gli basta essere amato, allora si dona senza pretendere nulla; offre acqua che diventa sorgente inesauribile perché in Lui non c’è calcolo essendo appunto esuberanza dell’Amore che si dona. Tutto ciò emerge dal dialogo che Gesù intesse. Egli usa il linguaggio dei sentimenti. Nel desiderio recondito di una donna, il cui percorso di vita è molto accidentato, Egli intravede del buono dal quale traspare ancora la sincerità di un cuore. La capacità introspettiva di Gesù è il migliore sostituto ai rimproveri, ai giudizi di condanna, a severi consigli di cambiar vita. La sua è una ineguagliabile terapia di discernimento per la partecipata pazienza nell’illuminare la mente. Così trasforma la donna in tempio che adora Dio avendone sperimentato l’amore misericordioso.
L’Ego eimì di risposta alla samaritana sorpresa é, nella finezza teologica del mistico Giovanni evangelista, una citazione del nome stesso di Dio. Ma Gesù non si limita a sollecitare un atto di fede, apre nuovi orizzonti di concreta felicità. “Colui che viene a me non avrà più sete” assicura a chi deve attingere nelle ore assolate di un quotidiano sempre uguale e segnato da tante angosce. E’ l’invito a riflettere sulle necessità di abbinare alla soddisfazione dei bisogni materiali quelli spirituali e passare dai desideri della terra a quelli del cielo. Così Gesù non cambia ma eleva per trovare la sorgente del desiderio in Dio, vero tempio della fede nel Signore, che è con noi perché Amore. Allora, anche se la sete ci angustia, anche se ci riteniamo incapaci, possiamo trovare il nostro equilibrio nell’amore condiviso superando i limiti personali. Tale convincimento pervade di ottimismo la nostra vita. Invece di temere le debolezze, siamo determinati a costruirvi sopra un tempio solido e vincente, un cuore che si riscalda all’amore di Dio. E’ quanto capita alla samaritana, la quale dimentica persino il motivo per cui si è recata al pozzo; infatti, abbandonata l’anfora, corre in città: la sua debolezza è diventata la sua forza; su di essa costruisce la testimonianza di Dio avendo compreso che l’Amore supera tutte le incrostazioni culturali. E’ capace di dimenticare anche le inimicizie religiose perché ha bevuto l’acqua promessa da Gesù. Così la sua vita sprizza gioia ed energia perché ha arricchito il proprio cammino di un nuovo, coinvolgente significato.