Di Egidio Marchetti
Il Golfo di Policastro costituisce la cornice naturale di un’area vasta tra Campania, Basilicata e Calabria, includendo territori divisi amministrativamente, ma che madre natura ha concepito insieme.
La sua particolare conformazione l’ha reso un approdo naturale garantendo navigazioni sicure ed essendo anche una terra fertile, è stata sempre ambita dalle varie civiltà, diventando strumento prezioso attraverso cui esercitare il dominio commerciale e culturale su di un’area vasta, proprio per essere il fulcro strategico di influenze, di relazioni e di scambi.
Proprio qui nacque la colonia greca di Pixunte, sorta presso la foce del fiume Bussento, dotata di una cinta muraria che doveva proteggerla dalle incursioni e da qui partivano i flussi commerciali verso Taranto.
Divenne poi romana con il nome di Buxentum e, dal VI° secolo, ebbe anche una sede vescovile. Poi, sotto l’influenza bizantina, prese il nome di Policastro.
Con queste premesse, il Touring Club ha dedicato una giornata a questi luoghi, iniziando dalla Chiesa di Santa Maria Assunta, oggi Concattedrale della Diocesi di Teggiano-Policastro.
Edificata per volere del re Normanno Roberto il Guiscardo, ha una facciata che presenta un rosone romanico, un’edicola marmorea con un bassorilievo e due leoni in pietra ai lati del portale. La chiesa è affiancata da un campanile costruito nella metà del XII° secolo. L’interno della chiesa, dotata di un’unica navata, ha un soffitto ligneo con al centro la raffigurazione dell’Assunzione di Maria ed un pregevole pavimento maiolicato. Il soffitto a cupola del presbiterio è affrescato con una scena del Paradiso. La cripta , invece, venne edificata su resti di epoca romana e presenta un soffitto sorretto da quattordici colonne di marmo e granito.
Dopo aver visitato anche il Museo Diocesano, ubicato nei locali adiacenti alla Concattedrale, l’itinerario continua nel vicino comune di San Giovanni a Piro, attraversando le antiche mura torrite a difesa di questo antichissimo borgo. La vista degli ulivi secolari, eterni guardiani della costa, rende il panorama ancora più piacevole. Dopo un breve tratto a ridosso della frazione di Scario, rinomata per le sue caratteristiche case in pietra e le spiagge incontaminate, tra cui spicca l’area marina protetta della Masseta, la strada comincia a salire verso il capoluogo.
Le curve si susseguono in continuazione, regalando al viaggiatore prospettive sempre diverse. Restando colpiti da un senso di stupore nell’ammirare il meraviglioso connubio tra mare, vallate, monti e borghi. Sicuramente anche i monaci italo-greci di rito bizantino ne subirono il fascino, eleggendo questo luogo, ai piedi del Monte Bulgheria, quale sede del Cenobio dedicato a San Giovanni Battista.
Qui trovarono aria salubre, terreni da coltivare e sorgenti in abbondanza per l’irrigazione, oltre che ad una naturale postazione di avvistamento per proteggersi dalle incursioni corsare che afflissero ripetutamente la costa. Essi furono sapienti non soltanto nel magistero religioso, quanto pure nell’insegnamento delle tecniche di coltivazione, nel corretto utilizzo dei suoli, razionalmente terrazzati, nell’irreggimentazione delle acque e nello sviluppo economico e sociale di questo territorio. Per questo motivo il popolo cilentano è da sempre debitore di questo immenso patrimonio di conoscenze.
San Giovanni a Piro rispecchia in pieno questa testimonianza, soprattutto nel pregevole lavoro di restauro del Cenobio, caduto nell’oblio ed usato infine come cimitero, prima della recente rinascita. Esempio da seguire per gli altri siti ubicati nel territorio del Parco del Cilento, non sempre valorizzati come meriterebbero, sia per l’assenza dello Stato, che per l’inconcludenza dell’iniziativa privata, inutilmente velleitaria.
Storia diversa quella di Bosco, un tempo comune autonomo. Assurto alle glorie risorgimentali per aver dato ospitalità ai congiurati dei moti del 1828, guidati dal Canonico Antonio De Luca, i quali osarono sfidare il regime borbonico. La pena fu terribile: oltre alle condanne a morte degli insorti, il paese fu raso al suolo dalle fiamme appiccate dalla gendarmeria, a cui seguì lo spargimento del sale, quale segno che qui non dovesse ricrescere alcunché. L’umiliazione peggiore fu per Bosco la perdita della dignità di comune, venendo degradato a frazione di San Giovanni a Piro.
Per uno strano intreccio della storia, dopo oltre un secolo, questo paese ospitò un esule spagnolo di nome José Ortega, perseguitato dalla dittatura franchista, rappresentante del realismo sociale della Guerra civile spagnola e membro del gruppo “Estampa popular”. Evidentemente stregato da tali luoghi, trovò qui linfa vitale per la sua vena artistica ed ispirazione per le battaglie di libertà contro i totalitarismi.
Lo stesso ebbe a dire:
“Sto bene con voi, perché qui ho trovato un’angoscia ed una miseria che sono quelle della mia gente. Perché i colori sono quelli della mia terra. Sono rimasto perché la pelle dei braccianti è scura e secca, come quella dei contadini spagnoli”. Finendo per viverci stabilmente, costruendo qui la sua dimora ed il laboratorio dove componeva le sue sculture, autentiche immagini di denuncia dello sfruttamento dei contadini e di rivendicazione della libertà, che poi lo avrebbero reso celebre nel mondo.
Oggi qui a Bosco, esistono i cosiddetti “luoghi di Ortega”: un museo, la sua casa e lo splendido murale dipinto su ceramiche donato dall’artista alla comunità locale, dove viene rievocato il massacro del 1828. La ricchezza del lascito di Ortega, mantenuto egregiamente dal Polo Museale di San Giovanni a Piro, guidato con passione dal Direttore Franco Maldonato, è motivo di orgoglio per questa comunità, regalando ai visitatori momenti di ragguardevole competenza, al pari dei musei di fama internazionale.
La storia ha saputo regolare i propri conti, rimettendo al centro i valori del progresso e della civiltà, che nessuna repressione può spegnere, restituendo agli abitanti quella dignità strappata barbaramente, grazie all’impegno di chi oggi opera nella cultura, riannodando quei fili spezzati, rimettendo insieme una trama che ha vissuto vicende alterne.
Gli ideali, i valori, gli insegnamenti non possono essere cancellati distruggendo i paesi e sterminando gli individui.
Prima o poi ci sarà sempre qualcuno che si incaricherà di riportare la luce, illuminando le menti, preservandone la memoria .
Quello che è successo proprio a Bosco, meta di un esule straniero, il quale ha contribuito al progresso dell’umanità, al pari dei coloni greci e dei monaci bizantini.
Un motivo in più per venire a visitare questo splendido angolo di terra cilentana, da sempre crocevia di civiltà”.