Era l’11 marzo 2011 quando in Giappone, dopo una scossa di terremoto di magnitudo 9, cui seguì un devastante tsunami, si consumò la catastrofe di Fukushima: nonostante la barriera di protezione, la centrale nucleare fu travolta dall’onda dello tsunami, e i reattori esplosero, provocando la dispersione di radiazioni e gas. Questa tragica serie di eventi causò la morte di più di 19 mila persone.
Il mondo, dopo la tragedia di Chernobyl del 1986, visse ancora una volta l’incubo degli incidenti nucleari.
La fiducia riposta dal Paese del Sol Levante nel settore nucleare ha origini nel Secondo dopoguerra: il formidabile progresso economico, realizzato dal Giappone tra il 1950 e il 1970, indusse il Paese a investire nella produzione di energia nucleare per ridurre le importazioni di fonti energetiche esterne.
Dal disastro di Fukushima tutti i reattori del Paese sono stati spenti. Da allora, però, alcuni sono stati riattivati, come quelli di proprietà della Tepco (Tokyo Electric Power), la più grande compagnia elettrica del Paese che gestisce proprio la centrale nucleare di Fukushima Daiichi. Sebbene la società sia stata a lungo sotto accusa per le gravi falle dimostrate nella gestione della sicurezza dell’impianto durante l’incidente del 2011, i suoi dirigenti sono stai assolti due anni fa dall’accusa di negligenza per non aver predisposto misure adeguate che avrebbero potuto impedire il disastro nucleare.
Il governo giapponese, guidato dal primo ministro Yoshihide Suga, ha recentemente deciso di realizzare un piano d’azione per riversare nell’Oceano Pacifico l’acqua radioattiva impiegata nell’impianto nucleare di Fukushima Daiichi, poiché la capacità di stoccaggio si sta esaurendo. L’annuncio ha suscitato l’opposizione dei pescatori locali e dei Paesi vicini, come Cina e Corea del Sud.
Tuttavia, il Capo Segretario di Gabinetto del Paese, Katsunobu Kato, ha dichiarato che il piano è sicuro e si adopererà per favorirne la comprensione in Giappone e all’estero. La decisione è stata dettata dalla necessità di smaltire più di 1 milione di tonnellate di acqua trattata che si è accumulata nello stabilimento di Fukushima. Nel corso di questi ultimi dieci anni, infatti, i reattori in rovina del suddetto impianto sono stati raffreddati dall’acqua che è diventata radioattiva. L’acqua, mescolata alla pioggia e alle acque sotterranee anch’esse contaminate, viene trattata con un complicato processo che rimuove la maggior parte dei materiali radioattivi, escluso il trizio, un isotopo difficile da separare dall’acqua, ma ritenuto poco rischioso per la salute quando il suo livello di concentrazione non è elevato.
Il progetto di scarico dell’acqua, che potrebbe durare diversi anni, sarà monitorato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) che offrirà il proprio supporto tecnico, con l’ausilio di esperti internazionali, nell’attuazione delle procedure di rilascio in mare dell’acqua triziata, evitando così al governo giapponese problemi di fiducia e di trasparenza sul piano internazionale.
Nel frattempo, se i cittadini di Fukushima e la federazione nazionale nipponica delle cooperative di pesca denunciano i rischi ambientali di questo piano, gran parte dell’opinione pubblica giapponese sembra tacere: sebbene il Paese abbia patito le conseguenze di disastri nucleari fin dalla Seconda guerra mondiale, i suoi abitanti rivelano un tale spirito di collaborazione, di sacrificio e di coesione nazionale, derivato in parte dagli insegnamenti dello scintoismo e dell’etica dei samurai, da mostrare piena fiducia nelle scelte governative, anche quando si tratta di piani che mettono in discussione il diritto alla salute e la tutela dell’ambiente.
Allora non c’è da stupirsi se alcune ONG impegnate nella difesa dei diritti umani e dell’ambiente hanno condannato la decisione del governo nipponico per i rischi ambientali che comporterebbe. Secondo Greenpeace, il governo giapponese avrebbe scelto la soluzione economica più conveniente rispetto alla prosecuzione dello stoccaggio dell’acqua radioattiva, creando l’impressione che si stiano compiendo notevoli progressi nello smantellamento dei reattori di Fukushima Daiichi.
Anche se le politiche per promuovere lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili sono prioritarie nelle agende di molti Paesi, il dibattito sul nucleare resta aperto: alcuni lo ritengono poco competitivo rispetto ad altre fonti di energia e problematico per lo smaltimento delle scorie, per la gestione della sicurezza degli impianti e per le sue implicazioni sul piano militare, altri invece lo giudicano indispensabile per soddisfare il fabbisogno energetico del Pianeta.
Nei prossimi anni nel mondo entreranno in funzione altri reattori nucleari: il Giappone continuerà ad attivare reattori o sceglierà di far a meno dell’energia nucleare, investendo in fonti di energia rinnovabile per garantire la sicurezza e la salute dei propri cittadini e dei Paesi limitrofi?
Ilaria Lembo