Diversi sono i modi di proclamare la verità; quella insegnata da Gesù è coraggiosa e amabile, non arrogante o pronta a far violenza divenendo di conseguenza dispotica. Non s’impone per decreto, ma è vita vissuta e a noi partecipata; perciò, i cristiani più sperimentano il vangelo nel quotidiano, più apprezzano la qualità della vita nei gesti dell’amare, dubitare, credere, osare incontrando così il respiro amorevole del Padre. Quindi é ancora determinante la domanda posta dai discepoli a Gesù che annunciava la sua partenza dopo aver consegnato il comando dell’amore come fondamento del suo insegnamento, non precetto astratto, ma coinvolgente prassi di vita. Egli tranquillizza esortando a vincere angoscia e ansia per il futuro e realizza la sua missione salvifica indicando la casa del Padre, meta dell’umanità redenta; qui ciascuno ha un posto da occupare in un contesto di rasserenante armonia perché, come ricorda Cristo, “Chi ha visto me, ha visto il Padre”.
E’ la ricerca che impegna Tommaso-Didimo, il quale ha bisogno di vedere per credere, pretende tangibili segni come siamo soliti anche noi sollecitare. E Gesù, paziente, spiega che è stata inaugurata una presenza, non legata alla sua persona fisica o a un particolare luogo, da riscontare nel vissuto delle singole esistenze. A Tommaso, che incalza chiedendo “come andare se non si conosce la via?”, Gesù indica la meta asserendo che passa attraverso di Lui. Così anche a noi perviene il conforto perché la sua assenza non è il vuoto di chi è scomparso, ma un modo diverso d’intessere relazioni reciproche, segno distintivo del Risorto e mezzo che lo rende presente nella comunione fraterna. Allora il Padre tornerà a prenderci per mano e guidarci nella sua casa, dove è pronto il necessario per celebrare una festa senza fine. Ecco perché Gesù è ancora la nostra pietra angolare.
Alcuni rimangono insoddisfatti perché la Scrittura non si riassume in precetti morali; dimenticano che la Parola è prima di tutto luce, rivelazione che genera liberante fiducia e la forza di percorrere la via per andare verso il Signore. Alla ricerca di un Signore dominatore, ragione di tutte le cose, molti filosofi, per sciogliere il mistero, hanno fatto riferimento al concetto di monade immersa nella solitudine della sua potenza infinita. Gesù, invece, nel parlare di Dio ricorre a termini familiari come affetto, Padre e Figlio che abbracciano e si abbracciano, Spirito come vita che riprende a respirare quando è accolta. Egli fa sempre riferimento a una relazione, a un legame di amore. Grazie alla sua rivelazione i cristiani credono che Dio è in sé relazione per cui dire Dio è dire Trinità e così si afferma che Egli è Amore. L’immagine di Dio, non nella solitudine dell’individuo, e l’umanità riconciliata, una pur nella diversità, sono lo spunto per riflettere sul mistero della Trinità, alla quale ci si rivolge in ogni azione che inizia col segno della croce, sua esplicita evocazione. E’ un mistero della fede che, come il sole, fa perdere la prospettiva se si pretende di fissarlo direttamente; invece, se si procede a una umile riflessione, aiutata dalla fede, illumina tutta la vita approfondendo l’idea di Dio. La Trinità indica una vita di amore plurale, comunitario. Quando con le parole si tenta di descriverlo il risultato è poco efficace rispetto a un mistero che rimane ineffabile. Ancora oggi l’intuizione di Agostino, che fa riferimento al Padre Amante, al Figlio Amato e allo Spirito Amore tra i due, si rivela il tentativo di spiegazione più adeguato, riassunto da san Bernardo con la poetica espressione del bacio circolare ed eterno. Esso ha trovato riscontro plastico e pittorico nella famosa Icona russa di Andrej Rublev, il monaco figlio spirituale di San Sergio.
Gesù s’impegna in un faticoso dialogo con Nicodemo, uomo di fede che però ha difficoltà a cogliere la portata del suo annuncio quando asserisce che amare non è un sentimento, un emozionarsi e intenerirsi, ma la disponibilità a dare e darsi con generosità, senza se e senza ma. Infatti, “Dio ha tanto amato da dare il suo Figlio”, affermazione per spiegare il motivo dell’Incarnazione e il fondamento della Salvezza. Per conoscere l’amore di Dio per il mondo è necessario coglierne l’epifania databile nella storia personale di Gesù, che duemila anni fa muore sulla croce “avendo amato fino alla fine”. L’ora della croce è l’ora di Gesù, la manifestazione della sua gloria perché è l’ora dell’innalzamento del Figlio, dono gratuito di sé, che l’umanità è chiamata ad accogliere con fede. Dio ha voluto diventare uomo per condividere la nostra esistenza, la lotta quotidiana, la sete di vita eterna. Così Gesù ha salvato il mondo dall’unico grande peccato: il disamore, scelta che spiega la croce e l’esperienza della Pasqua. La relazione espressa in questo modo è la legge costitutiva della vita che riflette lo scambio d’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: Amore dell’Io che si proietta nell’essere del Tu per costruire insieme il Noi Trinitario grazie allo Spirito Santo, che unisce l’Io del Padre e il Tu del Figlio. Dio ama non solo gli uomini, ma il mondo intero perché la vita fiorisca in tutte le sue forme. Allora, davanti alla Trinità, anche se ci sentiamo piccoli, siamo invitati a percepire il grande abbraccio nel vortice del vento carezzevole dell’Amore. E se Dio si riflette in Cristo, la Chiesa consente ai fedeli di divenire immagine di Dio perché membri del medesimo Corpo mistico. Perciò, l’amore costituisce la dinamica presente in ogni famiglia o comunità nel momento che realizza e si percepisce come un Noi. Allora diventa icona di Dio-Trinità e così raggiunge la sua perfezione nella globalità della famiglia umana.
Il nostro cuore è specchio e senso ultimo dell’universo nel legame di comunione; quindi essere salvati significa passare dalla morte alla vita definitiva, possibilità per chi accetta questo dono, rispetto al quale all’uomo rimane la libertà di scelta. Chi non lo accoglie si giudica da se stesso perché l’unica opzione possibile è entrare nella Vita oppure allontanarsi dalla sua sorgente. Quindi, la riflessione sulla Trinità non è un invito a speculare sul mistero, ma una opportunità corale per fare esperienza di Dio della sua plurale comunione. Se ogni singolo uomo esiste a immagine e somiglianza della Trinità, allora il racconto di Dio è anche narrazione dell’uomo, non un dogma che impone di credere una fredda dottrina, ma generosa esperienza della sapienza del vivere in quanto, come il Cuore di Dio, anche quello dell’uomo è relazione. Ecco perché la solitudine pesa e fa paura: è contro natura; mentre quando si ama e si condivide l’amicizia ci si sente beati.
Sono i presupposti basilari del processo di conoscenza di Gesù che fanno approdare nell’esperienza dell’Eucarestia, vero cibo per la Vita. Non è una possibilità offerta, ma un’autentica necessità, come la manna nel deserto per gli Ebrei. Se non si mangia si muore; capita la stessa cosa per la vita spirituale. E’ il motivo per il quale l’Eucarestia si pone al centro dell’itinerario verso il Regno illuminati dall’azione di Gesù, che è passato per il mondo facendo del bene e annunciando la sua buona novella: Dio è amore e viene a stabilirsi in mezzo a noi. Il sacramento dell’Eucarestia consente di appropriarsi, qui e ora, di tutto ciò che Cristo è stato, è e sarà fin quando la Chiesa avrà compiuto la missione di salvezza partecipando a tutti la redenzione.
Nel capitolo sesto del vangelo di Giovanni si fa riferimento al mangiare e al bere, azioni centrali nella Bibbia; infatti, in Genesi proprio mangiare il frutto “dell’albero della vita” mette in moto una vicenda che si conclude con l’esaltazione dell’acqua viva nell’Apocalisse. Tra questi due estremi si sviluppa la storia della tentazione, del peccato, dell’espiazione e della salvezza descritta in termini di nutrimento e di dono. Mangiare e bere esprimono i bisogni primordiali e richiamano la comunione della famiglia umana, vero substrato del sacramento per risolvere il rapporto traumatico tra violenza e comunione. L’Eucarestia è la riconciliazione con l’Agnello di Dio, il quale in questo modo toglie il peccato del mondo, sacramento che consente all’umanità, piegata e piagata dal peccato, l’approdo alla vita beata, ingresso comune nel Regno dove l’universo è riconciliato.
L’esperienza della propria condizione nel deserto della vita diventa un convincente appello per attualizzare la salvezza e, di conseguenza, prestare fede all’affermazione di Gesù: “Io sono il pane vivo”, realtà santa che fa vivere realizzando la prima legge del Signore, vale a dire che l’uomo viva. L’Eucaristia è pane vitale per chi riesce a sentirne l’energia, per quanti percepiscono l’innesto nel seme del Bene e gli effetti del lievito che fa sperimentare nel cuore umano le radici del coraggio di Cristo e vivere come Lui curando gli altri, il creato e se stessi. Così si realizza un legame d’intimità, che nutre una fede fatta di abbagliante semplicità.