Il ferro è annoverato tra quelli che definiamo macroelementi, ossia quei minerali che nell’organismo sono presenti in quantità più elevate e con ruoli di spicco. Il ferro è infatti una componente fondamentale dell’emoglobina, la proteina deputata al trasporto dell’ossigeno nel sangue dai polmoni ai tessuti. La maggior parte del ferro è quindi contenuta nelle cellule del sangue, dove è essenziale per la sintesi e il funzionamento dei globuli rossi. Se per qualche ragione l’organismo non ne assume la giusta quantità, il corpo va in carenza di ferro, non sono quindi disponibili scorte a sufficienza per sopperire alle esigenze dell’organismo, con lo sviluppo di una condizione, l’anemia sideropenica, quando la carenza di ferro si protrae nel tempo e le riserve insufficienti di ferro rallentano il processo di produzione di globuli rossi sani, con il manifestarsi di affaticamento, pallore, mal di testa e accelerazione del battito cardiaco. Per evitare la carenza una corretta alimentazione è fondamentale, ma il contenuto medio di ferro nei vari alimenti può trarre in inganno, perché in alcuni casi ad essere assorbita è solo una frazione più o meno significativa. Nel consumo degli alimenti ad incidere non è tanto la quantità di minerale presente, quanto la sua biodisponibilità, ossia la frazione che il nostro organismo effettivamente utilizza, e che dipende dall’origine: nei prodotti di origine animale, come la carne, troviamo il ferro (definito ferro eme) che è facilmente assorbito, mentre in alimenti di origine vegetale è presente la sua forme non-eme, che viene assorbito meno; in questi casi è possibile ricorrere a qualche strategia alimentare e associazione, come la vitamina C che ritroviamo negli agrumi o il betacarotene, che migliorano sensibilmente l’assorbimento del ferro. Se la dieta non basta, è necessario utilizzare integratori o farmaci per supplementare il ferro in un trattamento della durata di alcuni mesi per raggiungere la quantità ottimale di ferro immagazzinato, e prevenire ricadute.