In corrispondenza con l’inizio della “Quaresima” iniziò un periodo molto complesso della mia vita familiare: morì mia madre Giuseppina, che raggiunse suo marito Giuseppe già nel tempo senza tempo della non vita, e si ammalò una persona a me cara: mio “fratello” e “compagno” di viaggio nel cammino della mia esistenza su questa terra: Gennaro Gorrasi.
La consolazione per la scomparsa di mia madre la trovai nel fatto che se ne era andata nel modo in cui aveva sperato: senza accorgersene. La sua morte giunse a seguito di un lungo periodo di piccoli incidenti che avevano fiaccato nel profondo la sua voglia di vivere. Un improvviso collasso generalizzato in 24 ore le chiuse le porte della vita.
Relativamente al secondo caso, quello che ha riguardato Gennaro, mio cognato in quanto abbiamo sposato due sorelle, Gina e Antonella, la vicenda ha avuto un epilogo diverso ma il calvario è stato altrettanto complesso.
Di ritorno da una visita a sua figlia Rosamaria, che risiede a Cesena con sua marito Romeo e i loro due figli Riccardo e Rebecca, si rese conto di poter essere stato contagiato dal Corona Virus 19. Si sottopose al tampone che confermò il sospetto. Immediatamente fu segnalata la situazione all’Asl che provvide ad avviare la profilassi domiciliare perché la situazione apparve relativamente sotto controllo.
Subito si mobilitò la solidarietà familiare, l’interessamento di amici e di quanti potevano essere utili perché competenti del caso.
La rete “amicale” composta di persone che conoscevano da una vita Gennaro sia come ingegnere che come docente presso l’istituto tecnico a Roccadaspide entrò in fibrillazione ed ha seguito l’intero evolversi della crisi. A cominciare dai dottori Sergio Civita, Giuseppe De Matteis, Daniela Comunale e Cosimo D’Angelo che hanno assistito Gennaro nella prima fase della malattia.
Infatti, Antonella e Gennaro entrarono in “isolamento” fiduciario e i sanitari provvedevano ad assicurare un controllo stretto dell’evolversi della patologia che, purtroppo andava complicandosi di giorno in giorno, fino al punto che si rese necessario il ricovero presso l’ospedale San Luca di Vallo della Lucania e, dopo pochi giorno, il trasferimento a quello di Agropoli dotato di terapia sub intensiva.
Tutti questi passaggi furono solo il prologo di quanto Gennaro avrebbe ancora dovuto cedere al male oscuro della piaga “pestifera” che lo avrebbe trascinato ancora più lontano dai suoi cari e, forse, anche dalla consapevolezza del sé.
I resoconti che il “bollettino” quotidiano che Antonella faceva a tutti noi diventavano sempre più allarmanti provocando reazioni che, mentre da un lato tentavano di rassicurare, nel nostro intimo creavano sconforto profondo.
Il lavoro dei medici, l’attenzione degli infermieri e del personale Oss che si dedicano ai pazienti ogni giorno con amore e professionalità è stato ed è ammirevole.
Le notizie che filtravano tramite Carlotta, Martina (le figlie residenti in zona) e Antonella (la mglie) cominciavano a non bastare per tranquillizzare la platea di quanti conoscono Gennaro da una vita. C’era un continuo tentativo di raggiungere chi, stando vicino all’ammalato (medici, infermieri, portantini …), poteva dare informazioni di prima mano sulle condizioni del paziente.
Durante la fase acuta della degenza era Carlotta che teneva i rapporti diretti con la dottoressa responsabile del Covid Hospital di Agropoli, Rosa Lampasona.
È stata lei che non ha fatto mai mancare parole chiare in relazione alle effettive condizioni di salute di Gennaro e, contestualmente, dimostrare determinazione nel rassicurare i familiari che l’intera equipe sanitaria non avrebbe lasciato nulla di intentato per restituire loro la persona cara.
I progressi “millimetrici” che venivano comunicati con molta circospezione erano utilissimi a tenere viva flebile fiammella della speranza che si andava consolidando sia pur con estenuante lentezza.
Quando si è materializzata la prima video chiamata con la quale Antonella ha potuto vedere inquadrato Gennaro è stato il momento di svolta, se pur non tanto dal punto di vista medico, ma certamente dal punto di vista psicologico per tutti noi che eravamo in attesa di un segnale inequivocabile che era stata imboccata la strada giusta per andare oltre il frammento di vita vissuta alla quale Gennaro era aggrappato.
Certo, vederlo ridotto di peso e disteso in un lettino con tubi collegati alle bombole di ossigeno non è stato un bel vedere! Ma chi era stato all’oscuro di parole dirette e di immagini per settimane, il solo fatto di vedere una foto con un accenno di sorriso ha rinvigorito la determinazione a tenere duro e a non farsi sopraffare dal pessimismo.
Da quel momento, gradualmente, ma con continuità anche la famiglia ha cominciato a contare i giorni che separavano Gennaro dal momento dell’uscita dall’ospedale. L’obiettivo dei medici e la speranza inconfessata di Antonella, Carlotta, Martina e Rosamaria era quello di poter riabbracciare Gennaro a Casa prima di Pasqua.
Dopo due tamponi che registravano ancora la positività del paziente si cominciava a temere che il ricovero si sarebbe protratto oltre la Santa Pasqua. Ma il martedì che precede la festività arriva la notizia della negatività di Gennaro al CoVid19. Ancora due giorni di attesa per rifare il tampone di conferma e poi la “cella” ospedaliera di dell’ospedale di Agropoli di apre per consentire a Gennaro di rientrare nella vita di tutti noi.
Il sindaco Gabriele Iuliano di Roccadaspide, e il vicesindaco Girolamo Auricchio sono stati vicini alla famiglia dimostrando vicinanza al loro concittadino e alla sua famiglia smuovendo “mari e monti” per far sentire la vicinanza dell’intera comunità rocchese.
Ritrovarsi a casa circondato dagli affetti più cari, oltre ad essere stata una Pasqua di resurrezione spirituale per Gennaro è diventata anche di rinascita alla quotidianità vissuta nella sua casa di Serra di Roccadaspide dalla quale era uscito, sia pur sulle sue gambe, diretto verso un futuro del quale non poteva immaginare quanto sarebbe stato inconsapevole.
Vale la pena ricordare quando ascoltiamo per televisione, leggiamo sui giornali, scrutiamo sui social … gli aridi numeri relativi ai positivi, sintomatici e non, ricoverati e non, ossigenati nelle terapie sub-intensive o intubati in quelle intensive … morti! Dobbiamo sempre far conto che, durante quegli interminabili giorni di attesa, ci sono decine e decine di persone che si interrogano sul futuro dei loro cari; medici e infermieri che combattono giorno e notte per strappare quanti più malati possibili alle grinfie del virus; che tutti noi con un po’ di buona volontà potremmo ridurre di molto i numeri dei contagiati rispettando semplici ed elementari regole: portare la mascherina, stare distanziati ed evitare di pretendere di poter vivere come se niente fosse accaduto da più di un anno a questa parte.
Bartolo Scandizzo