C’era una volta un paese della terra nel quale vivevano solo persone complete. Non maschi e femmine ma persone complete. Queste, non avendo molto da fare, impegnavano il loro tempo in guerre e combattimenti continui. Giove, stanco di questa situazione, decise di punirle. Scese sulla terra e con una spada divise il maschile dal femminile. L’operazione non riuscì perfettamente perché parte del maschile restò nel femminile e viceversa cosicché gli uomini cominciarono ad avere una nuova occupazione: quella di ricercare la propria metà. Giove per aiutarli in questo compito inviò sulla terra Eros che ancora oggi continua a svolgere il suo compito.
“E se avesse ragione Euripide quando dice: chi può sapere se il vivere non sia morire e il morire non sia vivere? Forse la nostra vita è in realtà una morte. Del resto ho già sentito dire che noi ora siamo morti e che il corpo per noi è una tomba. (PLATONE GORGIA)
Sia il mito riportato sopra, sia le parole di Platone enunciano in forma poetica il primo, in forma filosofica il secondo la stessa verità: tra vita e morte non esiste frattura ma continuità.
Con le sue parole paradossali Platone spiazza il greco del IV secolo, infrange la visione olistica che il mythos offriva della vita e inaugura uno schema culturale bipolare che andrà conquistando per intero la civiltà dell’occidente.
In realtà la proposizione di Euripide afferma un principio molto semplice: non esiste una linea di demarcazione che divide una realtà dall’altra, il giorno dalla notte, la vita dalla morte. Contro l’illusione dei vivi di considerarsi vivi, ad esclusione dei morti; contro l’illusione dei vivi di fare della vita un valore unico separandola dalla morte è necessario ristabilire l’intima connessione tra la vita e la morte. Due poli, la vita e la morte, di una stessa realtà devono essere ricomposti in una visione globale senza creare accumulo di valore solo da un lato perché la vita è significante solo nel momento in cui si riunisce con la sua controparte la morte.
Mi spiego con un esempio: una banconota da 100 Euro strappata in due non ha alcun valore; né i due pezzi singolarmente valgono qualcosa; la banconota ha valore solo nel momento in cui le due parti vengono riunite.
E allora è forse giunto il momento in cui la psicologia cominci a pensarsi contro se stessa, non più come discorso sulla psiche (ossia su quella unità ideale del soggetto che la lingua greca ha promosso con il termine psichè,) ma come discorso sulla persona concepita come profonda unità di corpo-mente-spirito.
Un discorso incentrato solo sulla psiche sottrae all’uomo la ricchezza delle sue espressioni corporee per collocare la sua identità solo nel mondo ideale ed impalpabile della psiche o, come farà in seguito il cristianesimo, in una identità ancora più astratta come è l’anima.
È su questa logica di opposizione, corpo-spirito, che si è sviluppato tutto il pensiero occidentale e tutta la concezione del corpo visto come prigione dell’anima.
Nella cultura antica il pensiero umano vede le cose in modo unitario e in tale contesto il corpo umano non è visto come qualcosa di diverso, ma continuamente presente e costantemente integrato non solo con la sua psiche ma con l’universo. Omero con la parola soma indica solo il corpo senza vita, il cadavere, la salma, mai il corpo vivente che agisce, parla, si emoziona. Al contrario di Platone, Omero può mantenere la differenza tra un corpo e un cadavere perché non concepisce un’anima quasi al di sopra de corpo, ma sempre un corpo vivente.
Nel pensiero antico il corpo ha valore perché parte integrante di una unità in cui tutto ha valore solo se armonicamente inserito nell’unità stessa; la mancanza di uno solo degli elementi che compongono l’unità, fa perdere il valore a tutta l’unità.
A tale proposito molto calzante può apparire l’esempio di uno splendido vaso etrusco finemente lavorato: è un vaso sul quale sono incise scene di guerrieri con rispettivi schiavi; il collo del vaso è decorato con disegni geometrici, mentre il piede è tutto nero con piccole strisce bianche. Fin quando il vaso è integro tutto il vaso ha valore globalmente. Nel momento in cui si rompe, il valore si distribuisce in modo diverso: i cocci con figure di guerriero avranno un valore notevole; i cocci con disegni geometrici varranno un tantino di meno; mentre i cocci di sola terracotta non avranno valore. In questo caso tutto il valore si è depositato su un solo pezzo a scapito di altri. Nell’ unità invece tutto ha valore.
Quando l’unità si rompe, l’universo si spezza tra cielo e terra, tra spirito e materia, tra anima e corpo. Il nostro tentativo dovrà essere quello di ricomporre l’unità. Di riunire insieme, sun-ballomai, di riunificare l’anima al corpo.
La tradizione giudaica ignora la divisione di anima e di corpo al punto di non disporre neppure dei vocaboli necessari per indicare quello che la cultura greca prima e quella latina poi chiameranno psiche/anima.
Due libri tra i più importanti della Bibbia, cominciano con le stesse parole, “En arche”, nel Principio: sono il libro della Genesi e il vangelo di Giovanni.
Nel Principio, prima del tempo, prima del mondo, l’unità è ancora intatta e integra. Nel Principio c’è unità tra Dio e l’uomo e dell’uomo con sé stesso. Quando Dio crea l’uomo, non c’è distanza, non c’è separazione tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e la natura. L’uomo tranquillamente parla (scambio) con Dio e riconosce gli animali della terra.
L’unità viene infranta dall’uomo che tende di porsi come metro di tutte le cose annullando l’altra sua polarità, Dio. Il suo “peccato originale” è stato quello di infrangere l’unità nel tentativo di avocare a sé ogni valore (conoscenza del bene e del male). L’uomo sceglie e vuole porsi come valore universale.
Per ricomporre l’unità, per ristabilire la circolazione di energie, Dio invia il suo Logos, il Cristo, che morendo e scendendo negli inferi e poi salendo al cielo la ricompone, ossia riunisce la vita con la morte, il Cielo con la Terra, lo Spirito con la Materia, l’Anima con il Corpo.
Ma è solo un attimo. Un attimo mitico. La religione cristiana recuperando la cultura filosofica, si attesterà sull’anima e riproporrà in termini cristiani, il dualismo platonico di corpo e anima.
La cultura occidentale priva il corpo del suo mondo e di tutti quei significati che si fondano sul vissuto corporeo, per ridurlo a, oggetto fra gli oggetti. L’anima a sua volta, è concepita come pura astrazione.
La scienza si pronunzia, prende le mosse non dal corpo ma da un cadavere. E quando un medico deve intervenire nel corpo lo fa “cadaverizzandolo”, riducendolo a CADAVERE. Nel nostro vivere quotidiano tutto ha valore solo in riferimento al corpo. La cultura di massa esalta il corpo nella sua forma più perfetta; gli ha costruito chiese, templi, santuari, basiliche, cattedrali all’interno delle quali il corpo può celebrare solennemente la sua liturgia, svolgere i suoi rituali. Ci spieghiamo perché allora nel volgere di pochi anni abbiamo visto sorgere palestre, istituti di bellezza, riviste, trasmissioni che esaltano e amplificano la bellezza del corpo, offerto non più per uno scambio simbolico ma solo come momento statico di EGOISMO.
ESALTAZIONE dell’ANIMA contro il CORPO o ESALTAZIONE del CORPO contro l’ANIMA: è la dissociazione sulla quale si è sviluppata tutta la cultura occidentale.
Dicevo all’inizio che forse è giusto il momento in cui la psicologia deve cominciare a pensarsi contro sé stessa.
Ma pensare contro non significa pensare all’opposto. Pensare contro significa pensare fino in fondo. Significa andare alle radici e alle radici troviamo una unità profonda che considera l’uomo globalmente: CORPO-MENTE-SPIRITO
Quelli della mia generazione ricordano cosa ci facevano ripetere al catechismo preparandoci alla prima comunione: l’uomo è un essere razionale composto di anima e di corpo. È quel “composto che dobbiamo eliminare dalla nostra cultura razionale.
L’uomo non è un agglomerato di cose, non è un composto ma è una sintesi all’interno della quale ognuno degli elementi trova significato e diventa significante solo in relazione all’altro.
Questa è la sfida del corpo. Di un corpo che non si vuole imporre come valore universale, ma che vuole solo ricomporre l’unità della persona.
Non sono certo le reazioni chimiche del nostro cervello a produrre i nostri sentimenti, le nostre emozioni. È però attraverso il corpo e insieme al corpo che lo spirito si esprime. È sempre con il corpo che la nostra psiche soffre. Non può esistere, a livello di persona, un corpo senza psiche e spirito; come non può esistere una psiche e uno spirito senza corpo.
Non più corpo tomba. Non più corpo tempio. Ma corpo come luogo di incontro, SIMBOLO (dal greco sun-ballomai, unire insieme) di tutte le nostre energie: di quelle biologiche, di quelle psichiche, di quelle spirituali.
Prof. Dott. Carlo Ambrosano
Psicologo-Psicoterapeuta