In queste settimane di emergenza sanitaria, le attività professionali di consulenza per le imprese sono state totalmente travolte da circostanze impreviste e straordinarie, come d’altronde tutto il mondo produttivo privato della nostra Nazione.
E’ stato chiaro sin da subito che, insieme all’emergenza sanitaria, sarebbe esplosa una dirompente emergenza finanziaria ed economica, che avrebbe colpito il nostro tessuto imprenditoriale composto prevalentemente di piccole e microimprese, le quali si sono trovate in un batter d’occhio con la saracinesca abbassata e con tutto il peso degli impegni presi sulle spalle, senza poter fare nulla per fronteggiarli.
I commercialisti sono stati quasi sempre gli unici, per necessità e per virtù, a dare ascolto alle imprese clienti, a volte anche solo per un momento di confronto, o meglio ancora di conforto reciproco.
Il governo nazionale – alle prese con uno STATO infinitamente indebitato dovuto all’allegra gestione dei soldi pubblici, iniziata con il dopoguerra, fin troppo assistenzialistica e senza alcuna seria strategia di politica industriale – sta tentando con piccoli sussulti di dare un po’ di ossigeno alle finanze di tutti.
Assistiamo all’emanazione di decreti su decreti, tra l’altro arrivati tardi e ancora non convertiti in legge da un Parlamento inadeguato e sempre più distratto, con conseguenti circolari, comunicati stampa ed una miriade di interpretazioni. In questo quadro di grave incertezza, che si va a sovrapporre ad un contesto normativo tributario e societario già di per sé complesso e dispersivo, l’operato dei commercialisti diventa sempre più incerto ed indefinito.
Lo STATO oggi ha le accattivanti sembianze amicali, ben sapendo che tra pochi mesi tornerà ad essere ancora più aggressivo ed “affamato” nel disperato tentativo di recuperare TASSE a destra e a manca. Al contrario il mondo delle partite iva è alla ricerca di certezze e di fiducia in se stessi, per poter ritornare a lavorare e produrre con serenità e profitto. A fronte di tutto ciò, ci stiamo imbattendo nella promessa di una marea di micro-contributi a pioggia, nell’erogazione della Cassa Integrazione a tutti che però tarda ad arrivare, e infine nell’illusoria idea della liquidità presa a DEBITO in maniera sprint e senza oneri. In questo scenario le banche, anch’esse imprese, sempre più impegnate a districarsi con adempimenti burocratici costosi e improduttivi, dovendo tra l’altro ancora smaltire i fallimenti compiuti da una sparuta minoranza di banchieri/faccendieri senza scrupoli, dovranno nelle prossime settimane fronteggiare flotte di imprenditori che hanno necessariamente bisogno di liquidità per sopravvivere, confidando in uno STATO garante ma che chiaramente non ha soldi, e che invece si indebita ulteriormente elemosinando solidarietà in Europa da parte di Governi evidentemente più autorevoli e competenti.
E noi commercialisti ci troviamo a dover rincorrere le banche, le loro procedure ed i necessari tempi di istruttoria, tentando di affiancare gli imprenditori alla ricerca del miraggio della liquidità bancaria selfservice, ben consapevoli che non è così e non potrebbe essere così.
Ahimè, il messaggio che è passato con gli svariati Decreti legge è stato quello di poter ottenere “tutto e subito”. Con il passare dei giorni ci si sta rendendo conto che così non è. Se questo in parte è stato possibile con la moratoria che ha visto la sospensione delle rate di mutuo per chi l’ha richiesta, per l’accesso alla nuova finanza sarà assai più complicato, con la conseguenza che il denaro, se pur arriva, rischia di essere tardivo e intempestivo rispetto al reale bisogno delle imprese. Queste ultime, poche escluse, impegnate principalmente alla ricerca affannosa nel recuperare liquidità ancor prima che reddittività, rischiano in tal modo evidenti riflessi negativi sui loro conti economici. La continuità delle nostre aziende, soprattutto nel settore manifatturiero e turistico, è evidentemente compromessa; sarà solo la buona volontà e il senso di responsabilità dell’imprenditore a dover porre rimedio a tale criticità, non potendo contare su altri; gli imprenditori ne sono ben consapevoli ed i consulenti altrettanto.
Spostare in avanti le scadenze fiscali e previdenziali, senza un effettivo e sostanziale abbattimento delle TASSE (Iva, Irpef, Ires, Addizionali, Irap, Tari, Tasi, Imu, Inps, Inail, Cciaa), avrà davvero degli effetti positivi sul bilancio delle imprese, o servirà solo ad ampliare, ancora una volta, la distanza tra l’economia reale e la visione del Governo, incapace di cogliere i veri problemi delle imprese? Sappiamo bene che senza i TRIBUTI nessuna Nazione reggerebbe a lungo; ma in particolare la nostra Italia, caratterizzata da abbondanza di Statali e da penuria di Statisti.
La pandemia da Covid-19 avrà l’effetto di uno tsunami sull’economia mondiale, il Fondo monetario Internazionale ha ipotizzato una contrazione del PIL del 3%. Una tempesta senza precedenti, la prima crisi realmente globale, e che si abbatte in modo indiscriminato su paesi ricchi e poveri. Tale bilancio sarà ancora più grave in Europa (7,5%) e in Italia (9,1%). Bisogna pensare al “dopo”, a cosa fare e come farlo, per salvare le piccole e medie imprese e rilanciare le economie locali dalle quali dipende quella nazionale.
Il protrarsi e l’ampliamento della emergenza sanitaria hanno messo in ginocchio il tessuto economico del Paese e, con esso, lavoratori dipendenti e professionisti; per questo motivo sono necessari interventi di integrazione al reddito facili, diffusi e di rapidissima assegnazione, diversi per criteri e tempistiche, da quelli evidentemente utilizzati nei periodi di ordinaria amministrazione.
Ci saremmo voluti illudere che questa drammatica esperienza avesse reso finalmente virtuoso e leale, nella nostra Nazione, il rapporto cittadino/imprese/banche/istituzioni pubbliche, ma inizio a dubitare che questa illusione resterà ancora tale per i prossimi decenni.
Maurizio Caronna