Nel fervente anno del 1848, l’Europa era scossa da una tempesta di cambiamenti politici e sociali.
Le voci di ribellione si alzavano contro i regimi assolutisti, e l’Italia, in particolare il Cilento, non rimase immune a questo spirito di rinnovamento.
Quella che è conosciuta come la “primavera dei popoli” si manifestò come un’ondata di rivoluzioni che attraversarono il continente, facendo eco ai moti precedenti del 1820 e del 1830.
Il desiderio di libertà e giustizia si fece strada tra le comunità oppresse, portando alla ribellione contro un governo che aveva perpetuato l’ingiustizia e l’oppressione.
Dal 1828, nei territori del Cilento, degli Alburni e del Vallo di Diano, si era alimentato un crescente risentimento nei confronti delle autorità, specialmente verso quelle che perseguitavano non solo i colpevoli, ma anche le loro famiglie.
Era un’epoca in cui l’arbitrio era la norma: arresti e condanne avvenivano senza processo, creando un clima di paura e sfiducia.
In questo contesto di tensione, Roscigno Vecchia emerse come uno dei luoghi del malcontento.
Le sue strade, nei primi giorni del 1848, diventarono il palcoscenico di eventi che avrebbero segnato la storia delle zone interne di questa parte del Cilento.
La gente di Roscigno, animata da un fervente patriottismo, si unì alla lotta per liberarsi dalle catene del dominio borbonico.
Il 17 gennaio, la rivolta ebbe inizio in diverse località del Cilento, tra cui Torchiara, Castellabate e Pollica.
Le grida di libertà risuonavano nelle piazze mentre i rivoltosi assaltavano caserme e carceri, liberando prigionieri politici e affermando la loro determinazione.
Il movimento si diffuse rapidamente, destando l’interesse di altri territori italiani.
A Sapri, la popolazione si sollevò contro le ingiustizie del regime, chiedendo riforme sociali e una maggiore giustizia fiscale.
Similmente, a Camerota, i cittadini scesero in piazza per manifestare contro l’oppressione dei signorotti locali e le pesanti tasse imposte dal governo borbonico.
Le manifestazioni si diffusero rapidamente in altre comunità, come Vallo della Lucania e Ascea, dove i rivoltosi si unirono per formare una rete di sostegno reciproco e resistenza.
A Pollica, in particolare, si formarono gruppi di patrioti che si organizzavano per affrontare le autorità locali, dando vita a una serie di scontri con le forze governative.
Le azioni di questi gruppi erano spesso coordinate, creando una sorta di confederazione di comuni che si opponevano al potere borbonico, rafforzando l’idea che la lotta per la libertà non fosse solo locale, ma parte di un movimento nazionale.
A capo di questo fermento vi era Giovanni Leipnecher, un leader nato a Siracusa, il cui primo obiettivo era quello di conquistare Vallo della Lucania e formare un governo provvisorio.
Le sue truppe si divisero e si mossero verso le zone degli Alburni e del Vallo di Diano, cercando di espandere la rivolta.
La colonna dei rivoltosi, guidata dal Vinciprova, continuò la sua marcia attraverso vari comuni, suscitando entusiasmo tra la popolazione, soprattutto a Laurino, dove venne accolta con grande fervore.
La determinazione dei rivoltosi culminò con l’occupazione di Roscigno, dove distrussero simboli del potere monarchico e bruciarono l’archivio, in un atto simbolico contro l’oppressione.
Il 20 gennaio, le forze si divisero nuovamente, con l’intenzione di proseguire verso Roccadaspide e altri comuni.
L’obiettivo finale era quello di unire le forze con altre colonne provenienti dalla Basilicata e raggiungere Salerno.
La rivolta del 1848 non si limitò al Cilento, agli Alburni ed al Vallo di Diano; essa si inscrisse in un contesto più ampio di insurrezioni che, nel Regno delle Due Sicilie, portò alla proclamazione di una Costituzione, redatta da Francesco Paolo Bozzelli.
Tuttavia, la gioia per questa conquista fu di breve durata: già nel 1849, il regime borbonico tornò a ripristinare l’assolutismo, soffocando nel sangue i sogni di libertà dei rivoltosi.
Anche se non raggiunse il successo desiderato, la rivolta del 1848 nel Cilento costituì un importante capitolo nella storia dei nostri territori, gettando le basi per futuri movimenti antiborbonici che avrebbero contribuito all’unificazione della nazione.
Le memorie di quegli eventi tumultuosi continuano a vivere nella storia e nel cuore delle comunità, ricordando a tutti noi l’importanza della libertà e della giustizia.