Quel vasto territorio di 1.562 km² della Diocesi di Vallo della Lucania, che abbraccia gran parte del Cilento e una zona non ristretta del Vallo di Diano, comprende un patrimonio di beni culturali mobili stimabile intorno alle undicimila unità, un patrimonio conservato in chiese, opere religiose, museo diocesano. Un bene culturale diffuso, spesso oggetto di attenzione da parte di ladri e di ignobili mercanti d’arte. Un patrimonio, quindi, che va tutelato, perché ogni furto non depaupera solo il patrimonio artistico nazionale e locale, ma anche le popolazioni che si vedono sottrarre un bene, se mai oggetto di culto, voluto dagli antenati a testimonianza di una fede, una cultura, una civiltà di questo territorio riconosciuto dall’Unesco, e a giusta ragione, Patrimonio dell’Umanità.
Per fortuna in Italia abbiamo uno specializzato nucleo dell’Arma dei Carabinieri a tutela e recupero delle opere d’arte rubate, anche se non sempre gli sforzi di indagini ottengono buoni risultati. Basti pensare all’area archeologica di Paestum, dove nel passato profanatori senza scrupoli hanno fatto scempio delle ultime dimore di quegli uomini che avevano costruito città definite, non a caso, Magna Grecia. Si pensi a W. Goethe, un po’ simbolo di tutti quei giovani della colta e ricca borghesia mitteleuropea che venivano nel Regno di Napoli per un contatto diretto con la classicità: Paestum, Velia, Pompei, Ercolano. Orbene Goethe visitò Paestum e poi proseguì per la Grecia. Ma di fronte ai resti dell’Acropoli fece ritorno immediato in Italia, sottolineando che qui era la vera storia della Grecia classica.
Forse sono state queste considerazioni o, ancor più, l’amore per il proprio territorio e una consapevolezza, derivante dagli studi universitari e da una operatività sul campo, del patrimonio d’arte di questa parte meridionale della provincia di Salerno, a spingere Stefania Cola (laurea in lettere classiche con indirizzo archeologico) a impegnarsi nella pubblicazione del volume “Cilento: infrastrutture e Beni Culturali”; un vademecum alla scoperta dei tesori di questo territorio dove, da sempre, ha abitato la storia, la filosofia e la bellezza paesaggistica.
Scrive l’autrice in introduzione: «Lontano dal voler essere uno strumento definitivo, questa ricognizione dei beni culturali è solo un primo passo verso successivi e più puntuali approfondimenti da compiere in regime di sinergia tra tutti gli enti locali del territorio interessato». Un lavoro raccolto in oltre 170 pagine, con ricco corredo fotografico, che «mette in risalto l’eccezionale patrimonio storico, artistico, urbanistico, architettonico, in definitiva culturale in rapporto alla sua collocazione geografica e ambientale, e contestualizzato in quel più ampio patrimonio immateriale rappresentato dalle popolazioni locali».
Con rigoroso ordine alfabetico, Stefania Cola passa in rassegna i paesi della Diocesi di Vallo della Lucania, cosciente di operare non solo una catalogazione di beni mobili e immobili, ma anche di porre all’attenzione dei lettori e di quanti avranno modo di avere questo volume quella memoria collettiva che individua, soprattutto in tanti beni minori, anche un determinato momento storico delle popolazioni locali e delle loro evoluzioni. Decisamente il pubblico lavatoio e la fontana pubblica sono opere di un’arte minore, ma importanti, perché raccontano di un diverso modo di socializzare delle comunità, raccontano di privazioni (mancanza di acqua nelle case), narrano le evoluzioni di un paese, di una comunità. E per questo vanno tutelate, al pari delle tele a firme di artisti cilentani e nazionali presenti nelle chiese. E un po’ il “come eravamo” presente in ogni paese, in ogni comunità e per questo non vanno abbandonati all’empietà del tempo e degli uomini.
Nello scorrere le pagine di questa “guida” (in quanto potrebbe essere un valido supporto turistico per i Comuni) si scopre che la maggior parte dei beni rappresentati per ogni singolo paese, di cui viene raccontata la storia in poche, essenziali battute, è di carattere religioso: chiese, tele, affreschi, organi, pulpiti, cori lignei, cassettonati dipinti (ve ne sono alcuni davvero splendidi). E questo è simbolo di una religiosità del popolo cilentano, di un rapporto della gente con il sacro: in definitiva è l’identità sociale, storica, religiosa di una popolazione ove le ore e i giorni, a volte duri come potevano essere quelli di una civiltà contadina, venivano scanditi dai rintocchi dei campanili.
Che il Cilento sia un territorio ricco di beni culturali, ambientali, storici ed enogastronomici è un dato ormai acquisito. Una ricchezza per cui l’autrice auspica un’ampia fruizione non solo in termini locali, ma anche turistici. Un ritorno al Grande Tour non è certamente un’idea peregrina. C’è bisogno però, di una condizione essenziale: eliminare le criticità infrastrutturali, laddove per infrastrutture non si intende soltanto il collegamento materiale (vie, ferrovie, autostrade, porti, aeroporti), ma anche quella rete immateriale di comunicazioni che possono divulgare nel mondo un patrimonio di tesori d’arte e di paesaggi di notevole interesse. Due aspetti questi interconnessi: le infrastrutture virtuali possono informare, ma quelle materiali sono necessarie perché poi il fruitore possa raggiungere il luogo del suo Grande Tour.
Un lavoro articolato, il volume di Stefania Cola, che oltre a descrivere le varie località, mette in evidenza le opere importanti di ogni singolo paese. E il tutto “cum grano salis”, senza ridondanze, ma con quella essenzialità cui sono abituati i cilentani.
Possono i beni culturali fare da volano ad un turismo estivo e allargarne il periodo di fruizione? Secondo l’autrice la risposta è positiva, solo che bisogna agire in sinergia non solo sul territorio, ma nella promozione di un bene che, tutto sommato, è comune e può produrre economia e crescita sociale per le popolazioni.
Vito Pinto