di Monica Acito
ll Carnevale si avvicina anche quest’anno, col suo strascico di carri allegorici, maschere, risate e (si spera) un po’ di spensieratezza che non guasta mai.
Il Carnevale in un piccolo borgo come Felitto una volta era uno stato mentale, un modus vivendi, un abito che calzava a pennello sugli animi di tutti. Ascoltando le testimonianze di tanti abitanti, una volta si era soliti accogliere il Carnevale proprio come un vero evento goliardico, un evento intriso di quella magia popolare rustica e genuina che , allo stato attuale di cose, sembra mancare ogni giorno
Di più. Il folklore assorbiva ogni pietra, ogni mattone, ogni muro Felittese: con gli occhi sognanti tanti abitanti rievocano quell’età dell’oro ormai sfumata e dissolta chissà dove. Non è una rievocazione da nostalgici passatisti, ma il ricordo vivo più che mai di un tempo in cui a Felitto la voglia di ridere seppelliva ogni apparenza, ogni screzio, in cui la semplicità travalicava ogni ornamento e ogni fronzolo di contorno. Come non emozionarsi di fronte ai racconti di chi narra che prima , le famiglie unite e non più divise da litigi squallidi, banali e magari intrisi di politica paesana, si stringevano tutte insieme per iniziare il tour dei “Carnaluari”? Un tour che prevedeva tappe obbligate a casa di parenti, amici, per dividere insieme pane abbrustolito e salsicce, e ubriacarsi tutti insieme con del buon vino e dimenticare tutto, affogando nel lusso della semplicità? Quella semplicità disarmante, mistica e affascinante che sono un paese può regalare. Come dimenticare le maschere,di certo non ispirate a personaggi alla moda o a qualche eroe di cartapesta, ma magari composte con stracci, vecchi vestiti e tanta simpatia? Oppure il rito di cantare davanti alle porte delle case non appena la luce si spegneva, e continuare così il giro di tutte le abitazioni?
Chissà se al giorno d’oggi il Carnevale a Felitto ricopre per i suoi abitanti la stessa importanza, chissà se è ancora un evento così sentito o una semplice occasione da ripercorrere meccanicamente ogni anno, quasi stancamente. La magia sembra essersi dissolta, il fascino del vero Carnevale sembra essere stato seppellito da un mare di schiuma da barba o insudiciato da una manciata di uova gettate sulla testa di un malcapitato passante. Gli odi e gli screzi dividono sempre di più le mille anime di questo borgo, i bambini non si fanno più rapire e meravigliare da nulla che non sia uno SmartPhone di ultima generazione, non c’è più spazio per lo stupore e per quel soffio magico
di follia che una volta univa tutti. Il pagliaccio del Carnevale non ha più nessun bambino che si lasci stupire da lui, e una lacrima si fa strada sul suo viso di cera. Forse a Felitto non c’è più voglia di ridere, di ridere di se stessi e degli altri, ma non siamo eterni. E proprio in virtù del nostro essere tutti miseri, piccoli, insignificanti, dovremmo risvegliarci da questo torpore e scegliere di ridere, ridere una volta per tutte , anziché arrovellarci e sprecare vita preziosa a odiarci e criticarci l’uno con l’altro. Una risata seppellirà tutti i volgari screzi, una risata ci renderà liberi. E allora il Carnevale potrà tornare a essere uno stato mentale, una festa significativa e sentita, nelle nostri menti e nelle nostre fresche risate.