di Massimiliano De Paola
Sono un comunicatore e il mio lavoro mi porta sovente a fare ricerche molto approfondite su internet. Alcuni giorni fa, navigando nel web, mi è capitato di intercettare la pillola di pensiero di una ragazza del Vallo di Diano che mi ha colpito molto e proprio per questo vorrei darle voce, visto che difficilmente viene chiesto ai ragazzi del Vallo di Diano cosa pensano del comprensorio in cui vivono e cosa farebbero per migliorarlo nel caso venisse concesso loro la possibilità di farlo.
La storia che oggi vi voglio raccontare è quella di Alessandra Bossone (che non conosco personalmente), una ragazza di Buonabitacolo, da circa un mese rientrata nel Vallo di Diano, dopo aver terminato i suoi studi all’Università di Roma. Racconta in un suo blog https://alessandrabossone.wordpress.com/ che negli ultimi cinque anni ha passato un anno e mezzo a Berlino grazie al programma “Erasmus” e per il tempo restante ha vissuto nella Capitale.
Ritornare a casa questa volta per lei è stato un po’ diverso dal solito. Per la prima volta ha avuto più tempo per pensare e riflettere, senza gli impegni pressanti degli esami sempre dietro l’angolo, oppure le ansie da tesi di laurea. Ha avuto modo di guardarsi meglio intorno per vedere cos’era cambiato negli ultimi cinque anni nel Vallo di Diano e cosa, invece, vedeva lei in maniera diversa.
Durante il suo soggiorno a Berlino e i suoi viaggi in Germania, è rimasta affascinata dallo stile di vita berlinese, tanto che, condurre una vita ecologica, salutare e felice, è diventato per lei un sogno. La cultura berlinese che si manifesta negli orti condivisi, nei supermercati biologici, nell’utilizzo della bici o dei mezzi pubblici, in un’educazione del bambino molto più libera e attenta alla natura, costituisce – a suo avviso – il “carattere” più bello di quella città. In questo “carattere” lei ha visto una speranza, che le è sembrata il punto di partenza per la società del futuro.
Una volta tornata a casa, Alessandra si è ingegnata a guardare il nostro territorio con gli occhi di un berlinese. Aveva un’amica tedesca, Christiane, che avrebbe detto: Oddio, ma abbiamo il mare a soli quindici minuti! Siamo ad ottobre e ancora ci sono belle giornate! Posso mangiare gli ortaggi che coltiva tuo zio nel suo orto! Altro che supermercato bio a chilometri zero! All’improvviso le è sembrato bellissimo poter fare colazione nel suo giardino di fronte ad un boschetto, oppure raccogliere le castagne insieme a tutta la famiglia. Si è cimentata perfino nella produzione di marmellata fatta con i frutti del suo giardino, naturalmente!
Se la cultura del futuro è fatta di natura, biciclette, cibo sano e condivisione, quella delle nostre nonne, nel Vallo di Diano, era molto più berlinese di quella che ha trovato adesso tornando. Voi direte: – Ma quella era un’ecologia della necessità, si faceva la fame! – Va bene. Questo è vero. Ma per lo meno dal punto di vista dei rapporti umani sarete d’accordo con lei e con me nel dire che l’idea del condividere e dell’aiutarsi era, allora, molto più forte che adesso.
A un certo punto lei pone l’accento su problematiche giovanili di cui nessuno parla nel nostro comprensorio e, visto che condivido in pieno il suo pensiero, voglio proseguire con le sue parole:
“Immaginiamo di fare un giro in macchina nel Vallo di Diano. Abbiamo detto che la natura, il mare, il cibo sono invidiati da tutte le Christiane berlinesi. Ma come la mettiamo a cultura? In questo campo mi sembra che siamo ridotti molto male. Ogni nuova attività che viene aperta è sempre un ristorante oppure un pub. E la cosa strana è che si tratta sempre di luoghi senza “carattere”. Immaginatevi un po’ un bar di paese che vuole ospitare i vecchietti che giocano a briscola e poi vuole aprirsi agli adolescenti. Il risultato è che tutti i luoghi di aggregazione finiscono per non avere un “carattere” deciso. – Si fa questa scelta per sopravvivere, per ricoprire le spese – dicono i proprietari. E va bene. Passi anche questa. D’altronde si tratta di privati e non possiamo aspettarci che i privati vogliano educare il paese. Decido di passare un pomeriggio/serata diverso. Mi piacerebbe vedere una mostra, andare a teatro, guardare un film o la presentazione di un libro. Non trovo niente di tutto questo. Dovrei spostarmi fino a Salerno ma non ho la macchina. Mi direte che sono disfattista, ma mi pare di essere testimone di una grande povertà culturale. Facendo un sondaggio si può vedere come la maggior parte dei ragazzi del Vallo decide di iscriversi a scuole professionali. Non voglio fare come i classicisti da quattro soldi da me stessa profondamente odiati, ma questo dato mi sembra l’effetto negativo della cultura del guadagno e del lavoro a tutti i costi che ha relegato nell’angolo lo studio e la cultura per passione. Non si fa niente per niente. Perché leggere un romanzo, ad esempio? C’è un tornaconto immediato? Forse no. E allora? Mi direte che non tutte le famiglie hanno le stesse possibilità economiche e che non tutti possono permettersi i romanzi. E’ vero, ma ci sono così tanti controesempi che questo discorso finisce per non avere alcun senso, soprattutto nel Vallo di Diano poi dove il “pane” non manca mai a nessuno.”
Lasciamo da parte i romanzi. D’altra parte non è che la cultura si misuri a libri letti, soprattutto se si tratta di Fabio Volo o di Moccia (nel caso meglio non leggere, forse!).
“Consideriamo per un attimo un tema molto attuale, quello dell’immigrazione. Il numero di immigrati nel mio paese e, credo nei restanti paesi del Vallo, è davvero irrisorio. Eppure “l’educazione da canale cinque” è riuscita a plasmare generazioni di giovani intolleranti e avversi al diverso. Come è possibile? Come è possibile che una terra dove ogni volta che qualcuno bussava alla porta le nonne si catapultavano in cucina per offrire ogni sorta di vivande al nuovo ospite, sia diventata così banale? Sì, l’intolleranza è banale. Una terra dove la “cerimonia” è sempre stata importante. Finisco il mio giro del Vallo di Diano in macchina. Il mio accompagnatore mi fa notare che ci sono dei giovani che ci provano a restare, che fanno politica, che fanno associazionismo. Ma quanti di loro lo fanno davvero in maniera disinteressata? Quanti lo fanno davvero perché hanno un’idea di “carattere” che vogliono dare alla nostra terra? Non basta essere giovani per essere credibili, non basta avere assessori trentenni per dire che l’amministrazione si sta rinnovando, se quei trentenni ricadono nelle stesse logiche dei loro padri. Quello che servirebbe è un’idea condivisa, un’idea di società del futuro da progettare. Mi piacerebbe che quest’idea fosse quella di una società ecologica, progressista, tollerante. Allora non sarebbe difficile, in un territorio così piccolo, sicuro e ricco di risorse naturali, realizzare insieme una comunità dal “carattere” deciso e forte che sostituisca quella un po’ scialba e banale del presente.”